Con oltre due milioni di visitatori è uno dei padiglioni più frequentati dell'Esposizione universale. Ma più che al buon cibo fa propaganda al proprio modello ideologico e culturale. E i turisti ci cascano facilmente

Il ragazzo si è infilato la tunica nera con la kefiah bianca in testa. La ragazza la tunica azzurro e oro, sempre a capo copertissimo. Flash. «Share your photo!». Salvo e Mirella sono siciliani, hanno fatto la fila per farsi ritrarre da finti arabi sullo sfondo dei grattacieli di Doha, la capitale del Qatar, e sono felici così.

Non siamo a Doha, però. Siamo al padiglione Qatar all'Expo 2015. Uno dei più grandi, e dei più kitsch. Un palazzotto con torrette e una cupola a forma di cesto intrecciato, stile Cinecittà, esattamente di fianco al ristorantone Mc Donald's. Trafficatissimo, ha superato i 2 milioni di visitatori. Tanto che hanno dovuto allungare l'orario di chiusura alle 22. Ma ci vanno molto più gli italiani che il resto del mondo. Forse perché gli italiani si fermano al divertimento di superficie e, deboli in inglese, non ne colgono gli aspetti retorici.

Che cosa ci mostrano, infatti, i qatarioti, il cui personale maschile gira in caffettano bianco islamico e adora farsi ammirare al volante dell'auto elettrica? Tanta propaganda, propaganda nazionale. Anzitutto i video-interventi degli emiri che comandano questo piccolo e ambizioso Stato diventato indipendente solo nel 1971 e arricchitosi con i petrodollari: l'emiro in carica, Tamim bin Hamad al-Thani, e l'emiro deposto nel 2013, suo padre.
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Poi il video-show con raggi laser proiettato su una scultura in forma di Coppa del Mondo di calcio, assegnata loro dalla Fifa, tra mille polemiche, per il 2022. Lo show magnifica, in buon inglese stile Al Jazeera, poi in italiano, la ricerca sulle tecnologie verdi, l'agricoltura strappata al deserto, il Qatar «primo esportatore mondiale di gas naturale», e via così.

Insomma, la «visione nazionale» dell'emirato. Che è tanto ambizioso quanto discusso per le ambiguità della sua politica. Non solo perché la Qatar Investment Authority fa shopping aggressivo di immobili di pregio, alberghi, grattacieli a Londra, Parigi, Milano. Ma perché secondo molti rapporti di intelligence internazionali proprio da donatori qatarioti proverrebbero ingenti finanziamenti a favore del Califfato, o Stato Islamico, o Is che dir si voglia.

I turisti italiani, beati, stanno in coda e fanno selfie. Dopo il video show, in coda anche nel souq, la riproduzione del mercato qatariota. In coda a farsi decorare le mani con l'henné, a vedere la bottega del cestaio, delle spezie, del fabbricante di barchette. Ad ascoltare le nenie al tamburello cantate da sette musici biancovestiti, che alzano il volume apposta ogni volta che di fronte a loro, al Juice Bar dietro Mc Donald's, un bar pieno di alcolici, sale a palla la musica techno. Più pompa la techno, più i sette intonano cantilene. E alle 18 fanno aperitivo con yogurt e datteri davanti a tutti, a rimarcare lo "scontro di civiltà".

Sì, perché il Qatar, qui all'Expo, è circondato da infedeli e peccatori. Un vero paradosso.

Sul lato sinistro si ritrova il chiassoso McDonald's, didascalia vivente dell'America; dietro Mc Donald's il Juice Bar; dietro ancora il Barbecue Hooligans, specialità stinco di porco e superburger di bufalo; e sul lato destro troneggia il tempio della birra Moretti, che l'altro giorno ha spillato 6 mila birre in sei ore e intorno ha sempre un popolino bevitore spaparanzato sui divanetti rossi.

Anche il Qatar ha il suo ristorante interno, il Sidra. Ovviamente è un'oasi analcolica, che promuove, al posto del Mojito, l'Arab Mojito («Accende la tua passione»: succo di mela, limone e menta). C'è un palco con amplificazione per musicisti arabi, per meglio osteggiare il rock e la techno del demonio. E un megaschermo con un altro documentario che magnifica il business district di Doha, tramonti sul deserto, cammellieri in viaggio, souq pittoreschi, cantieri modernissimi con operai operosi. Il tutto replicabile sullo schermo accanto all'ingresso principale...

Insomma, il Qatar è assediato dall'Occidente materialista. E si difende, si difende eccome. Di qualità e salute alimentare, tema dell'Expo, c'è poco o nulla, a parte gli show-cooking nel weekend. Di propaganda identitaria, a tonnellate.

Ah, il documentario di cui sopra non l'ha prodotto Al Jazeera, la rete tv nazionale. L'ha prodotto Michael Shainblum, un ebreo americano di base a San Francisco. Vallo a capire, il Qatar.