Da più parti si afferma il dovere di sfatare miti e luoghi comuni. Ma le cose sono semplici: vengono dall’estero a fare lavori che gli italiani rifiutano
L’ultimo numero di Pagina99 sembra aver rovinato il weekend ai suoi lettori abituali con l’articolo di copertina: “Le verità scomode su migranti e lavoro. Quando gli stranieri contendono il posto ai locali”. L’autore avverte subito: «Partendo dal presupposto che i lettori di Pagina99 siano in maggioranza progressisti, questo articolo non avrebbe dovuto essere scritto».
E infatti critiche a questo articolo, che si basa sullo studio del Cer (Centro Europa Ricerche) “European Migration and the Job Market” a cura degli economisti Stefano Collignon e Piero Esposito, non sono mancate.
Le reazioni che ha suscitato mi portano a fare alcune considerazioni. La prima è che di immigrazione bisogna parlare, tanto e in qualunque contesto. Non esistono luoghi deputati al dibattito e non dovrebbero esistere dibattiti orientati. È un fenomeno talmente pressante e doloroso che bisogna parlarne affrontandolo dalla prospettiva più complessa: come funzionano le leggi che regolano accoglienza e integrazione e come i “locali” percepiscono l’arrivo degli “stranieri”.
Pagina99 ha ragione quando dice che la politica progressista (e la stampa progressista) non si occupa di indagare i motivi che portano alla crescita di atteggiamenti xenofobi e che relegano tutto alle istanze securitariste che i partiti politici di estrema destra cavalcano con l’intensificarsi degli attentati terroristici in Europa. E sulla questione lavoro, la miope politica progressista ha sottovalutato l’impatto che l’arrivo massiccio di migranti avrebbe avuto sulla percezione della disoccupazione nei paesi dove la crisi è reale e drammatica. Ciò che non mi ha convinto dell’analisi di Pagina99 è l’aver trattato la politica progressista europea come un soggetto omogeneo, cosa che invece non è, e l’aver semplificato all’estremo l’incidenza che l’arrivo dei migranti ha sull’occupazione nel Nord Europa e nel Sud. Anche qui non è possibile trattare il Nord come un soggetto omogeneo da contrapporre a un Sud generico quando proprio in Italia viviamo delle disparità siderali tra il nostro Settentrione e il Meridione. Quindi le premesse mi sembrano interessanti (sfatiamo un caposaldo della sinistra sull’accoglienza senza se e senza ma) ma per trovare conclusioni mi rivolgo a chi studia da anni il fenomeno migratorio.
Emma Bonino interviene su Radio Uno e parla del muro di Calais, una vergogna sul suolo europeo, voluto da Francia a Gran Bretagna «le più antiche democrazie europee, paesi a grande vocazione internazionale, con esperienze coloniali nel passato». Bonino aggiunge che, con il calo delle nascite e l’emorragia di giovani (e meno giovani) dall’Italia, accogliere e integrare sono diventate necessità reali nel nostro Paese, così come regolarizzare e fare in modo che chi arrivi possa trovare occupazione e pagare le tasse. In “Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione” (Laterza) Gianpiero Dalla Zuanna e Stefano Allievi dicono chiaramente che in Italia, perché non si verifichi un calo della popolazione in età lavorativa, bisognerebbe accogliere 325mila immigrati all’anno e di certo non si arriva a questa cifra. E che bisognerebbe lavorare sulle leggi che regolamentano l’immigrazione perché l’ingresso smetta di essere «costoso e irregolare, favorendo tutti quei fenomeni che sono di solito usati come uno spauracchio contro gli stranieri: i conflitti per il lavoro, l’aumento della criminalità, la mancata integrazione».
Tornando a Pagina99 mi domando se abbia avuto senso sfatare un caposaldo della sinistra (accogliere senza se e senza ma) che ormai la sinistra si guarda bene dall’affermare durante dibattiti pubblici dove ormai l’immigrato è il nuovo meridionale (quello che toglie lavoro alla gente del posto, che delinque e conserva le proprie tradizioni). Sarebbe forse valsa la pena sottolineare anche l’incapacità dei governi di sinistra o degli alleati di sinistra o delle opposizioni di sinistra che hanno avallato accordi con la Libia di Gheddafi, con la Turchia di Erdogan e con la polizia sudanese che qualcuno vorrebbe far passare per rispettosa dei diritti di chi dal Sudan scappa ed è poi forzatamente rimpatriato. Del resto italiani che in Puglia, in Campania, in Calabria, in Sicilia ma anche in Lombardia vanno nei campi a raccogliere pomodori, arance e meloni per due, tre, quattro euro all’ora non li vediamo da vent’anni. Quindi sì, mi sento di dire che gli immigrati vengono a fare lavori che gli italiani non vogliono più fare e, aggiungo, che i sindacati non vogliono tutelare.