Il ruolo del capo del sindacato degli ambulanti è stato presente nel caso del ricercatore ucciso fin dall'inizio. L'uomo ha fornito versioni contrastanti. Fino alla conferma della denuncia al ministero degli Interni egiziano "per amor di patria"

Il suo nome è stato presente fin dall’inizio. Mohamed Abdallah ha sempre fatto parte del caso Regeni. E’ stato uno dei primi testimoni a farsi avanti. Ha fornito però versioni contrastanti. Cambiavano in base all’andamento delle indagini. Dalla sua totale estraneità al suo pieno coinvolgimento. E oggi Mohamed Abdallah, il capo del sindacato autonomo degli ambulanti, continua a nascondere la verità.

Il nome di Abdallah spunta la prima volta in una dettagliata ricostruzione del caso fatta dal quotidiano Almasry Alyoum il 26 febbraio, un mese dopo la sparizione di Giulio. Il sindacalista si è presentato alla redazione del giornale a raccontare la sua versione dei fatti accompagnato da un collega. “L’ho incontrato più di dieci volte”, ha raccontato. “Sono andato con lui al mercato di Ahmed Hilmy, dove abbiamo incontrato alcuni ambulanti, e poi l’ho accompagnato a New Cairo dove ne abbiamo conosciuti altri”.
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In questa versione Abdallah dice di aver visto Giulio Regeni più di dieci volte, nelle future diventeranno solo sei. Ma non è questo il punto debole di questa prima testimonianza. Mentre infatti il suo collega, Rabie Yamani, esprime la sua vicinanza a Regeni, mostrando anche un sms con cui avevano concordato un appuntamento per il 17 gennaio che poi Giulio avrebbe annullato, Adallah si tiene distante. “Prima che ripartisse per le vacanze di Natale mi aveva proposto di partecipare a un bando promosso da una fondazione inglese. Da quel momento non mi sono più sentito tranquillo e ho quindi cominciato ad allontanarmi da lui”.
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In realtà, già nel servizio pubblicato da Almasry, veniva citata la testimonianza dell’amico di Giulio, Amrou Asaad, che riferiva il tutto in modo completamente diverso: “Prima di partire, Giulio aveva proposto agli ambulanti di partecipare a questo bando per una somma di circa 10mila sterline. Dopo il suo ritorno però ha ignorato l’argomento perché, mi ha spiegato, era rimasto deluso da uno dei responsabili del sindacato che ne voleva approfittare”. Non è tutto. Abdallah, nonostante avesse espresso questa sua sensazione negativa, ha assicurato ai cronisti di non essersi rivolto alla polizia: “Non sono una spia. Anche se dovessimo trovare un cadavere, ci gireremmo dall’altra parte”. E’ un modo egiziano per dire “ci facciamo i fatti nostri”.
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Ha voluto però andare oltre, forse nel tentativo di distogliere l’attenzione: “Giulio parlava e scherzava con tutti. Magari qualcun altro ha avuto la mia sensazione. La metà degli ambulanti sono informatori della polizia”. La prima smentita è già nelle righe successive. Ci pensano gli agenti di polizia che controllano il mercato dove Abdallah ha detto di essersi recato con Giulio più volte: “Impossible, se fosse venuto qua l’avremmo visto. Inoltre abbiamo le telecamere che registrano tutto, non lo possiamo nascondere”. Abdallah ha mentito più volte già nella sua prima dichiarazione. E’ emblematico il commento pubblicato da un lettore: “Ho la sensazione che quello che si fa chiamare Mohamed Abdallah abbia qualche collegamento diretto con l’omicidio di Regeni. Il movente c’è sicuramente. Nessuno può indagare meglio con questa persona?”.
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Le indagini vanno avanti (o comunque si finge) senza considerare il ruolo di Abdallah. C’è maggiore impegno a inscenare lo scontro a fuoco con la banda di quelli che sarebbero poi stati indicati come i responsabili del sequestro del ricercatore italiano. Il tentativo di depistaggio fallisce il 24 marzo. Una settimana dopo, l'8 aprile, fallisce anche il primo vertice a Roma tra gli inquirenti italiani e quelli egiziani.

Il nostro Governo decide di richiamare l’ambasciatore italiano al Cairo. I rapporti diplomatici si fanno sempre più deboli. Un mese dopo torna alla ribalta il nome di Abdallah. La prima settimana di maggio la procura italiana riceve infatti i tabulati della chiamate di cinque utenze, tra queste quella del sindacalista. Anche in questo caso lui si dice completamente estraneo ai fatti. “Non so nulla riguardo alle intercettazioni, non so nemmeno se sia legale il fatto che l’Egitto le abbia consegnate all’Italia”.
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La prima vera svolta arriva con il vertice in Italia del 9 settembre. Emergono due aspetti fondamentali: la polizia egiziana aveva indagato Giulio e, soprattutto, lo aveva fatto a seguito di un esposto del 7 gennaio firmato da Mohamed Abdallah. Da tenere presente le tempistiche, Regeni ha lasciato il Cairo il 20 dicembre, con la proposta del bando, e ci è tornato il 2 gennaio, con la bocciatura del finanziamento da 10mila sterline. Cinque giorni dopo scatta la denuncia. In ogni caso, Abdallah smentisce categoricamente. L’11 settembre giura sulle pagine di 'Shorouk e Tahrir' di “non aver firmato alcun esposto o fatto telefonate o inviato messaggi”.

Dice però di più: “Mi sono pentito di non averlo fatto, perché la ricerca di Giulio non era sugli ambulanti ma sul loro rapporto con la polizia”. E si dice addirittura “disponibile a sacrificarsi per il bene del Paese”. Insomma “se la procura ha deciso che io ho fatto quell’esposto, mi prendo la responsabilità. Non voglio che sia incolpata la polizia per un omicidio che non ha commesso. Sono pronto a essere una vittima per l’Egitto se questo servirà a chiudere il caso e a ristabilire i rapporti con l’Italia”.

Qualche giorno dopo, in nuove versioni, Mohamed Abdallah conferma di aver denunciato Regeni per “amor di patria”. O magari semplicemente ha dato il via al suo sacrificio. Il tutto viene confermato nelle dichiarazioni rilasciate all’Huffington post arabo martedì sera.