Valore in Borsa ai minimi, rosso profondo nei conti, utenti che non crescono abbastanza, manager che se ne vanno. Il social dei cinguettii è in calo. E non sembra un problema passeggero

Illustrazione di Valeria Ghion
Tempi grami per l'uccellino blu. Valori di Borsa in calo, utili mai raggiunti e un gran via vai di manager. A luglio nel quartier generale di Twitter è tornato come nuovo amministratore delegato Jack Dorsey, uno dei suoi fondatori. Pochi mesi dopo se ne sono andate quattro figure chiave: il responsabile del prodotto, il capo degli ingegneri, la responsabile delle relazioni esterne e anche il numero uno delle risorse umane. Ma già dall’inizio dell’anno scorso si sono rincorsi chilometri di articoli di stampa, innumerevoli pettegolezzi sulle liti interne, previsioni altalenanti tra insuccessi inevitabili e possibilità di riscatto. Insomma sembrerebbe proprio che il social network californiano, divenuto strumento di esternazione indispensabile per intellettuali e politici di mezzo mondo, si trovi nel bel mezzo di una crisi di identità. Una crisi, a dire il vero, in cui l’avrebbe spinto il suo stesso successo, culminato con la quotazione in Borsa due anni fa.

Facciamo un passo alla volta. Twitter alla sua nascita fu salutato come il rivale del più anziano Facebook (classe 2004). Più elitario, meno frivolo, più sofisticato e fortemente amato da chi fa opinione. Ma l’obiettivo era lo stesso per entrambi: favorire la comunicazione 2.0 tra le persone. Inevitabile dunque che, anno dopo anno, il confronto tra i due colossi fosse continuamente oggetto di osservazione e dibattito pubblico, e che le loro performance finanziarie venissero scrutinate con curiosità, tanto più dopo la rispettiva quotazione in Borsa.

[[ge:rep-locali:espresso:285179296]]È proprio con lo sbarco a Wall Street che sono diventati visibili i problemi di Twitter. Mentre gli utenti registrati di Facebook hanno continuato, anno dopo anno, a crescere esponenzialmente fino a sfondare il tetto del miliardo e mezzo l’anno scorso, quelli di Twitter sono cresciuti ad un tasso più contenuto, fermandosi sulla soglia dei 320 milioni.

Inoltre a quasi dieci anni dalla nascita, i cinguettii non sono ancora riusciti a generare redditi superiori alle perdite. Facebook invece ha costantemente ridotto i rossi di bilancio fino ad annunciare il primo miliardo di dollari di utili registrato nell’ultimo trimestre del 2015. Wall Street ha capito l’andazzo e l’anno scorso si è disfatta delle azioni di Twitter mandandole in picchiata. Se un’azione di Facebook vale oggi 106 dollari, quella di Twitter è intorno ai 16: il 70 per cento in meno rispetto ai massimi e ben sotto al livello di collocamento di 26 dollari per azione.

«Agli analisti finanziari interessa solo il numero di utenti registrati e i ricavi pubblicitari», spiega a “l’Espresso” un ex manager di Twitter che vuole rimanere anonimo: «Ma non è possibile valutare il modello di business di Twitter solo sulla base di questi parametri che magari funzionano bene per Facebook ma non per Twitter, per natura più vicino a un servizio pubblico che a un’impresa commerciale».

L’IPOTESI DI ALLUNGARE I POST
Il perché di questa analogia è presto detto. Se i protagonisti di Facebook sono i singoli utenti, tutti gli utenti, con i loro amici e le loro idiosincrasie, l’unico vero attore di Twitter, come dice lo stesso nome, è il contenuto, non l’identità di chi lo lancia. Chi parla non è tanto importante quanto quello che viene detto. Su Facebook, “il libro delle facce”, invece, i singoli profili sono cruciali, indipendentemente da cosa fanno o dicono.

Per certi versi gli utenti di Facebook assomigliano a un’audience televisiva, gli amanti di Twitter hanno al contrario molto in comune con i lettori della carta stampata: i primi sono tanti e facilmente raggiungibili dalla pubblicità, i secondi sono un numero inferiore e più sfuggente. «Per Twitter vale la teoria dei super-connettori», continua la fonte: «Un gruppo ristretto di loro diffonde la notizia ad un gruppo più ampio che a sua volta la rigira al pubblico diffuso». Magari un cinguettio ha un valore importantissimo - i momenti di massimo utilizzo di questo social network sono finora stati i grandi disastri comunicati in tempo reale - ed è seguito da milioni di persone ma coloro che attivamente scrivono e interagiscono con il social sono una minoranza.

Parafrasando il celebre banchiere Enrico Cuccia, bisognerebbe pesarli, gli attori di Twitter, non contarli. Ma se il numero, ovvero gli utenti attivi registrati, è una variabile cruciale per stimare il valore di un’azienda 2.0, allora la sfida è inevitabilmente persa. Da cinque anni i manager di Twitter stanno tentando di trovare un modo per monetizzare le informazioni senza snaturare la loro creatura. Hanno provato ad aggiungere più video tramite il servizio Vine e a selezionare alcune delle conversazioni più importanti con il servizio Moments.

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Ma questi piccoli cambiamenti hanno generato un turbinio di pettegolezzi. «Il clima di lavoro all’interno dell’azienda è pessimo», spiega un’altra fonte: «Gli ingegneri non sentono che il frutto delle loro invenzioni è utile al prodotto finale. Il merito non è sempre riconosciuto e con il ricambio frequente dei manager non si capisce mai quale sia il nuovo progetto che conta davvero». Gli ultimi vocii annunciano che presto sarà eliminato il limite dei 140 caratteri che ha reso Twitter iconico. Avremo forse post lunghi e con essi la possibilità di maggiori spazi pubblicitari per rispondere alle richieste di Wall Street.

Ma ci sono anche altri problemi, come la maggiore difficoltà di utilizzo del mezzo. Per accedere a Twitter bisogna infatti identificare gli argomenti su cui vogliamo essere aggiornati e discutere, individuare quali sono le “fonti” da seguire e, infine, scegliere i tweet per noi rilevanti in mezzo a un fiume di cinguettii senza filtro. Su Facebook invece si può partire col seguire gli amici e poi l’algoritmo suggerisce contatti e post per noi.

Ma anche fossimo ferratissimi su argomenti e follower Twitter rimane comunque più complicato di Facebook: occorre sapere cos’è un retweet, imparare a usare un hashtag e a citare un tweet. Non tutti gli utenti lo fanno facilmente e così accedono a Twitter molto meno spesso di quelli di Facebook «Devono ricostruire il servizio in un modo più chiaro e accessibile», incita Walt Mossberg, responsabile della rivista tecnologica “The Verge”. Il nuovo amministratore delegato pare essere d’accordo: «Affacciarsi a Twitter dovrà essere facile come lo sporgersi da una finestra per guardare cosa succede fuori».

C’è chi però ormai non ci crede più alla possibilità di riscatto da parte di Twitter: «Ormai Facebook è diventato il portale di ingresso su Internet per la maggior parte della gente», spiega il blogger Ben Thompson: «Anche se Twitter trovasse la formula magica non si capisce perché gli utenti dovrebbero cambiare». E la battaglia sugli smartphone Twitter l’ha persa nel 2009, anno in cui i due social avevano lo stesso numero di utenti registrati: «Ora è troppo tardi per recuperare».

Così i vecchi affezionati vorrebbero vedere la società sfilarsi da Wall Street ed entrare a far parte di un’azienda più grande, con una migliore tradizione manageriale. «Essere comprata sarebbe la cosa migliore che potrebbe capitare a Twitter», chiosa la manager che non vuole essere identificata. Come è successo a Instagram e WhatsApp, acquisite da Facebook; o a Tumblr comprata da Yahoo e a YouTube finita nella galassia Google. Come per i media tradizionali anche per quelli high-tech il 2016 potrebbe essere un altro anno di matrimoni.