Ogni Stato fa per sé. Manca una vera cooperazione tra magistrati e polizie. E in ogni Paese c'è una legislazione diversa. Come sulle intercettazioni

Jihad globale, repressione locale. Mentre terroristi, mafiosi e criminali di ogni risma si muovono liberamente in Europa, la giustizia e le indagini procedono a rilento. Soprattutto quando si varcano i confini nazionali italiani. Cambiano le leggi e gli strumenti per colpire le organizzazione terroristiche o mafiose. Per esempio in molti Paese dell'Unione le intercettazioni preventive non sono previste dall'ordinamento. I nostri detective invece le usano con ottimi risultati. Molte operazioni anti-Is sul nostro territorio sono partite proprio dal monitoraggio preventivo di alcuni gruppi sospetti di fondamentalisti. 

Ma siamo lontani da un piano europeo di armonizzazione legislativa. Non è previsto niente del genere. Neppure ora che è stata colpita la città simobolo dell'Europa unita. Colpita perché colpevole di far parte della coalizione Anti-Is. Almeno così c'è scritto nella rivendicazione. Probabilmente, però, gli attentati - come segnalano diversi esperti internazionali di intelligence - hanno subito un'accelerazione dopo l'arresto di Salah. La paura per ciò che avrebbe potuto rivelare potrebbe aver messo fretta ai terroristi della cellula belga.

Bruxelles, la capitale dell'Unione e sede della Nato, è uno dei centri della jihad cresciuta nelle periferie degli Stati membri. Molenbeek è diventata il simbolo del radicamento dei fanatici dell'Is nel cuore dell'Europa. Dopo i fatti di Parigi del 13 novembre, l'allerta era massima. Le retate si sono susseguite. Arresti, blitz, perquisizioni. La polizia e l'intelligence belga stavano cercando di recuperare terreno dopo clamorose sviste. Ma non è bastato. E questo è il segno evidente della mancanza di strumenti adeguati per affrontare la minaccia, che non è locale, bensì globale. E per questo andrebbe affrontata come tale.

È significativa, per esempio, la difficoltà nel catturare l'imprendibile Salah. Nascosto nella roccaforte Molenbeek. Eppure invisibile per mesi. Ha attraversato frontiere insieme ad altri sospetti terroristi e poi è tornato a casa. Superando quei confini impenetrabili per i rifugiati, ma, evidentemente, non per i miliziani del terrore.

Come è stato possibile tutto questo? E come è possibile che dopo il suo arresto, con l'allerta massima, la tensione alle stelle, i fanatici siano riusciti a farsi esplodere in luoghi così sensibili. Luoghi da controllare come fortezze.

Eppure, i terroristi hanno portato a termine la missione di morte praticamente senza intoppi. Un'azione che poteva essere molto più devastante se fossero esplose le altre cariche. C'è più di qualche falla, insomma, nel sistema di intelligence europea. E nel sistema giudiziario.

Manca, per esempio, un vero coordinamento, nonostante strutture create ad hoc. I nostri servizi segreti e i gruppi investigativi stanno da tempo minitorando sospetti jihadisti in giro per l'Italia. Sono decine di fascicoli aperti in praticamente tutte le procure. Sono attività che partono da intercettazioni preventive. Uno strumento legislativo utile a prevenire, appunto. Si individua un gruppo di sospetti, si chiede l'autorizzazione alle intercettazioni al pm e immediatamente comincia l'ascolto.

Non in tutti gli Stati membri funziona così. Anzi, le limitazioni alle intercettazioni sono lo scoglio più grosso che molti detective hanno dovuto superare durante importanti indagini antimafia. Ma questa, se pur importantissima, è solo una delle criticità che irrigidisce il dialogo tra magistrati, polizie e servizi vari. Il paradosso è che si inseguono organizzazioni liquide, rapide negli spostamenti, con strumenti rigidi e differenze normative tra Stato e Stato che diventano spesso barriere insormontabili.

Sulla “disorganizzazione” europea nel combattere fenomi criminali molto più articolati rispetto a dieci anni fa è intervenuto pochi giorni fa il ministro della Giustizia Andrea Orlando: «Rispondere alla minaccia terroristica  globale è difficile perché ogni Stato pensa di saperlo fare meglio da solo e poi si verifica drammaticamente che non è così. Per questo  abbiamo spinto con grande forza per la costituzione di una Procura europea e per questo stiamo modificando le norme che regolano le  estradizioni, la cooperazione giudiziaria, il trasferimento dei  detenuti, nell'ottica di una sburocratizzazione e di una maggiore  rapidità e di un migliore scambio di informazioni tra autorità  giudiziarie. Al dl là di ogni proclama che sentiamo fare dopo ogni  atto terroristico e a ogni minaccia alla sicurezza dei cittadini,  purtroppo quello che si verifica è che non servono tanto o solo norme  particolarmente dure, ma norme efficaci. E perché siano efficaci  bisogna che siano comuni, perché la criminalità organizzata, il  terrorismo, la tratta degli esseri umani giocano proprio sulla  dimensione internazionale e i singoli Stati non sono in grado di  contrastarli».

La cooperazione internazionale tra Stati è sottovalutata. Secondo Orlando, infatti, tanti progetti che avrebbero migliorato questa sinergia sono a un punto morto: «L'architettura di una dimensione europea è ferma", e questo pregiudica anche la capacità di risposta al terrorismo. Nella lotta al terrorismo abbiamo bisogno di avere soprattutto norme comuni che, in quanto comuni, sono più efficaci. Altrimenti il tema della sicurezza è destinato a diventare sempre più emergenziale». 

Non è da meno la procura nazionale antimafia e antiterrorismo guidata da Franco Roberti. Nell'ultima relazione dedica un capitolo all'argomento. Indica ciò che non funziona nella collaborazione tra Stati in materia giudiziaria e investigativa.

«Diverse convenzioni sottolineano l’importanza dell’uso delle tecniche investigative speciali per contrastare le organizzazioni mafiose», si legge nel rapporto, «ma norme spesso divergenti si rinvengono nelle legislazioni nazionali e ogni Paese le disciplina secondo la propria valutazione dei rischi per la sicurezza e il proprio riconoscimento del principio di proporzionalita?, ostacolandone la concreta attuazione. Nonostante il significativo contributo fornito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel campo delle misure investigative in materia penale e della protezione dei diritti fondamentali (essenzialmente il diritto al rispetto della vita privata), si e? ancora molto lontani dall’avere raggiunto l’obiettivo di una norma comune o di una visione uniforme dei limiti di tali misure: la proporzionalita? resta ancora una nozione da definire».

Altra criticità rilevata dalla super procura antimafia e antiterrorismo riguarda la poca esperienze di colleghi europei su crimini che non vengono denunciati. In particolare mafia e terrorismo, reati per i quali è fondamentale l'attività di indagine preventiva, peché difficilmente ci sono persone o testimoni pronti a denunciare. «Tutte le persone coinvolte in attivita? criminose sono interessate a occultare le informazioni e a fare in modo che i reati non siano scoperti. Per questo, l’approccio tradizionale, che richiede che il reato sia denunciato o che esistano le prove di un reato gia? commesso prima di potere avviare le indagini non si rivela fruttuoso per la lotta contro la criminalita? organizzata. E? generalmente necessario un approccio pro-attivo sul piano internazionale, che raccolga informazioni, le analizzi, possa incrociare i dati non solo per scoprire le attivita? criminose, ma anche per comprendere il mercato della criminalita? nei luoghi dove opera» concludono i magistrati della procura nazionale.

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