È giusto, come fa "l'Espresso", cercare di migliorare il testo Madia sul Freedom of Information Act. Ma non basta. Solo con la rivoluzione degli Open Data si risolve la questione, a vantaggio dei cittadini, della verità e delle casse pubbliche. La proposta di un imprenditore esperto di tecnologia (e di appalti)

Gentile direttore

ringrazio "l'Espresso" per la battaglia che sta facendo a favore della trasparenza degli atti della Pubblica Amministrazione, in particolare in riferimento al cosiddetto Freedom Information Act.

Per un accesso trasparente agli atti tuttavia ci vuole ben altra riforma.

Per funzionare veramente il nostro Freedom Act richiede infatti due elementi che nemmeno le posizioni più critiche al decreto Madia hanno evidenziato.

Il primo è l’eliminazione della domanda di accesso: gli atti, o meglio, le informazioni in essi contenute devono essere semplicemente fruibili. ?Il secondo elemento, funzionale al primo, è rifare da zero la procedura di formazione degli Atti Amministrativi in modo da renderli “nativi trasparenti”.

Un’impresa che appare ciclopica ma che può trovare soluzione utilizzando una piattaforma  software condivisa che permetta l’immediato inserimento sul Web degli elementi costitutivi degli atti amministrativi che in tal modo diventerebbero subito accessibili come il D.Lvo 33/13 vorrebbe.

L’adozione di questa metodica che ho denominato A.C.T.A. (Accesso Civico Trasparente agli Atti) se applicata a tutte le procedure delle nostre P.A. produrrà sensibili benefici:
risparmiare la spesa per i programmi (tanti) ora usati per redigere le delibere
risparmiare lavoro per la pubblicazione e per rispondere alle istanze di accesso dei cittadini
fornire le giuste fonti normative tramite un'authority list continuamente aggiornata
impedire la formazione di atti privi di presupposti di legittimità o di elementi essenziali
evidenziare, come sospetti, gli eventuali salti di passaggi procedurali
permettere il controllo - vero - del rispetto delle clausole contrattuali
sfruttare il fenomenale deterrente anticorruzione costituito dall'occhio attento dei controinteressati che hanno vantaggio a smascherare le astuzie che nascondono illegittimità

Un caso tipico (a rischio di corruzione) è quello di un cantiere di opera pubblica.

Il cittadino legge sul cartello esposto (obbligatorio per legge) che il termine di esecuzione dei lavori è scaduto da oltre un anno.  Vuole esercitare il suo diritto di conoscere la causa del ritardo. ?

Con il CIG (codice dell’appalto) individua sul sito dell’Ente che gestisce i lavori la delibera di approvazione dell’opera, le sue finalità, la fonte di finanziamento, il progettista, il suo curriculum e come è stato scelto;?un link rinvia al progetto approvato e messo in appalto, con un altro trova la procedura di selezione del contraente, i verbali di gara, l’elenco delle ditte offerenti, la delibera di aggiudicazione, la visura camerale dell’aggiudicatario, bilanci, numero dipendenti ecc.

Accedendo al contratto di appalto (atto pubblico) e gli atti conseguenti  il cittadino può controllare le varie clausole, il verbale di consegna del cantiere, le riserve dell’appaltatore, gli stati d’avanzamento e relativi pagamenti, gli imprevisti e le varianti necessarie, gli atti di sospensione ecc.  

Il tutto senza bisogno di alcuna domanda.?

Viene così a conoscenza che i motivi per i quali quel cantiere è ancora attivo ben oltre il termine contrattuale, sono tutti legittimi e dovuti ad eventi imprevedibili. Le cause del ritardo potrebbero, al contrario, essere causate da errori di progettazione, fondi insufficienti per sottostima o per varianti intervenute per sanare ribassi d’asta, ritardi nei pagamenti, rispetto di normative, contenziosi, responsabilità dell’appaltatore ecc. ?Il cittadino è soddisfatto perché ha ottenuto queste informazioni senza alcuna domanda e senza dover peregrinare per uffici che si rimpallano responsabilità o che fanno attendere 30 giorni per concedere la visione ed altri 30 per estrarre eventuale copia dopo, ovviamente, il nulla osta dei contro-interessati.

Il metodo A.C.T.A.  è il solo modo per rendere la trasparenza un’arma davvero efficace contro la corruzione. Gli opendata  che mostrano le delibere in pdf senza incrociare i dati non servono.

E’ stato il Decreto Legislativo 33/2013 attuativo della legge 190 del 2012 chiamata proprio “Anticorruzione”, ad istituire l’Accesso Civico, strumento per conoscere e valutare l’operato delle Pubbliche Amministrazioni; in questo Decreto, che  dovrebbe essere obbligatoriamente insegnato a scuola, si legge: “La trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.

Tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli.  Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione sono rese accessibili dall'amministrazione di appartenenza.” Testuale.?Nel Decreto Madia questi principi sono solo enunciati e non vedono concreta attuazione.

Ammettendo si volesse dare applicazione alle due Leggi Anticorruzione e Trasparenza, sorge l’enorme problema che le nostre Pubbliche Amministrazioni non sono né preparate né attrezzate per questa rivoluzione. Partiamo da un contesto nel quale una richiesta di accesso agli atti è vista come un fastidio, per dirla con un eufemismo.

Anche volendo non si riuscirebbe mai a far diventare “trasparenti” i nostri Atti Amministrativi che sono pensati, scritti e pubblicati praticamente alla stessa maniera del Testo Unico del 1934 eccezion fatta per la scansione in ".pdf". Sai l’innovazione!? Chiunque lo può constatare: le delibere o determine pubblicate in ".pdf" (magari in formato immagine) nel sito di qualsiasi Ente non consentono certo di valutarne la correttezza.
Il dibattito sul Decreto Madia riguardante l’Accesso agli Atti della Pubblica Amministrazione sembra invece svolgersi su due piani incomunicabili che non risolvono il problema.

Da un lato le critiche all’eccessiva discrezionalità lasciata alla Pubblica Amministrazione nel concedere o meno la conoscenza degli Atti, con il meccanismo del silenzio/diniego che è la morte del concetto stesso di trasparenza: tu, cittadino, mi chiedi di vedere un atto ed io (P.A.) sono libera di non risponderti; e se proprio hai voglia, tempo e soldi, fai un bel ricorso al T.A.R.  

Il ministro Madia ha risposto alle critiche opponendo la necessità di un bilanciamento di interessi che fissa alcuni limiti al “diritto di sapere” come ad esempio gli atti che riguardano « la formulazione o lo sviluppo delle politiche di governo».

Ma qui non si tratta di proteggere chissà quali segreti di Stato, si chiede solo di poter sapere subito e senza filtri o lunghe attese se quel tale appalto è stato aggiudicato con un forte ribasso, compensato da successive varianti e nuovi prezzi, magari ad una ditta prestanome formalmente in regola con le carte che ha subappaltato i lavori agli “amici degli amici”.

Non è fantascienza, ma un uso saggio delle tecnologie disponibili. Si può fare, basta volerlo.

Giuliano Bastianello
imprenditore nei Beni Culturali
insegnante di storia dell’Arte
progettista multimediale