Racconto, saggio, riflessione problematica sull’essere ebrei nel XX secolo. Opera di un narratore sapiente che è anche giornalista di razza

Wlodek Goldkorn
La prima pagina è struggente. ?La zia Chaitele, cugina del padre, ebrea, durante la Seconda guerra mondiale ?si nasconde nei boschi. Un giorno arrivano i tedeschi e deve fuggire dal nascondiglio. Ha in braccio un bambino piccolissimo. Lo abbandona nella neve. Lei si salva. Così comincia il libro ?di Wlodek Goldkorn. Quel bambino ?è senza dubbio lui, il piccolo Wlodek cresciuto nella Polonia del dopoguerra da due genitori comunisti ed ebrei scampati alla strage fuggendo in Urss, dove è morta di stenti la loro prima figlia.

Autobiografia, racconto, saggio, riflessione problematica sull’essere ebrei nel XX secolo, “Il bambino nella neve” è un’opera letteraria, almeno nelle prime cento pagine con la rievocazione della propria infanzia ?a Katowice, città di minatori e operai metallurgici, a breve distanza da Auschwitz, in una casa per i funzionari del partito comunista, cui appartiene ?il padre.

Memoria
'Il bambino nella neve', autobiografia e viaggio nel secondo Novecento
2/5/2016
Una genealogia famigliare con storie incredibili, meravigliose e terribili. Il punto di vista del narratore è quello rasoterra del bambino. Poi nel 1965 comincia l’antisemitismo di sinistra, se così possiamo dire, e un bel giorno del 1968 i Goldkorn partono con 5 dollari a testa e una valigia per Vienna. Vanno in Israele. Wlodek rimpara a vivere in quel paese che inizialmente crede la propria patria. Più rapida e meno dettagliata questa parte, certamente dolorosa, ma non come quella delle nevi polacche, perché intanto il bambino è cresciuto, è diventato un ragazzo, un contestatore.

Dopo il servizio militare va in Germania, ma neppure lì si sente a casa propria. Arriverà, come un personaggio di “Se non ora, quando?” di Primo Levi in Italia, a Firenze. Nell’ultima parte del volume c’è il ritorno in Polonia, proprio come all’inizio del libro, non per trovare ?il sé bambino; ora ci va per visitare ?il cimitero di famiglia: Auschwitz. Lì ci sono le ceneri dei famigliari, la nonna, ?i cuginetti. A scrivere quelle pagine ?è il giornalista. Pagine ricche di storia che s’intervallano con ricordi e incontri. ?

Va a visitare i Lager con una fotografa, Neige De Benedetti, le cui immagini arricchiscono di narrazioni il libro. Racconta la storia di questi luoghi. Meno struggenti e liriche, contengono tuttavia alcune perle. Come quando ?va a Treblinka con Marek Edelman, ?il leggendario comandante della rivolta del Ghetto di Varsavia, suo padre putativo. Si mangia le unghie per il nervosismo fino a ferirsi un dito. Marek lo vede sanguinare. «Niente, due gocce di sangue», risponde Wlodek conscio ?di dove si trovano. Marek: «Effettivamente è una cazzata». ?Un libro sulla memoria, personale ?e collettiva, che dà da pensare ?e si legge d’un fiato.