Pakistano per origine, laburista, è il nuovo sindaco della capitale inglese. Ecco la sua storia. Dagli umili natali fino al successo

Sadiq Khan
"Quando Blair mi disse che in quanto parlamentare musulmano ero responsabile degli attentati del luglio 2005, gli risposi che allora lui lo era per il Ku Klux Klan", racconta Sadiq Khan, 45 anni, nuovo sindaco di Londra.

Primo musulmano ad entrare a Westminster, primo a diventare ministro, ha strappato a Boris Johnson il timone della City. Un risultato che non sorprende dopo una campagna conservatrice che ha puntato sulla sua fede islamica per dipingerlo come una minaccia.

Elezioni
Gran Bretagna al bivio Brexit e Londra sceglie il nuovo sindaco
20/4/2016
Già, perché è difficile fare leva sulla paura del diverso in una città in cui il 55 per cento delle persone fanno parte di una minoranza. In cui dagli anni 70 la percentuale di inglesi bianchi si è più che dimezzata - oggi sono solo il 45 per cento, dopo un’emorragia di quasi 700 mila persone. In cui sono quasi mezzo milione le persone che hanno genitori di origini diverse fra loro.

I dati forniti da “This is London” di Ben Judah (Picador) - un affresco della Londra dei migranti - descrivono una città troppo multiculturale per lasciarsi incantare da chi accusa Khan di essere un “pericoloso estremista”. Nella capitale l’elezione di un sindaco musulmano viene promossa, al contrario, come una “medicina contro il radicalismo”.

Sadiq Khan è figlio di rifugiati. Nel 1947, l’anno della divisione fra India e Pakistan dopo la dipartita degli inglesi, i genitori migrarono verso la Repubblica islamica fondata da Ali Jinnah. Poco dopo rifecero i bagagli alla volta di Londra, dove nacque Sadiq. Il suo avversario Zac Goldsmith ha tentato di speculare sulle atrocità di quel divorzio fra musulmani e hindu - che Gandhi tanto voleva scongiurare - mettendo in guardia la comunità indiana della City dal rischio di ritrovarsi con un sindaco pakistano a City Hall.

«Ci ha fatto solo una figuraccia, ma la strategia Tory che ignora le sue politiche insistendo solo su etnia e religione può diventare pericolosa», dice a “L’Espresso” Leah Kreitzman, assistente di Sadiq Khan e anima della sua campagna. «Furono anni difficili, come fu difficile l’approdo a Londra dei Khan, una famiglia davvero working class». La casa popolare assegnata nella periferia meridionale di Earlsfield, troppo stretta per due genitori e otto bambini. Quei letti a castello scomodi, in cui il candidato Labour dormì fino all’età di 24 anni. Le giornate passate senza mamma e papà, che «non potevano permettersi una pausa mai», ricorda Sadiq. L’avrà pure ripetuto alla noia, quel ritornello del «mio padre era un autista dell’autobus, e mia madre una povera sarta». Ma il messaggio ha bucato lo schermo, anche perché l’avversario Goldsmith non potrebbe incarnare meglio il privilegio di casta britannico. E nell’era Corbyn il profilo sociale conta per un candidato Labour.

«Il rapporto con Corbyn è complicato, da una parte deve distanziarsi da un leader così controverso, ma dall’altra non può fare a meno di noi per la sua campagna», dice James Schneider. Fra i leader del movimento “Momentum” - la corrente corbyniana del Labour - Schneider parla del candidato progressista senza eccessivo entusiasmo. Non è l’unico a trovare il self-made man del Labour un po’ grigio per carisma e pensiero politico. «È un grande organizzatore, efficiente, determinato, ambizioso, ma un po’ noioso», dice a “l’Espresso” un alto quadro del partito. «Hai presente quando a scuola ti trovi davanti un secchione, uno che si prepara su tutto e sa sempre tutto ma non ha genio o inventiva? Ecco, lui è un po’ così». Tanto allora ha potuto la sua disciplina, declinata sui ring di pugilato per poi essere applicata alle ambizioni di carriera. Dopo i lavori blue-collar per mantenersi studia e diviene avvocato, specializzandosi in diritti umani. La professione lo costringe a difendere alcuni loschi figuri, che ora i Tory usano per attaccarlo. Fra questi Zacarias Moussaoui, implicato negli attentati dell’11 settembre, sul cui caso lo studio di Khan venne interpellato per una consulenza.

Dopo la carriera da avvocato venne il decennio dell’ascesa politica, da consigliere di zona fino a ministro dei Trasporti dell’esecutivo di Gordon Brown. Negli ambienti del Labour si vocifera che il nuovo piano decennale partirebbe da City Hall, con obiettivo Downing Street. Pronto a calpestare chiunque risulti d’impiccio per il suo “cursus honorum”, Khan arriva a rivendicare il suo opportunismo come pragmatica “politica del fare” («la vita della gente la puoi cambiare solo quando vinci»). «Il suo percorso è frutto del suo impegno costante, ma non sarebbe stato possibile senza il sostegno di scuole, servizi pubblici, case popolari», dice Leah Kreitzman, l’assistente speciale, «Sadiq è dedito alla tutela del welfare perché ai servizi deve la sua vita». Proprio sulle case si gioca molta della campagna elettorale di Khan, che sostiene di poter arginare la gravissima crisi abitativa della capitale. E non si tratta solo dei domicili popolari, da anni insufficienti. Il prezzo medio di una casa ha superato il mezzo milione di sterline, e continua a crescere. “Queste elezioni sono un referendum sulla crisi abitativa”, esordisce il programma Labour per le amministrative.

«Khan indulge troppo nella retorica secondo cui sono gli investitori stranieri a causare la crisi, trattando le case come asset finanziari e lasciandole inutilizzate», dice però Kath Scanlon, esperta della London School of Economics. «Questo è vero in zone come Kensington, Chelsea e Mayfair, ma il problema è strutturale, demografico: nel 2020 saremo 9 milioni, addirittura 10 nel 2030, e non costruiamo con sufficiente velocità». Sul piano delle politiche economiche Khan fa promesse interventiste per «domare il mercato», anche se dice di voler essere «il sindaco più pro-business della storia». Vuole calmierare il costo degli affitti. Vuole costringere i grandi costruttori a mantenere prezzi abbordabili, e dare la precedenza ai londinesi rispetto agli acquirenti offshore. «Ma non potrebbe fare nulla di tutto ciò», dice Christine Whitehead, altra esperta della Lse, «non è nei poteri del sindaco. L’unica speranza è che i suoi proclami creino incertezza nel mercato, causando un abbassamento dei prezzi».

Non a caso il programma laburista propone una significativa devolution di poteri all’autorità municipale. «Crede di poter fare come noi scozzesi, che votiamo per il nostro parlamento proprio il 5 maggio», ride Alan Sked, «a noi non conviene più insistere sull’indipendenza, con il prezzo del petrolio così basso, ma lui beneficerebbe indubbiamente di un maggiore margine di manovra». Difficile che glielo concedano i quadri del partito conservatore, troppo impegnati nella spietata battaglia intestina che fa da preambolo al referendum sull’Ue del 23 giugno. Khan dovrà accontentarsi di congelare i prezzi dei trasporti pubblici, sono già altissimi e li vuole bloccare fino al 2020. Facendosi spazio nella marea umana di Victoria station viene da chiedersi se sia davvero una buona idea, o se alimenterà il sovraffollamento a livelli insostenibili. Certo è che fra i 2000 immigrati che arrivano a Victoria station ogni settimana - molto spesso per diventare residenti di Londra e acquisire il diritto di voto per le amministrative - in pochi si faranno impressionare dal pedigree meticcio di Sadiq Khan. Il linguaggio della paura declinato Zac Goldsmith si sta traducendo in un fiasco, almeno nei sondaggi. Mentre il sindaco di Londra Boris Johnson accusa Obama di opporsi alla Brexit soltanto perché in fondo al cuore rimane un “kenyota”, il pakistano Khan si prepara a prendere il suo posto come primo cittadino.