La selezione per decidere chi sarebbe partito per incitare la propria nazionale è passata attraverso i pestaggi tra i gruppi locali. Con regole precise sulla lotta a mani nude. I più meritevoli stanno difendendo l'onore del Paese contro le altre tifoserie di bandiera. Tra nazionalismi e xenofobia, i retroscena del calcio europeo in un campionato che si combatte fuori dagli stadi

"Si inizia a combattere solo contro un altro gruppo hooligan", "durante le partite della nazionale russa, tutti i gruppi devono essere uniti, senza combattere l'un l'altro”, "una persona a terra non deve essere attaccata. La si può attaccare solo se è in grado di continuare la lotta”.

Sono alcune delle regole delle eliminatorie degli ultras della Russia. Come le nazionali hanno disputato le partite per accedere a Euro2016, anche le tifoserie hanno le loro selezioni. Per rappresentare la propria nazione in un’occasione così importante bisogna meritarselo. A portare la bandiera devono essere gli hooligans migliori, i più tenaci, quelli che sono riusciti ad abbattere tutti gli altri gruppi. Perché non esiste una tifoseria di bandiera, per questo scegliere è d’obbligo.

I gruppi meritevoli si sono incontrati e scontrati per conquistarsi il posto sugli spalti francesi. Con regole precise, sul dove e quando, su come picchiarsi, con armi o a mani nude, sui giudici che avrebbero deciso il vincitore. La tradizione ultras di una volta rinnega l'uso di oggetti, si preferisce la lotta libera, al massimo con guantoni, ma il “calcio moderno” ha portato anche tirapugni, coltelli e pistole nelle dispute, soprattutto contro gli ultras “stranieri”.
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Si cerca sempre lo scontro uno a uno. Mai uno contro molti. Si cerca un luogo isolato. Magari un campo aperto, fuori dalla città, o una strada non di passaggio. Lontano dalla gente e dalle forze dell’ordine, che non intervengono perché sono storie tra ultras e se le risolvono tra loro. Si decide anche l’abbigliamento, per non correre il rischio di essere confusi con gli avversari. Si opta per le maglie del gruppo o si sta senza maglietta.

L’Europeo francese è stato inaugurato da una guerriglia durata tre giorni. Marsiglia è stata messa a ferro e fuoco dagli scontri tra tifosi russi, inglesi e gallesi. Trentacinque feriti, uno grave. Coinvolti anche i marsigliesi, tra i più temibili in Europa: si definiscono tifoseria di “sinistra” e “antirazzista”, nelle loro coreografie campeggia il volto di Che Guevara. Sono scesi in campo far valere il proprio onore. Perché il territorio va difeso. Dall’altra parte le maglie del Lokomotiv e del Cska, due squadre di Mosca, e lo Zenit San Pietroburgo, alleate per l’occasione, con le divise personalizzate e la scritta “Fuck Euro2016”.
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Il loro capo è Aleksandr Shprygin numero uno della tifoseria russa. Era stato espulso a seguito di Marsiglia, ma dopo essere stato riammesso ha incolpato i francesi: "C'è una caccia al tifoso russo". Ultranazionalista e con posizioni razziste, Shprygin lancia il saluto romano dalle curve ogni volta che può. Era stato trovato in possesso di duemila biglietti di partite degli europei venduti dalla Uefa alle diverse associazioni di tifosi nazionali e per questo stato arrestato. In patria sono venerati da molti: "Ottimo lavoro ragazzi!" ha scritto Igor Lebedev un parlamentare russo su Twitter.

Dal 10 giugno, data di inizio della competizione, sono volati manganelli e bottiglie, calci e pugni. Fumogeni e bengala sul terreno di gioco. Ci sono state invasioni di campo e scontri all’esterno degli stadi. E ancora ce ne saranno. L’Europeo più blindato della storia del calcio si è dimostrato in realtà molto fragile.
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Forse c’è chi si sarà stupito da tanta violenza, ma non sono comportamenti lasciati al caso. La squadra e la fede calcistica diventano motivo per creare una sorta di religione degli ultras.

Arriva da anni di addestramento fisico e mentale. Palestra, muscoli e arti marziali. Saper picchiare conta più di tutto. Anche l'aspetto merita un trattamento all'altezza. Tatuaggi con simboli e marchi: lo stemma del club di appartenenza, o il nome del gruppo ultras. Talvolta i gruppi sposano idee nazionaliste xenofobe. Per questo spesso sono rasati, a ricordo degli skin head. Come i tifosi polacchi, che si dicono "difensori dell'Europa", o i croati che hanno cantato cori razzisti ed esposto striscioni contro i migranti. “Refugees not welcome”, a sbeffeggio del motto circolato negli ultimi mesi.

Ma ci sono anche le tifoserie russe, ungheresi e balcaniche. Quest'ultime vantano una tradizione di conflitti che ha radici nelle guerre jugoslave. Durante gli scontri civili degli anni '90 gli ultras furono i primi a imbracciare le armi. Željko Ražnatovi?, conosciuto con il nome di Arkan, soprannominato la "tigre", guidò la Guardia Volontaria serba, un gruppo paramilitare. Prima della guerra era il capo dei Delije della Stella Rossa di Belgrado. Ancora oggi la curva della squadra serba e quella della Dinamo Zagabria ricordano i caduti con cori, monumenti e targhe appese sui muri degli stadi.

Dalle guerre jugoslave nasce anche la strana tifoseria albanese. Per la prima volta il paese dell'aquila bicipite partecipa agli Europei e lo fa incitato dai cosiddetti "kosovari albanesi", kosovari di nascita, ma che si sentono e dicono albanesi pur di non essere confusi con i serbi. 

I croati, come da copione, si sono resi protagonisti. Dopo aver iniziato il match contro la Repubblica Ceca con le lacrime per il capitano Darijo Srna che ha da poco perso il padre, sono passati ai bengala. A rappresentare il Paese è volata tra gli altri la Torcida Split, il principale gruppo ultras della Hajduk Split di Spalato e il più antico d’Europa. I tifosi durante il secondo tempo hanno iniziato a lanciare dalla curva alcuni petardi, bloccando la partita, e uno di questi è scoppiato in mano a uno steward. Sugli spalti poi sono scoppiati scontri tra gli stessi tifosi croati: da un lato la Torcida, dall’altro gruppi non organizzati che volevano evitare il rischio di espulsione dall’Europeo.
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E’ da tempo che i tifosi con la maglia a scacchi rosso-bianco usano la violenza per far parlare della situazione del calcio croato. Lo hanno fatto anche durante le qualificazioni con l’Italia a San Siro. Non solo questo, i pluridiffidati gruppi croati sostengono anche di essere stati provocati da serbi e bosniaci, da sempre loro rivali, con lo solo scopo di danneggiarli. Ce l’hanno con Zdravko Mami? l’attuale direttore esecutivo della federcalcio croata, accusato di abuso d’autorità, corruzione e appropriazione indebita di oltre 15 milioni di euro. Soldi fruttati grazie a un meccanismo di guadagni durante i trasferimenti dei giocatori.

La tifoseria denuncia che sedici giocatori della nazionale su ventitre avrebbero contratti di usura con Mami?, che per ogni compravendita continua a ottenere un bonus. Accanto a lui c'è Davor Šuker uno dei più grandi calciatori croati e presidente della federcalcio è accusato di aver rubato 25.000 euro in monete d’oro greche.

“Siamo amareggiati nel dover dire che i suoi giorni di gloria sono ormai lontani nel passato. Un giocatore che era visto un tempo come eroe nazionale, ora si è ridotto a nulla più che un criminale - scrivono gli ultras della Torcida in un comunicato - è una marionetta di Mami?”.

Ora la Uefa minaccia punizioni dure, dopo l’apertura di alcune procedure disciplinari contro Croazia, Turchia, Ungheria e Portogallo. Ma la sanzione secondo i regolamenti non si estende a eventuali scontri fuori dagli stadi, perché la federazione “gestisce solo ciò che avviene nelle strutture sportive, ciò che succede fuori dipende dalle autorità del Paese ospitante”.

In Italia le tifoserie esistono, ma non fanno i numeri degli altri Paesi. Non organizzano trasferte di bandiera, anche se qualche gruppo ultras parte. Le allenze mancano tra i confini e anche fuori. Al di là delle violenze, i sostenitori degli azzurri di certo non colorano lo stadio come si vede durante gli altri match. E anche gli inviti del ct Antonio Conte per ora sono caduti nel vuoto.