Parla il numero uno della società di ricerche di mercato Ipsos Mori, che è anche il più famoso sondaggista britannico impegnato in questi giorni sul referendum

Ben Page è il numero uno della società di ricerche di mercato Ipsos Mori ed è anche il più famoso sondaggista britannico impegnato in questi giorni col referendum sulla Brexit.

Page, cosa si aspettano gli inglesi da un’uscita dall’Europa?
«L’impatto della Brexit sarà molto forte per l’economia e il commercio. Così tutta la campagna di chi è a favore della permanenza nell’Europa, è fondata sui pericoli economici di un’eventuale uscita. La retorica economica è molto potente e ha già funzionato nel caso del referendum scozzese. Nonostante i sondaggi, alla fine ha prevalso l’istinto conservatore e la Scozia è rimasta all’interno della Gran Bretagna. In Inghilterra la gente tende a votare per la situazione esistente. Il voto per il “lasciare”, invece, è concentrato sulla retorica dell’immigrazione e del nazionalismo. Non sono argomenti razionali, al contrario, sono istanze emotive fondate su variabili intangibili come il patriottismo, il fastidio per un’immigrazione sempre più importante che impone sforzi al sistema sanitario nazionale e a quello educativo. Quello a favore della Brexit è poi anche un voto contro l’élite della City di Londra che più di altri beneficia della permanenza nell’Unione».
Il referendum
Brexit: una sciagura per chi la vuole
22/6/2016

Che ruolo hanno i fatti in questo referendum?
«Molto piccolo. È un referendum giocato tutto sull’emotività e sulla disinformazione. Ad esempio, il 46 per cento della gente non sa che i parlamentari europei sono eletti. Le persone scelgono i dati che fanno comodo o quelli a cui vogliono credere. Solo un quarto della popolazione pensa che le élite politiche siano capaci di decidere meglio di loro. La maggior parte crede che siano ignoranti e incompetenti. E poi c’è la stampa britannica nazionale: per vendere più giornali, sensazionalista e scandalistica com’è, per il 70 per cento è a favore della Brexit».
Intervista
Brexit vista da Milano: Carlo Altomonte
22/6/2016

Cosa rivelano i sondaggi?
«Entrambe le parti ritengono che l’uscita dall’Unione causerà una piccola rivoluzione economica ma, per chi vuole uscire, il temporaneo svantaggio sarà più che compensato dalla ritrovata autonomia decisionale e dai confini finalmente chiusi. Ultimamente abbiamo cominciato a misurare non soltanto le risposte ma anche come vengono date per capirne l’effettiva veridicità. In generale chi si esprime a favore del “lasciare” è meno deciso, si prende 2 o 3 secondi prima di rispondere: a dimostrazione che l’economia e il commercio, e le relative perdite, sono argomenti molto potenti di dissuasione. Il 20 per cento degli elettori è ancora indeciso e non prenderà una decisione definitiva fino a quando non sarà nel seggio. Non a caso, nonostante i sondaggi, gli scommettitori contano saldamente sulla vittoria del “restare”. Solo il 20-30 per cento dell’elettorato è chiaramente a favore di un’uscita dall’Europa».
Intervista
Brexit vista da Parigi: Jean-Paul Fitoussi
22/6/2016

La Brexit è leggermente avanti nei sondaggi più recenti...
«Nelle ultime due settimane prima del referendum scozzese il partito di chi avrebbe voluto lasciare la Gran Bretagna era addirittura avanti di cinque punti ma alla fine ben il 55 per cento degli scozzesi ha votato per restare. Ha prevalso il conservatorismo pragmatico degli anglosassoni. Anche adesso il 60 per cento della popolazione potrebbe scegliere di restare mentre solo il 20-30 per cento di abbandonare l’Europa».
Intervista
Brexit vista da Berlino: Marcel Fratzscher
22/6/2016

Numeri molto diversi da quelli dei sondaggi attuali...
«La grande differenza nei sondaggi è data sia dal divario tra gli elettori registrati e quelli non (i sondaggisti finora hanno pescato nel mucchio della popolazione in generale, compresa quella fetta che non si recherà a votare) e dalle differenze tra le persone che si sentono al telefono e quelle che si esprimono online. Chi s’iscrive per partecipare a un sondaggio online è normalmente molto determinato, in un senso o nell’altro».
Come mai permane in Gran Bretagna uno scarso senso di appartenenza al progetto europeo?
«Da noi c’è ancora chi parla di “andare nel Continente” quando si riferisce all’Europa. L’Europa è vista come un posto con gente strana, sempre in guerra o nel bel mezzo di qualche problema. Un posto pericoloso. L’Inghilterra non ha mai subito il livello di distruzione che per secoli ha caratterizzato l’Europa e per questo non sente l’esigenza di un’Europa unita. L’unica eccezione sono gli inglesi sotto i trent’anni che per due terzi sono favorevoli all’Europa ma che spesso non votano».