La Cassazione dà il primo via libera all'adozione del figlio del partner, che fu stralciata dalle Unioni civili: da ora sarà molto più facile per i Tribunali dire sì ad aspiranti madri e padri. "L'inclinazione sessuale del richiedente non ha rilievo", e nemmeno il tipo di relazione col partner: "Resta preminente l'interesse del minore"

Da oggi sarà molto più facile per i Tribunali dire sì alle aspiranti seconde mamme e secondi papà, concedendo l’adozione coparentale alle coppie omosessuali. Dai supremi giudici della Cassazione è infatti arrivato il primo via libera alla stepchild adoption: proprio quel sì che la politica preferì non pronunciare, stralciando la norma dalla legge sulle unioni civili. Così la stepchild, cacciata dalla porta in nome delle tante perplessità dei cattolici e dell’accordo del Pd con i centristi di Alfano, rientra dalla finestra e si fa strada adesso per via giurisprudenziale. Un esito largamente prevedibile, e già infatti previsto – nel Pd - ai tempi del compromesso sul ddl Cirinnà in Senato: la legge, non a caso, prudentemente “fa salva la giurisprudenza” in materia di adozioni, cioè evita di ostacolare le decisioni dei giudici, lasciando per lo meno sgombro il vuoto normativo che, pilatescamente, aveva confermato.

Adesso comunque ciò che era probabile diventa certo: arriva la sentenza storica, che fa gioire le Famiglie Arcobaleno e le altre associazioni Lgbt, il Pd la sinistra e i radicali, e fa arrabbiare i cattolici come Massimo Gandolfini, portavoce del Family day, il duo di Idea Roccella-Quagliariello, i cattolici di Fi, eccetera. La decisione della prima sezione civile della Cassazione, collegio presieduto da Salvatore Di Palma, si riferisce al caso di due donne romane, che si erano sposate in Spagna dal 2003 e avevano avuto una figlia nel 2009 con l’eterologa. Il loro caso aveva già segnato una novità: nel 2014, infatti, il tribunale dei minori di Roma aveva riconosciuto proprio per loro la stepchild adoption per la prima volta. Ma era soltanto il primo grado. Confermata in appello nell’ottobre 2015, la sentenza è stata oggetto di ricorso in Cassazione da parte della procura generale di Roma.

Perché? Secondo il procuratore generale Giovanni Salvi, oltre alla necessità di raggiungere una interpretazione univoca in “assenza di normativa”, c’era il rischio di un conflitto di interessi tra la bambina e la sua mamma, e dunque era necessario nominare un curatore speciale della minore. Una motivazione che la sentenza di oggi fa a pezzi: “L’unica ragione” per parlare di “incompatibilità di interessi” tra madre e figlia, scrivono i giudici, può essere nel fatto che la genitrice voglia “consolidare” la propria unione. Ma questo, aggiungono i giudici, non può essere considerato a priori un male per la bambina, qualcosa che leda il suo interesse: anzi, ritenere che “sia proprio la relazione sottostante (coppia omoaffettiva) ad esser potenzialmente contrastante con l’interesse della minore”, sarebbe “discriminatorio”, “una inammissibile valutazione negativa fondata esclusivamente sull’orientamento sessuale della madre della minore e della richiedente l’adozione”. Niente conflitto di interessi dunque.

La sentenza respinge anche le motivazioni della sostituta procuratrice della Cassazione Francesca Ceroni, stabilendo di fatto che la norma sull’adozione in casi particolari della legge 184 (quella che i Tribunali hanno finora usato per la stepchild adoption) è applicabile anche quando non si è in presenza di minori abbandonati o orfani: cioè vale appunto anche quando il minore è amato e accudito dal genitore biologico.

Dunque, l’adozione del figlio del partner può essere ammessa “sempre che alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore”. Nella valutazione, oltretutto, non ha rilievo “l’inclinazione sessuale del richiedente” e la natura della relazione col partner.

In mezzo alle reazioni di giubilo o di critica, due questioni rimangono comunque aperte. La prima, sollevata da Aurelio Mancuso di Equality e dalla Associazione Luca Coscioni, riguarda la riforma della legge sulle adozioni, annunciata e finita nel dimenticatoio. La seconda la solleva Melita Cavallo, la giudice minorile che scrisse la sentenza di primo grado di questo stesso caso: l’adozione del figlio del partner adesso diventa più facile per le coppie omosessuali,  spiega Cavallo, ma “il riconoscimento non è automatico”  come lo è per i conviventi. Serve sempre un tribunale: “La corte europea per i diritti dell’uomo potrebbe ritenere ciò discriminante e condannare l’Italia”. Ecco, dunque il nuovo orizzonte di scontro.