Tutto quello che c'è da sapere sulla legge sul riconoscimento delle coppie omosessuali

Che cos’è la legge sulle unioni civili?
Approvata mercoledì 11 maggio 2016 con 372 sì, 51 no, 99 astenuti, la legge nasce dal disegno di legge che porta il titolo di “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”. Durante la discussione è stato spesso indicato con il nome della senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà prima firmataria dell'iniziativa parlamentare. 

Cosa sono le unioni civili?
La nuova legge regolamenta l’unione civile tra persone dello stesso sesso: le coppie omosessuali, qualificate come “specifiche formazioni sociali”, potranno usufruire di un nuovo istituto giuridico di diritto pubblico denominato unione civile.

A tal proposito si fa riferimento alla Costituzione con l'articolo 2, relativo ai diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali e all’uguaglianza dei cittadini senza distinzione di sesso, e l'articolo 3, sulla pari dignità sociale dei cittadini senza distinzione di sesso.
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Come funziona l'unione civile?
L’unione civile tra due persone maggiorenni avverrà di fronte a un ufficiale di stato e alla presenza di due testimoni e verrà registrata nell’archivio dello stato civile. Gli atti dell'unione, indicanti i dati anagrafici, il regime patrimoniale e la residenza vengono registrati nell'archivio dello stato civile. Le parti possono stabilire, per la durata dell'unione, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi, anche anteponendo o posponendo il proprio cognome se diverso. Per il resto il ddl estende alle coppie dello stesso sesso i diritti previsti dal matrimonio civile.

Chi non rientra nelle unioni civili?
Non possono contrarre unioni civili le persone che sono già sposate o sono parte di un’unione civile con qualcun'altro; quelle interdette per infermità mentale; quelle che sono parenti; quelle che sono state condannate in via definitiva per l’omicidio o il tentato omicidio di un precedente coniuge o contraente di unione civile dell’altra parte; quelle il cui consenso all’unione è stato estorto con violenza o determinato da paura.
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Sono uguali a un matrimonio? 
E' un legame diverso dal matrimonio fra eterosessuali, anche se presenta molti doveri e diritti in comune. Il comma 20 dice ancora esplicitamente che, al fine di tutelare diritti e doveri, “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio” in tutte le altre leggi, e quelle che contengono le parole “coniuge” e “coniugi”, si intendono applicate anche alle persone che si uniscono civilmente.

Il matrimonio si differenzia per l’obbligo di usare il cognome dell’uomo come cognome comune, attendere un periodo di separazione da sei mesi a un anno prima di sciogliere l’unione (per le unioni civili ne bastano tre), la possibilità di sciogliere l’unione nel caso che non venga “consumata” e fare le “pubblicazioni” prima di contrarre l’unione.

Le distinzioni maggiori riguardano la stepchild adoption e l’obbligo di fedeltà. Entrambe presenti nel testo originario del ddl (art. 5 la stepchild adoption, art. 3. l'obbligo di fedeltà), ma eliminate dopo il voto in Senato di febbraio.

Come funziona in casi di adozione?
Il testo originario del ddl prevedeva la stepchil adoption, letteralmente “l’adozione del figliastro”. La possibilità cioè che il genitore non biologico adotti il figlio, naturale o adottivo, del partner. Questa parte è stata stralciata dopo il voto in Senato del 25 febbraio. In Italia è invece prevista per le coppie eterosessuali sposate da almeno tre anni o che abbiano vissuto more uxorio (“secondo il costume matrimoniale”, cioè in sostanza convivendo) per almeno tre anni, ma siano sposate al momento della richiesta. Nel ddl è stato però inserito un comma che precisa che "resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti", una specifica che non vieta che i giudici si possano pronunciare sui casi di adozioni per le coppie gay.
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Vale l’obbligo di fedeltà per le unioni civili?
No. Anche se la prima stesura della legge lo prevedeva. Nel matrimonio eterosessuale e' un obbligo regolato dal Titolo VI del codice civile in cui le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri: hanno l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. 

Come si divorzia dalle unioni civili?
Con le stesse modalità di un matrimonio, ma viene applicato il divorzio breve: bastano infatti tre mesi di separazione anzichè sei. Serve manifestare la volontà di separazione di una delle due persone manifestata davanti all’ufficiale di stato civile. In questo caso l’unione si scioglie dopo tre mesi dalla dichiarazione.

Come funziona per successori, eredità e reversibilità?
Su questi temi si applica il codice civile sul regime patrimoniale della famiglia e la comunione dei beni. Si regolano i diritti successori e le norme sulla reversibilità alla stessa maniera. 

E per il cognome e la comunione dei beni?
Le due persone possono scegliere quale cognome comune assumere, tra i loro due (nei matrimoni, invece, la moglie è tenuta ad aggiungere quello del marito al suo); si può anche anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome. Le due persone concordano una residenza comune e possono decidere, come per il matrimonio, di usare il regime patrimoniale della comunione dei beni.

Cosa succede in caso di cambio di sesso? 
La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione gay. Viene inoltre stabilito che in caso di cambio di genere all'interno di una coppia sposata, anche se i coniugi manifestano la volontà di non farne cessare gli effetti civili, il matrimonio viene sciolto automaticamente e trasformato in unione civile. 
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È vero che le unioni civili permetteranno la pratica dell’utero in affitto?
No, in Italia è proibita. C'è chi pensa però che con il riconoscimento delle unioni civili aumenterà il numero di coloro che si recheranno in paesi in cui è possibile avere un figlio da una donna che porta a termine la gestazione. 

Perchè la legge riguarda anche gli eterosessuali?
La seconda parte della legge e disciplina la convivenza di fatto tra due persone, sia eterosessuali che omosessuali, che non sono sposate che potranno stipulare i contratti di convivenza, in forma scritta, davanti a un notaio. È un rapporto che lega due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile. 

Cosa prevede un "contratto di convivenza"?
I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un "contratto di convivenza", redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato. Il contratto può contenere: l'indicazione della residenza, le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo, il regime patrimoniale della comunione dei beni come da codice civile. Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento. Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione.

Si differenzia dal matrimonio?
I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario, in caso di malattia o ricovero, in caso di morte (per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie).

Come ci si separa da un contratto di convivenza?
Il contratto di convivenza si risolve per accordo delle parti, recesso unilaterale, matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona, morte di uno dei contraenti. La risoluzione del contratto di convivenza determina lo scioglimento della comunione dei beni. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l'abitazione.
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Cosa succede con l'assegno di mantenimento?
In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati, l'obbligo alimentare del convivente è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle. 

Diritto alla casa, cosa succede in caso di morte?
In caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Se nella stessa casa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Il diritto alla casa viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitarvi stabilmente o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto. Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.

E per le case popolari?
Nel caso in cui l'appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto. 

Quali diritti ha il convivente nell'attività di impresa?
Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonchè agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.