La classe media impoverita disconosce le élite di governo, di destra e di sinistra, percepite come lontane dai bisogni del Paese. La vecchia Ue è finita. Ecco i possibili nuovi scenari

Con il voto inglese l'Europa come ce la ricordiamo è bruciata. E con lei in fumo è andata anche quella vague di globalizzazione a rotta di collo che l'Occidente aveva inaugurato alla fine degli anni Ottanta. E in cui la maggior parte dei cittadini occidentali non vede più un moltiplicatore di benessere ma, al contrario, una portatrice di miseria.

Il 23 giugno 2016 è una data che rimarrà nei libri di storia: il 72 per cento dei britannici ha votato al referendum sulla Brexit e il 52 per cento di loro ha espresso il desiderio che la Gran Bretagna esca dall'Unione europea.

Tre le motivazioni di base: il fastidio verso un'Europa percepita come un ostacolo alla realizzazione piena dello splendore della vecchia Inghilterra regina del commercio mondiale; l'intolleranza non tanto verso i migranti europei in sé ma contro la parificazione del loro accesso al generoso sistema assistenziale britannico imposto dall'Unione (in nome dell'uguaglianza di diritti tra tutti i cittadini europei). Infine, il disconoscimento delle élite di governo, di destra e di sinistra, percepite come lontane dai bisogni del Paese e intente solo alla soddisfazione degli interessi loro e dei loro accoliti.
[[ge:rep-locali:espresso:285213268]]
La Brexit «non rappresenta forse un shock sistemico al sistema finanziario come il crollo di Lehman nel 2008 o un'eventuale dipartita della Grecia dall'euro», scrive Ric Deverell in un report del Credit Suisse, «ma è sicuramente un potente momento di svolta. La Gran Bretagna ha fatto un passo indietro dalla globalizzazione in linea con la tendenza mondiale. E le conseguenze di medio periodo sia in termini di crescita economica che di utili d'impresa e di valore dei capitali saranno rilevanti».
Intervista
Brexit, l'economista: «Situazione disastrosa, ora aspettiamo il Parlamento»
24/6/2016

Con la volontà di divorzio dall'Europa a essere messo in discussione è il funzionamento stesso dell'Europa in questi ultimi, difficili otto anni. Quando la crisi economica ha morso l'Europa, questa ha morso a sua volta i suoi cittadini, anziché aiutarli. Quando l'invasione degli immigrati ha travolto un Continente evidentemente impreparato, l'Europa non ha saputo trovare strutture e rimedi comuni ma ha lasciato ognuno a difendersi da solo in nome di un trattato (quello di Dublino) antiquato che anziché agevolare l'Unione ha amplificato la distanza tra paesi membri in barba al principio di solidarietà. E se a Bruxelles si sostiene che la colpa non sia delle Istituzioni, mere esecutrici, ma del Consiglio europeo, ovvero dei rappresentanti dei governi nazionali, incapaci di individuare moderne soluzioni comuni a crisi di dimensioni mai incontrate prima, i cittadini non fanno distinzioni. Prima soffrono, poi si ribellano.
[[ge:rep-locali:espresso:285213237]]
La crisi economica ha unito in un abbraccio mortale l'Unione europea e la globalizzazione. Essendo la Ue innanzitutto uno strumento di liberalizzazione dei commerci e di massimizzazione dei ricavi è stata per mezzo secolo anche uno dei binari principali su cui è corsa la globalizzazione.

Ora che la classe media occidentale, a differenza delle élite politiche ed economiche che hanno beneficiato tremendamente da questi processi, ha visto diminuire i suoi redditi a favore dell'incremento di quelli di altri popoli, chiede uno stop. A tutto. Alla libera circolazione delle persone. A quella delle merci. Perfino a quella dei capitali perché tanto non ritiene che la cosa li tocchi minimamente. Dunque che crollino le borse, magari porteranno con se nella discesa anche i prezzi delle abitazioni.

A mezzo secolo dall'ultima guerra, in un mondo governato sempre più dagli interessi economici di pochi e sempre meno da una politica di vasto respiro, l'Europa, così come l'abbiamo costruita, non serve più.
Refendum
Regno Unito, Brexit ha vinto grazie agli anziani
24/6/2016

Questo è il sentimento comune con cui dovranno fare i conti il parlamento e il nuovo governo inglese che succederà a quello di David Cameron subito dopo l'estate (molto probabilmente sotto la guida dell'ex sindaco di Londra Boris Johnson) ma anche l'Europa con cui si troveranno a trattare.

Vediamo i prossimi passi e gli scenari possibili.

Innanzitutto il parlamento dovrà votare l'uscita dall'Unione europea come stabilito dall'articolo 50 dell'antiquato (pure quello) trattato di Lisbona. E lo dovrà fare nonostante un parlamento che in maggioranza sarebbe a favore del rimanere in Europa, dettaglio che aprirà inevitabilmente complessi e instabili scenari politici.

Successivamente il nuovo governo anti Ue dovrà iniziare a negoziare con Bruxelles i termini degli accordi economici mentre, al contempo, cercare di non far sprofondare il Paese nell'incertezza. Dalla data della richiesta di uscire l'Inghilterra avrà due anni di tempo per negoziare i termini. Allo scadere sarà automaticamente fuori, salvo possibili proroghe.

Al momento due sono gli scenari di accordo più probabili. Il tanto chiacchierato scenario “norvegese” - ovvero una situazione in cui la Gran Bretagna per poter commerciare con l'Unione europea dovrà accettare tutte le regolamentazioni Ue (eccetto quelle che riguardano pesca e agricoltura), permettere la mobilità delle persone e infine versare il suo contributo al fondo di solidarietà europea - è a questo punto il meno probabile. Gli inglesi vincitori hanno più volte dichiarato la propria contrarietà alla circolazione libera delle persone e il pagamento di qualsiasi tipo di dazio all'Europa.

Il secondo invece potrebbe essere offerto su un piatto d'argento proprio dall'Unione. Si tratta dell'accordo commerciale appena finalizzato tra Europa e Canada, poco controverso, accomodante verso le esigenze di entrambe le sponde dell'oceano e giuridicamente il più evoluto di tutti gli accordi commerciali in essere al momento.

In ogni caso il sogno di una Europa unita commercialmente e politicamente, un blocco egemone nella geopolitica mondiale è finito. Tra gli applausi di Russia, Cina e Turchia, adesso più forti sia contro l'Unione che contro la Gran Bretagna. Come se la lezione romana del “dividi et impera” non fosse mai arrivata oltre Manica.
Governo
Brexit, Renzi: "L'Europa resta casa nostra, ma va ristrutturata"
24/6/2016

Ad essere più debole non sarà solo l'Europa. La presidente scozzese Scotland Sturgeon ha dichiarato che un secondo referendum sull'uscita dal Regno Unito per entrare nella Ue è “altamente probabile” perché il posto della Scozia è all'interno dell'Unione e, viste le circostanze, non avrebbe senso che Londra ostacolasse la fuoriuscita. Contestualmente l'ipotesi di un referendum per unire l'Irlanda del Nord all'Irlanda con l'intento di rimanere in Europa è crollata da 8 a 4 sulle tavole dei bookmaker in una notte. Della Gran Bretagna rischia di rimanere poco. La Little England guidata da una capitale cosmopolita che dall'Europa non aveva intenzione alcuna di andarsene.

E, come ha sottolineato il candidato presidenziale repubblicano Donald Trump, potrebbe essere solo l'inizio. L'Europa rischia, se non soccorsa in tempo, di perdere presto altri pezzi.