
A Roma, con il direttorio a cinque, di fatto dominato da Luigi Di Maio, favorito per la corsa a Palazzo Chigi, e da Alessandro Di Battista, grande vincitore della sfida romana. E nei comuni d’Italia, con una nuova classe dirigente: fatta di tecnici, accademici, e di professionisti trentenni, avvocati, molte donne. Un mix di saperi e movimento, il nuovo volto della “rivoluzione” a Cinque stelle, in cammino verso il governo del Paese.
E se nel 2013, a chi bollava il loro come un “voto di protesta”, i Cinque stelle rispondevano essere la loro una vittoria “sulle proposte”. Adesso anche la risposta è un’altra: ha vinto il cambiamento, concetto alato, che va ben oltre le proposte. Anche la nuova carica a Cinque stelle è diversa dalla precedente. Nel giugno di due anni fa, Filippo Nogarin concluse la sua campagna elettorale dicendo che già essere arrivato «al ballottaggio è da considerare una vittoria». Il senso di una forza d’urto che colpisce anche un po’ a caso, si è invece completamente perso. Dietro le vittorie, più che la sorpresa, l’improvvisazione, c’è un percorso ragionato, organizzato. Insomma magari l’atmosfera «è la stessa», come scrive Nogarin. Gli strumenti no.
LE SINDACHE E GLI STAFF
Dietro la vittoria di Raggi e di Appendino, per dire, ci sono anni da consigliere di opposizione, necessari a dare la credibilità di una qualche esperienza. In entrambi i casi c’è, dato molto politico, lo scavalcamento dei grillini della prima ondata, magari più smanettoni e meno telegenici: Vittorio Bertola, a Torino; e a Roma Marcello De Vito - che però nella Capitale è stato il più votato, ed è stato individuato dai poteri forti (leggi: Caltagirone) come un possibile interlocutore. E in entrambi i casi, c’è un mix tra politico e tecnico che si appoggia a una struttura comunicativa forte.
Un sistema di portavoce al cui vertice nazionale c’è Rocco Casalino, ormai saldamente nella sua seconda vita dopo quella del Grande Fratello, onnipresente nei momenti, nelle scalette, e nei sì e nei no che contano. Un sistema che, nel caso delle due sindache si articola poi in una doppia figura. Accanto alla neo-sindaca di Torino, ci sono due specie di angeli custodi. Uno è il suo capo ufficio stampa Luca Pasquaretta, giornalista, che scriveva di Juventus per “Messaggero” e “Qn”, noto nell’ambiente per non mandarle a dire e per taluni scivoloni. Come quello sulla tv locale “Quarta rete”, quando dovette scusarsi per aver dato ai napoletani della «tifoseria di merda».
L’altro è il suo portavoce, e prossimo capo di gabinetto: Paolo Giordana, col quale ha scritto a quattro mani il libro-manifesto “La città solidale, per una comunità urbana”. Personaggio molto influente dei Cinque stelle torinesi, Giordana è arrivato al comune nello staff dell’allora assessore Paolo Peveraro, e nel suo profilo twitter si descrive così: “Funzionario pubblico, prete, appassionato di politica: un miscuglio esplosivo!”. Per quattro anni, fino al 2014, Giordana era in effetti fra l’altro parroco della Chiesa Metropolita Ortodossa in corso Inghilterra, poi venduta per farci un sushi bar. Ora si fa notare per la sua “invasività”: martedì girava per gli uffici del comune «con gli elenchi di dirigenti da promuovere ed estromettere», si è lamentato l’uscente Piero Fassino.
A Roma, più che semplice portavoce, vero e proprio tramite col movimento è per Virginia Raggi Augusto Rubei, giornalista per varie testate, esperto di esteri, già consulente dell’M5S alla Camera prima dell’attuale incarico. L’uomo di cui Raggi si fida di più è invece Daniele Frongia. Il legame è talmente stretto che nei mesi, prendendo a pretesto la crisi coniugale della neo-sindaca, si è scritto anche di un rapporto tra i due, smentito però dalla stessa Raggi. Hanno condiviso i banchi della sala Giulio Cesare, del consiglio comunale, questo sì. E dall’esperienza in Consiglio Frongia ha tirato fuori un libro, “E io pago” (Chiarelettere), che Raggi inserisce tra i suoi preferiti.
Frongia potrebbe diventare il suo capo di gabinetto, sarà comunque nella cabina di regia, il tramite con i vertici del Movimento. Presidente della commissione sulla spesa pubblica del Comune di Roma, lui di numeri e materiali da mettere nei dossier di Raggi ne ha sicuramente molti. Ricorderà al sindaco, ad esempio, che la Chiesa costa al Comune di Roma 404 milioni di euro all’anno tra tasse evase e finanziamenti non dovuti, e che 200 milioni può valere la riorganizzazione degli immobili. La sua è però anche una posizione politica, di garanzia. Statistico, informatico, nell’unità “piattaforme web e strumenti collaborativi” dell’Istat, è esperto di reti, il ponte perfetto per la Casaleggio Associati.
TECNICI, TECNICI
Fuori dagli stretti cerchi magici, o come si vogliano chiamare, al movimento tocca però affidarsi ai tecnici. Un po’ in virtù del criterio grillino di merito&professionalità, un po’ perché M5S non ha certo il personale politico delle formazioni abituate a governare. Ne sanno qualcosa a Roma, dove hanno una qualche esperienza di amministrazione appena 20 dei 200 eletti nei 12 municipi conquistati (su 14) e si è aperta la caccia per trovare in breve tempo i 72 assessori necessari (c’è chi ha messo un annuncio su Facebook).
A Torino, comunque, Chiara Appendino ha scelto il presidente dell’Arcigay Marco Alessandro Giusta per occuparsi di giovani e pari opportunità, mentre a guidare Bilancio e Risorse umane ha chiamato Sergio Rolando, che aveva lo stesso ruolo nella giunta leghista di Roberto Cota; al Welfare ha voluto la sociologa ed economista Sonia Schellino, che è cresciuta in due dei maggiori centri di potere di Torino: la Fondazione Agnelli prima, e poi giusto la Compagnia di San Paolo, dove per quindici anni è stata manager per il no profit; dal Politecnico (storia dell’architettura) viene Guido Montanaro, che andrà all’Urbanistica e secondo Fassino farà il “Signornò”, e sempre dall’università viene Paola Pisano (Innovazione), mentre per lo Sport c’è l’ex dirigente Coni Roberto Finardi.
Il rischio però è che, questi assessori tecnici, come è successo a Filippo Nogarin e a svariati altri sindaci pentastellati, dopo sei mesi come sono venuti se vadano. È la condizione posta ad esempio da Paolo Berdini, il primo nome reso noto da Virginia Raggi per aprire alla sinistra. Urbanista della scuola di Antonio Cederna e Italo Insolera, una carriera di puro accademico a parte una breve consulenza con la Regione Lazio (con Insolera ha aggiornato la bibbia dell’urbanistica romana, “Roma Moderna”), è convinto che «a Roma non c’è più bisogno di costruire» e vuole ridiscutere anche il progetto dello Stadio, oltreché le Olimpiadi: ma a tutti gli amici ha già detto che se non avrà libertà di manovra andrà via subito.
Oltre a lui, ad ogni modo, Raggi ha messo in carnet Luca Bergamo alla Cultura, Paola Muraro all’ambiente e rifiuti, Andrea Lo Cicero allo Sport, e ragiona per le Partecipate su Antonio Blandini, docente di diritto commerciale alla Luiss di Roma e alla Federico II di Napoli, per il Bilancio su Marcello Minenna, dirigente Consob anti-Vegas, e per i Trasporti su Cristina Pronello, docente al Politecnico e già consulente per il comune di Torino, dove ha sostenuto l’introduzione del biglietto giornaliero a un euro e mezzo e perorato la causa delle tasse di scopo per finanziare nuove linee. Saranno alla fine squadre più compatte? Anche su questo punto si gioca la credibilità di governo dei Cinque stelle, soprattutto ora che governano città coi riflettori addosso.
LA RAGGI SARDA E LE ALTRE
Ma non ci sono soltanto Raggi e Appendino. La carica rosa dei Cinque stelle è arrivata a Carbonia, dove Paola Massidda, 50 anni, due figli, laureata in Giurisprudenza, dipendente Asl, dopo aver stracciato la propria vecchia appartenenza, ha strappato alla sinistra anche la città, roccaforte rossa da settant’anni, battendo un pezzo importante del Pd sardo, peraltro sindaco uscente. L’hanno soprannominata per questo “Raggi sarda”, adesso oltre alle case popolari dovrà vedersela con un problema da niente: far ripartire il Sulcis.
A Pisticci, Viviana Verri, avvocata trentenne, ha portato i Cinque stelle alla conquista del primo comune in Basilicata. In provincia di Agrigento, Anna Alba ha superato il settanta per cento a Favara, e altrettanto ha fatto a Porto Empedocle Ida Carmina, che insegna Diritto e ha sempre fatto volontariato nei centri antiviolenza. Nel Lazio, Sabrina Anselmo, 36 anni, ha strappato Anguillara al centrosinistra mentre gestiva un lavoro nel turismo, cresceva tre figli e cacciava i mostri da sotto il letto.
AVVOCATI E TRENTENNI
Mediamente trentenni, laureati, spesso avvocati. È l’identikit di molti nuovi sindaci grillini, come Daniele Lorenzon, che ha espugnato Genzano, la piccola Mosca del Lazio, da sempre di centrosinistra: ha 28 anni, origini venete, oltreché occuparsi di processi insegna nuoto in una piscina della zona. Avvocato (appassionato di pallavolo) pure Carlo Colizza, che governerà Marino, nel territorio dove una volta c’erano Le Frattocchie, la scuola del Pci.
E così Domenico Surdi, che governerà Alcamo. Stavolta i Cinque stelle hanno conquistato anche un sindaco in Lombardia. Di soli trenta voti ha vinto a Vimercate, Francesco Sartini: 47 anni, informatico, già vicepresidente diocesano dei giovani dell’Azione cattolica, si è trasferito vent’anni fa da Pisa in Brianza per amore della moglie Nadia. Uno dei pochi non laureati è Mariano Gennari, che guiderà Cattolica. Sposato, due figli, negli anni 90 rileva con la sorella l’albergo di famiglia, poi scopre la passione per l’enogastronomia: apre un’enoteca, diventa un apprezzato consulente del ramo, prima di darsi alla politica. Il comizio di chiusura, ad ogni buon conto, l’ha fatto in un bar sulla spiaggia, con Alessandro Di Battista e Giulia Sarti. Perché i grillini si saranno pure un po’ normalizzati. Ma insomma, senza esagerare.