Sterlina in caduta libera e borse in calo dopo l'annuncio, nella notte, della vittoria del 'leave'. Preoccupazione nelle cancellerie europee. I rappresentanti dell'Irlanda del Nord: "Il governo britannico ha rinunciato a rappresentarci". Anche la Scozia ha votato massicciamente per il 'remain'. Il premier Cameron ha annunciato le dimissioni

Bruxelles si è sempre rifiutata di dare credito all'ipotesi. Ma il peggior incubo di almeno due generazioni di euro-entusiasti si è avverato. Giovedi 23 giugno la Gran Bretagna ha votato per uscire dall'Unione europea. Il 71 per cento della popolazione si è presentato ai seggi e il 52 per cento ha messo una croce sul campo del “leave”, a dispetto di un 48 per cento per il “remain”. 
[[ge:rep-locali:espresso:285213115]]
Al di fuori dell'isola dorata di Londra e oltre i confini scozzesi la maggior parte della Gran Bretagna non ha ascoltato il consiglio dei suoi leader di governo, ha respinto i dati che promettevano sciagure per un'economia isolazionista, ritenendoli fondati solo per l'élite, e ha dato un calcio alle ragioni della testa per seguire la pancia. Una pancia riempita dalla nostalgia per un grande passato imperiale e dall'insofferenza verso centinaia di migliaia di immigrati dell'Europa dell'Est.

Il primo ministro David Cameron, a poche ore dai risultati definitivi, ha annunciato le sue prossime dimissioni. Senza fretta – ha sottolineato - ma entro ottobre quando si terrà il congresso del partito conservatore. Per il momento si è impegnato a tenere dritto il timone della barca Inghilterra tra le fluttuazioni dei prossimi mesi, in omaggio alla volontà degli elettori. Ma a condurre il vessillo in acque inesplorate dovrà essere chi quella direzione l'ha voluta ad ogni costo. 
Schermata-2016-06-24-alle-12-21-39-png

«Questo è il nostro giorno dell'indipendenza», ha esclamato Nigel Farage, il leader del partito euroscettico Ukip. IL quotidiano “The Sun” aveva ieri messo in copertina un sole, per l'appunto sottolineando che l'alba dell'indipendenza era vicina. Poi ieri notte, a chiusura delle urne, sembrava che il campo della permanenza ce l'avesse fatta, per stessa ammissione di Farage, tanto che in molti sono andati a letto sereni. All'alba invece la doccia fredda. 
[[ge:rep-locali:espresso:285212916]]
Questa volta gli inglesi, perché soprattutto di inglesi si è trattato, non hanno trovato conforto nello status quo ma hanno avuto il coraggio di spingersi in acque ignote pur di riaffermare la propria sovranità assoluta e il disgusto verso un'istituzione che conoscono appena ma su cui da quarant'anni scaricano la responsabilità delle scelte della propria élite politica. 
Intervista
"Con la Brexit risparmiamo miliardi e finalmente torniamo a governarci da soli"
21/6/2016


La sterlina è crollata al valore più basso dal 1985, sotto la quota chiave di 1,30 sul dollaro. I mercati asiatici sono crollati del 10 percento e gli analisti si aspettano un crollo doppio di quelli europei. Il partito indipendentista dell'Irlanda del Nord, il Sinn Fein ha dichiarato che «il governo britannico ha rinunciato a rappresentare economicamente o politicamente gli interessi dell'Irlanda del Nord».

[[ge:rep-locali:espresso:285212858]]La Scozia, che l'anno scorso ha votato di misura per permanere nel Regno unito e che adesso ha votato massicciamente per una permanenza nell'Unione, resta un'incognita. Si schiererà con “la Piccola Inghilterra” o cercherà di separarsene definitivamente e riunirsi all'Unione europea? Il risultato del referendum ha appena fatto del Regno Unito un'accozzaglia di piccole nazioni in cui La Piccola Inghilterra spera di ritornare la dominatrice dei mari e del commercio globale.

Intervista
Sylvie Goulard «I Paesi fondatori hanno abbandonato l’idea d'Europa»
21/6/2016

Questa volta a sbagliarsi non sono stati soltanto i sondaggi: gli ultimi due tenutisi nella giornata di ieri – You/Gov e Ipsos/MORI davano il fronte della permanenza due punti percentuali avanti a quello della dipartita. Hanno perso soldi veri anche i famigerati scommettitori britannici che ieri davano il restare a 1,2: praticamente una certezza. Evidentemente il popolo britannico è davvero mille miglia lontano, in pensieri e priorità, dalla sua élite. E la distanza è stata per mesi fomentata da una stampa scandalistica e da leader populisti come Farage.

Adesso gli occhi sono sulle conseguenze di questa scelta. Il primo probabilmente a perdere sarà il premier David Cameron che, esclusivamente per calcolo politico, aveva indotto il referendum pur ritenendo sbagliata l'uscita dalla Ue. Nonostante i membri del suo partito avessero la scorsa notte dichiarato che lo avrebbero riconfermato primo ministro, indipendentemente dal risultato del referendum, adesso la sua posizione è in bilico. Sono in tanti a chiedere, in queste ore, che al numero 10 di Downing Street si installi qualcuno profondamente convinto della bontà della Brexit.

Il referendum
Brexit: una sciagura per chi la vuole
22/6/2016

Il voto del referendum non è vincolante ma l'uscita dovrà essere votata dal parlamento britannico probabilmente la prossima settimana durante una seduta a camere riunite. 

Oltre alla tempesta che sconvolgerà i mercati finanziari e valutari, ci vorrà del tempo per determinare i reali effetti economici di questa scelta, anche perché le trattative sui termini dell'uscita dureranno lunghi mesi. Secondo i dati governativi l'uscita dalla Ue potrebbe causare una riduzione dell'economia britannica compresa tra il 3,5 e il 7,5 per cento entro una quindicina d'anni, a seconda di come andranno le negoziazioni con l'Unione europea. 

Poi c'è la questione degli immigrati. Al momento ci sono 1,2 milioni di britannici che vivono in altri paesi Ue e circa 3 milioni di non britannici in Gran Bretagna. Fino ad oggi, grazie alle regole Ue, potevano muoversi liberamente tra il continente e l'Isola, in mano un documento d'identità. Questa situazione, al centro delle motivazioni di chi ha votato Brexit, è destinata a cambiare radicalmente. L'idraulico polacco o il contadino lituano soprattutto, ma anche tanti studenti italiani, francesi, tedeschi, potrebbero essere costretti a tornare a casa.

Infine in balia di questo risultato è tutta l'Unione europea. Lo siamo tutti noi. Ci sono stati come l'Irlanda, il Belgio e la Danimarca a cui l'uscita della Gran Bretagna infliggerà ferite economiche immediate ed evidenti. Altri in cui si sentiranno rafforzate e inorgoglite le forze populiste che chiederanno continue eccezioni individuali a Bruxelles sia sul piano economico che politico. 

Il rischio è lo sfilacciamento di un progetto che ha garantito la pace e la prosperità per settant'anni proprio nel momento in cui ne abbiamo maggior bisogno. I singoli stati europei, per quanto prosperi rispetto alla media mondiale, sono oggi meno forti davanti ai nuovi colossi nazionali come la Cina sorti dallo shake up della globalizzazione. Le sfide del terrorismo islamico, i ricatti di Russa e Turchia e di un'ondata immigratoria senza precedenti non si vincono disuniti. Ora l'Europa dovrà dare il meglio di sé e rispondere con forza alle inevitabili istanze centrifughe. O per l'Occidente così come lo conosciamo il voto sulla Brexit potrebbe inconsapevolmente (ed è qui la tragedia) trasformarsi in un annuncio di sfratto.