Israele, Netanyahu vira a destra con Lieberman. Ma può non piacere ai militari
Con il cambio al ministero della Difesa, Bibi ha fatto una mossa geniale di realpolitik: rafforzare il governo, mettendo in un posto chiave il beniamino dei coloni e degli israeliani di origine russa, e affossare l'avversario Herzog.
Chissà se mentre lavorava come buttafuori in un noto locale di Tel Aviv, Avigdor Lieberman s’immaginava un giorno di essere a capo di uno degli eserciti più forti e tecnologicamente avanzati del mondo. Con una mossa a sorpresa che ha spiazzato tutti, ma che i soliti malpensanti si aspettavano, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha nominato il leader del partito di estrema destra Israel Beteynu (Israele casa nostra in ebraico ndr), nuovo ministro della difesa dello stato di Israele.
La sua designazione non solo ha fatto scaturire una ridda di proteste e commenti al fulmicotone – tra questi l’allarme di una “deriva fascista” da parte dell’ex primo ministro Ehud Barak , ma ha ulteriormente allargato il gap tra l’amministrazione Netanyahu e i suoi detrattori, spaccando profondamente l’elettorato e creando il governo “più destrorso” della storia di Israele.
Da parte palestinese poi non si è andati per il sottile. Il commento più moderato è stato quello del membro dell’Olp Hanan Ashrawi, che ha definito Lieberman “una minaccia per la pace e la stabilità”, sostenendo che la sua nomina “genererà una cultura di estremismo, violenza e odio in Israele”.
La scelta di Bibi non è stata presa in un vacuum, ma è stata concepita e orchestrata come esempio sublime di realpolitik. Oltre a defenestrare politicamente un alleato indigesto, l’ex capo del dicastero della difesa Moshe Yaalon, e rinsaldare la risicata coalizione di governo grazie ai parlamentari di Lieberman, passando da 61 a 66 su di un totale di 120, Netanyahu ha forse decretato la fine politica di Isaac Herzog, il leader della “sinistra” di Campo Sionista.
Questi, nei giorni precedenti alla nomina di Lieberman, stava intrattenendo – come riportato dalla stampa – intensi negoziati con il primo ministro, che scaltramente fingeva di essere interessato ad allargare la coalizione verso sinistra mentre era da tempo in trattative segrete con il leader di Israel Beteynu. La lezione impartita da Netanyahu al “sedotto e bidonato” Herzog, è stata più di un’abile mossa di strategia politica, e ha confermato, una volta per tutte, che la capacità di “King Bibi” di mantenere il potere non conosce limiti.
La spaccatura con Yaalon – che ha innescato il rimpasto di governo – è arrivata quando il generale ha pubblicamente espresso le proprie perplessità sull’etica dell’esercito, commentando l’uccisione di un assalitore palestinese freddato a Hebron da un soldato israeliano mentre questi giaceva ferito e senza porre alcun rischio per i militari. Lieberman e Netanyahu, per non inimicarsi lo zoccolo duro dell’elettorato israeliano, hanno strenuamente difeso le azioni del soldato.
Le dichiarazioni di Yaalon, che quando costretto a presentare le dimissioni ha dichiarato che “pericolosi elementi estremisti hanno preso il controllo di Israele e del Likud”, sono state l’ultimo episodio di una lunga battaglia senza esclusione di colpi tra l’intellighenzia militare e la destra – di governo ed extraparlamentare – israeliana.
Lo scontro ha raggiunto l’apice nel maggio scorso, quando, durante le commemorazioni dell’Olocausto, il vice Chief of Staff – la seconda più importante carica nell’esercito – il Generale Maggiore Yair Golan, si è detto spaventato di ritrovare nella società israeliana di oggi i segnali dei disgustosi processi sociali della Germania nazista degli anni trenta.
La scelta di Bibi, inoltre, può essere giustificata con l’importanza del bacino elettorale di riferimento di Israel Beteynu: quasi due milioni di israeliani russi – immigrati dopo la caduta dell’Unione Sovietica – estremamente coesi linguisticamente e culturalmente, che vedono in Yvette – il nome russo di Lieberman – l’unico che possa dar voce alla loro minoranza. Insieme a Naftali Bennett, il fumantino segretario ultranazionalista-religioso di Habayit Hayehudi (Focolare Ebraico) e ministro dell’educazione, Lieberman è anche il referente politico del movimento dei coloni: quasi mezzo milione di israeliani che vivono illegalmente nei territori occupati palestinesi. Questi hanno salutato con entusiasmo la nomina del loro concittadino, dato che il nuovo ministro della difesa, colui che de facto è la massima autorità nei territori, vive nella colonia di Nokdim, vicino a Betlemme.
Le relazioni tra Netanyahu e il cinquantasettenne Lieberman hanno avuto alti e bassi durante gli anni. Nativo della Moldavia ed emigrato in Israele all’età di vent’anni, il nuovo ministro della difesa ha iniziato la sua carriera politica come direttore generale dell'ufficio del primo ministro, quando Netanyahu fu eletto per la prima volta alla guida del paese quasi due decenni fa. Dopo quell’esperienza i due divennero acerrimi rivali, fino a che decisero di allearsi durante le elezioni del 2013. Lieberman ha anche servito come ministro dei trasporti, delle infrastrutture e ultimamente – sotto Netanyahu – come ministro degli esteri, dimostrando, in quest’ultimo incarico, di essere più pragmatico di quanto molti si aspettassero, considerando le discutibili affermazioni fatte sui palestinesi e gli stati arabi della regione.
Ed è proprio questo il suo tallone d’Achille/punto di forza. A passare in rassegna le dichiarazioni di Lieberman, fatte durante la sua progressiva carriera politica, si rimane sorpresi e turbati al tempo stesso. Si passa dalla proposta di far firmare un “giuramento di fedeltà allo stato ebraico” pena perdita del diritto di voto per la minoranza palestinese in Israele, all’accusa verso i parlamentari arabi della Knesset di essere collaboratori di Hamas e augurandosi che fossero “giudicati e giustiziati come accadde con nazisti al processo di Norimberga”, fino a suggerire di bombardare la diga di Aswan, a causa del sostegno egiziano verso Yasser Arafat. Ma non solo.
Nel 2003, a seguito della promessa di Ariel Sharon di dare l’amnistia a 350 detenuti politici palestinesi, Lieberman suggerì di annegarli nel mar Morto, “dato che è il luogo più basso della terra”, dando la disponibilità, in veste di ministro dei trasporti, di trasportarli con i mezzi pubblici. Nel 2015, durante una conferenza a Herzeliya, senza battere ciglio dichiarò che “chiunque è con noi (Israele ndr) dovrebbe ricevere tutto, per chi è contro di noi, dobbiamo usare un’ascia e tagliargli la testa, altrimenti qui non sopravvivremo”.
Recentemente il quotidiano liberal Haaretz ha rivelato la proposta di una legge – da tempo il pallino di Lieberman e che secondo le indiscrezioni sarebbe parte dell’accordo di governo con Netanyahu – che introdurrebbe la pena di morte per i “terroristi” palestinesi, ma che esenterebbe quelli ebrei. Secondo i media israeliani, la proposta sarebbe attualmente in stallo, ma non abbandonata.
Ma i problemi per il novello ministro della difesa potrebbero arrivare dall’interno, e non solo dall’esterno: la UE e le amministrazioni americane si sono sempre dimostrate freddine, se non ostili, verso una figura così polarizzante e controversa. Già da ministro degli esteri, nel 2011, Lieberman aveva ufficialmente invitato i dipendenti del ministero a boicottare e non fornire informazioni al Mossad, il servizio segreto israeliano, a causa della troppa libertà operativa e della mancanza di coordinamento tra le “spie” e il suo dicastero.
Le feroci critiche di Lieberman verso l’establishment militare, e il fatto che egli non abbia, a differenza dei suoi predecessori, una solida carriera militare alle spalle - raggiunse il grado di caporale durante il servizio di leva obbligatorio - potrebbero giocare un ruolo cruciale sull’operato del nuovo ministro. “Quel che è chiaro a tutti” ha spiegato Yoav Zitun in un editoriale apparso sulla versione online di Yedoth Ahronot “è che Lieberman non riceverà neppure un grammo di rispetto quando arriverà al 14esimo piano nell’edificio del Ministero della Difesa”.