In un video la prova: nessuno nasce razzista

La morte di Emmanuel Chidi Namdi. I poliziotti americani che uccidono cittadini neri. Odio e follia alimentati da chi specula sulla paura

Una fascia rossa in testa, al braccio, al collo, così in chiesa durante i funerali di Emmanuel Chidi Namdi, il nigeriano di 36 anni ucciso a Fermo, chi lo conosceva ha voluto dire, senza usare parole, quanta sofferenza quel sangue ha provocato. Quale frattura potrebbe simboleggiare, una frattura tra esseri umani, tra persone che invece di tendersi la mano, anche dove non c’è guerra si ammazzano. Emmanuel e sua moglie con grandi, enormi sofferenze erano scampati alle persecuzioni di Boko Haram, ma hanno vissuto una tragedia ancora più amara in Italia, nel nostro Paese, in un paese in cui vige la pace peggiore che possa esserci: una pace alimenta da odio.

Vittime tutti, chi muore e chi resta in vita. Vittime anche i carnefici. Vittime dell’uomo, della sua brama di qualunque cosa, di potere, di denaro, di terre, di spazio. Vittime di un racconto della realtà che non è quello reale, di un racconto che esiste perché deve legittimare poteri e scelte, decisioni e fallimenti.

Quella dei migranti era una questione e non un’emergenza. L’incapacità della politica l’ha resa un’emergenza e ce l’ha raccontata come un’invasione. L’incapacità di chi, in politica, ha bisogno di spostare altrove il cortocircuito, lontano da ogni ambito che lo riguardi. E così non sono i fondi a essere mal gestiti, ma i migranti a essere troppi. Così vengono stretti accordi con dittatori prima (Gheddafi) e con un governo antidemocratico poi (quello guidato da Erdogan) per dare l’impressione di star facendo qualcosa. Briciole e accordi razzisti e che di umanitario e umano non hanno nulla.

E così: vittima colui che muore e vittima il carnefice che ammazza per follia, ma anche per paura. Per follia e perché il clima gronda odio, rancore, voglia di riscatto, necessità di prendersela con qualcuno.

Individuare i mandanti morali dell’odio che ha portato alla morte di Emmanuel Chidi Namdi è esercizio inutile, inutile perché considero ciascuno responsabile in merito alla propria condotta. Ma possiamo dire che chi sottovaluta il grado di permeabilità alle bestialità dette per rendersi politicamente riconoscibili e per affermare la propria inutile esistenza politica deve fare seriamente i conti con le proprie parole?

Parole come macigni, parole che, al di là di qualunque censura, il buon senso dovrebbe suggerirgli di non pronunciare più. Dire che gli extracomunitari non possono frequentare stabilimenti termali o che non possono prendere sussidi pure avendone diritto, significa fomentare irresponsabilmente un clima d’odio al solo scopo di compattare un elettorato che è tanto esiguo quanto razzista. E allora se non vogliamo indicare i Salvini che infestano la politica italiana come corresponsabili di un clima d’odio che non ha motivo di esistere, possiamo almeno invitarli a una maggiore responsabilità? A smettere di svilire la politica all’arte di chi urla più forte e dice la stronzata più grossa per farsi riprendere da Dagospia?

Si ammazza a mani nude in Italia. Si picchia a morte. Si spara negli Stati Uniti. Bianchi sparano su neri, poliziotti su cittadini. Sparano per follia e sparano per paura. Sono folli convinti di essere in pericolo al punto da diventare aggressori. Negli Stati Uniti l’uso delle armi è talmente sdoganato che nulla più sembra fungere da freno alla folle idea di potersi (e doversi) fare giustizia da sé, qui e ora.


Mentre vedo le immagini dei funerali di Emmanuel Chidi Namdi e mentre leggo che la sua compagna, in chiesa è svenuta proprio nel momento simbolico della stretta delle mani in segno di pace, mentre leggo i numeri delle persone uccise dalle forze dell’ordine in Usa (509 nel 2016 e 990 nel 2015), dati impressionanti che non capisco come sia possibile non facciano scandalo, mentre cerco di capire quanto sia dovuto a motivi razziali e quanto piuttosto alla paura di essere uccisi, di non estrarre per primi la pistola, di sparare quando ormai è troppo tardi, mi imbatto in un video incredibile.

Un video postato su Facebook in cui una bimba di colore e uno più piccolo bianco e biondo biondo, tra le risate degli adulti e qualcuno che continua a ripetere “ok, ora dobbiamo andare”, si abbracciano forte. Un abbraccio che per loro, in quel momento, è la cosa più necessaria del mondo. Più del gioco, più del cibo. Più della mamma. Sarà un pensiero banale, ma vedendo quel video ho pensato che nessuno nasce razzista.

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