Chi denuncia gli abusi e le corruttele della PA spesso paga di persona, con demansionamenti e trasferimenti illegali. Ma la proposta legislativa che dovrebbe blindarli è ferma da mesi, in attesa di essere esaminata dalla Commissione affari istituzionali del Senato, presieduta da Anna Finocchiaro

Comuni, ministeri, Regioni, esercito, autorità portuali. La pubblica amministrazione in Italia ha due facce. Una è quella dei furbetti che tramano per farsi timbrare il cartellino l’uno dall’altro e poi allontanarsi dal posto di lavoro, degli appalti senza gara, dei conflitti di interesse, dei piccoli e grandi abusi, della corruzione. L’altra è quella dei whistleblower, coloro che denunciano gli illeciti nella Pa. E che sono in larghissima maggioranza dipendenti pubblici, per i quali, in molti casi, scatta la temuta ritorsione.

Proprio i demansionamenti e trasferimenti illegali derivanti dalla segnalazione di un illecito all’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, sono infatti diventati, a loro volta, il 15,6 per cento del totale delle illegalità segnalate. Mentre gli illeciti non diminuiscono. Una media di 17 casi al mese nel 2015, stessi numeri fino al 31 maggio dell’anno in corso. Il fatto è che le segnalazioni arrivano sempre meno dai dirigenti – nemmeno il 10 per cento quest’anno - ma anche dai cosiddetti Rpc, i responsabili della prevenzione della corruzione voluti dall’ex ministro alla Giustizia Paola Severino.

Dovrebbero vigilare, incanalare. E invece, fino al 31 maggio, si sono fermati al 10 per cento delle segnalazioni. Percentuale irrisoria di fronte a oltre il 70 per cento delle denunce provenienti dai dipendenti. All’appello praticamente mancano anche le Polizie Municipali. Poi ci sono i consiglieri comunali, molto distratti: la politica è, di fatto assente, con appena il 2 per cento delle denunce. In leggera crescita, nella lotta alla corruzione, ci sono solo i privati. Un flop? Solo in parte.

Corruzione e cattiva amministrazione sono passati dal 27,8 per cento del 2015 al 23,3 per cento di quest’anno e il Sud del Paese ha fatto la parte del leone, con quasi la metà delle segnalazioni di illegalità: le regioni del Centro e del Nord si spartiscono il resto. Però la gravità degli illeciti continua ad aumentare e nel calderone c’è di tutto: dall’abuso di potere agli incarichi e alle gare d’appalto fuorilegge. In realtà, come sostiene Riparte il futuro, associazione apartitica non profit, la legge Severino è semplicemente amputata.

“Noi chiediamo che il whistleblower abbia una reale protezione, molto più efficace di quella prevista ora – dice Priscilla Robledo, project manager dell’associazione - e anche le aziende private e le società partecipate devono essere soggette alla stessa normativa.  Le partecipate, per esempio, sfuggono solo grazie alla loro configurazione giuridica: società di diritto privato che però sono in mano ad azionisti pubblici”.

Ma come si fa a tutelare il whistleblower che ha il coraggio di denunciare? Anche le attuali leggi sul lavoro non sono soddisfacenti. La difesa contro il mobbing e la discriminazione, per l’associazione, fanno acqua da tutte le parti. Ne sa qualcosa Andrea Franzoso, che denunciò le spese pazze dell’ex presidente di Ferrovie Nord, costringendolo alle dimissioni. Reso inoperativo, ha perso la causa per discriminazione in Tribunale. Perché per il giudice avrebbe dovuto dire solo, espressamente, “credo nell’onestà e nell’integrità”.

Due parole per chiudere il cerchio. Ma anche per portare a galla l’inadeguatezza delle leggi sul lavoro. La proposta di legge che dovrebbe blindare i whistleblower c’è già. L’ha approvata la Camera il 22 gennaio scorso. Porta il sigillo di una parlamentare pentastellata. E’ ferma da mesi, in attesa di essere esaminata dalla Commissione affari istituzionali del Senato, presieduta da Anna Finocchiaro. L’associazione ha già raccolto 23mila firme per spingere a metterla in calendario: la soglia da raggiungere è 30mila.