Fa politica da quando aveva 26 anni, ha attraversato il ventennio berlusconiano e la dissoluzione del centrodestra, eppure un inciampo mediatico così non l’aveva avuto mai. E anche adesso che Beatrice Lorenzin ha ritirato (di nuovo) le immagini incriminate e ha revocato l’incarico alla responsabile comunicazione del ministero, l’intera campagna sul fertility day resta l’iniziativa più disastrosa che la sua biografia ricordi. Hai voglia a dire “non faccio il ministro della comunicazione, contano i fatti”. In un sol colpo in effetti la titolare del Sanità si è ritrovata intorno il ciclone del “dimettiti” e si è pericolosamente avvicinata nell’immaginario al suo capo partito, Angelino Alfano. Quello dell’ “a mia insaputa” e soprattutto quello delle gaffes.
Con fare perfettamente alfaniano, nel senso della de-responsabilizzazione, Lorenzin ha infatti imputato alla capa della comunicazione, Daniela Rodorigo, la colpa di aver caricato online una foto leggermente diversa da quella vidimata dal suo Gabinetto (come se, invece, l’impostazione generale andasse bene). Ma è ancor più alfaniano, per Lorenzin, quel tratto di inconscia propensione alla gaffe che l’ha portata a sbagliare – come che stiano le responsabilità interne al ministero – due campagne su due. Riguardo un tema così delicato, e che certamente la ministra anche come neomamma, a 45 anni, di gemelli di 18 mesi, non può aver sottovalutato.
Ecco quel diabolico perseverare nell’errore, quella specie di sabotatore interno che ha portato alle cartoline “sbrigati, non aspettare la cicogna” prima, e ai “cattivi compagni” dalla pelle scura poi, è – sempre al netto delle responsabilità interne al ministero – una clamorosa smentita della Beatrice Lorenzin che si è conosciuta sin qui. Una politica che ha dimostrato in vent’anni una speciale scaltrezza nell’arte dello schivare gli scontri, nell’evitare di finire nell’occhio del ciclone. Essendo in questo, una specie di anti-Alfano.
Una che per natura ama primeggiare, senza che lo si noti. Che sa trovarsi al posto giusto, senza strappi, prima degli altri. In Forza Italia, dove si arruolò giovanissima. Nello stringere buoni rapporti con Enrico Letta ben prima che lui , da premier , la chiamasse al governo. Nel farsi trovare alfaniana di ferro proprio quando Berlusconi decise di puntare su quello che allora era il suo delfino, e poi da ministra (di Letta) nel coltivare armonia con il Pd renziano. Anche come ministra, del resto, spesso facendo slalom tra sì, no e marce indietro ben mascherate, Lorenzin ha gestito spinosissime questioni, dal dossier Stamina in poi, riuscendo quasi sempre a non diventare il bersaglio pubblico.
Lungo tutta una carriera che per Lorenzin è stata praticamente sempre in ascesa. Consigliere municipale a Roma a 26 anni, coordinatore dei giovani di Fi del Lazio a 28, consigliere comunale a 30. Poi capo segreteria di Paolo Bonaiuti, quando lui era sottosegretario di Berlusconi. Quindi coordinatore nazionale dei giovani azzurri, fino all’approdo in parlamento nel 2008. L’unico stop, paradossalmente, arrivò proprio allora: già, quando vigeva il Berlusconismo ultima versione, tra olgettine e cene eleganti, e a tratti il Transatlantico pareva rasentare la sfilata di moda, Lorenzin se ne andava eloquentemente in giro con le ballerine, i jeans e l’apparecchio ai denti. Stile suo, non in linea con quei tempi.
Così, quando quel mondo è crollato, non è certo crollato in testa a lei, che si è potuta presentare senza macchie alla chiamata per il governo Letta prima, e Renzi poi. Un apice politico che si è accompagnato nel privato anche alla maternità e al matrimonio. Come poi questo piccolo capolavoro personale possa essere andato a sbattere, in un settembre qualsiasi, proprio contro il Fertility day, resta, in fondo, un enigma.