La preziosa tavoletta del '400, attribuita al "Maestro dell'Osservanza", aggiudicata a Londra. Per Sotheby's una cessione regolare. Per il nostro patrimonio culturale una perdita enorme. Difficile da recuperare

Giugno 1441, Stato di Siena. Il ministero dell’Economia e delle Finanze - all’epoca “Gabella generale” - commissiona a un artista la copertina del bilancio statale. È una tradizione che prosegue già da secoli, e continuerà per secoli: il registro (rigoroso e dettagliato, allora) delle entrate e delle uscite della Repubblica viene rilegato a una 'copertina' di legno dipinta, preziosa, per esser custodito così negli archivi. Amministrazione, trasparenza e bellezza - «la musa penetra nei luoghi dove si maneggia il denaro», diranno di quelle tavole, le “biccherne”, gli studiosi. E il pittore incaricato nel ’41 del compito si supera: su un pavimento a losanghe, in prospettiva, dipinge una flagellazione che gli storici dell’arte non esiteranno a definire «capolavoro» seicento anni dopo.

L'INCANTO DEL LOTTO 22
7 dicembre 2016. Quella tavola, 45 centimetri per 30, tempera e oro su legno, viene battuta all’asta da Sotheby’s a Londra. È il Lotto numero 22, opera «arresting», «da lasciare a bocca aperta», scrivono nel catalogo, del “Maestro dell’Osservanza”, come viene chiamato oggi l’autore. Stimata fra i 470mila e i 700mila euro, viene aggiudicata per un milione e 632mila euro a un compratore di cui non è dato sapere nome e provenienza. È una transazione record, anche per la casa d’aste, che ne vanta infatti il risultato il giorno dopo.

Ma quella vendita, secondo la Direzione generale Archivi del ministero dei Beni culturali, non sarebbe dovuta avvenire. Perché le copertine degli archivi senesi, le “biccherne” e le “gabelle”, tutte, compresa l’opera del Lotto 22, sono da «sempre considerate parte integrante degli archivi statali», e quindi sono beni «demaniali», «di natura pubblica» il cui «diritto di proprietà spetta allo Stato», in modo «imprescrittibile», che non decade cioè con il tempo. Così si legge nel dossier inviato dal direttore generale Gino Famiglietti all’Avvocatura dello Stato per chiedere di «valutare iniziative per il recupero» del pannello o azioni «per il risarcimento del danno» subito dall’Italia, e dove si parla esplicitamente di una «grave perdita per il patrimonio culturale della nazione».

Per Sotheby’s la cessione è stata invece regolare, perché la tavola fa parte di una collezione tedesca da oltre cento anni, scrive, e per questo «non possono esserci dubbi» sulla possibilità del suo proprietario, privato, di metterla all’incanto. Forte di questo punto, la casa d’asta non aveva dato seguito alla richiesta della Direzione ministeriale, che il 6 dicembre aveva domandato alla società di sospendere la vendita della rara Flagellazione, solo di quella - fra i 40 lotti previsti alla “Old Masters Evening Sale” di Londra, con quadri di Bruegel, Lotto, Tiziano - vista la «natura pubblica» del dipinto.

Non c'è stato niente da fare. E ora la «questione resta delicata», spiegano dall’avvocatura generale, «perché se la tavola è sicuramente frutto di un furto allo Stato», «è anche uscita dal paese prima delle norme sulle licenze d’esportazione». Per questo, aggiungono, stanno esaminando il dossier che l’Espresso ha potuto consultare, confrontando le leggi e la possibilità di farle valere in Gran Bretagna. Partendo sempre da quel fondo dorato però. Con i suoi stemmi dipinti di casate senesi.

DA BUONINSEGNA A LORENZETTI, CAPOLAVORI FRAGILI
Sotto le braccia alzate dei fustigatori di Cristo, nella tavola della Flagellazione, c’è un’iscrizione. “Questa et l’entrata et l’uscita della generale gabella del comuno di Siena”, inizia, per poi elencare i nomi dei funzionari - il “camarlingo” e gli “executori” - in carica dal gennaio 1440 al giugno ’41, insieme al notaio che sanciva la regolarità del registro. Che il dipinto avesse quindi direttamente una funzione d’archivio, di trasparenza sui conti pubblici per il consiglio-parlamento cittadino, oltre che di bellezza, non c’è dubbio. Lo dice l’opera stessa, e lo racconta la sua storia.

Ogni bilancio di Siena viene infatti archiviato in questo modo dal 1257, e continuerà a esserlo fino al 1682, tenendo unita in una sola prassi la città e una delle sue più antiche istituzioni medioevali. L’elenco contabile dei tributi versati (innumerevoli, esisteva un’imposta persino sul “ripudio dell’eredità”) e delle spese pubbliche (per la difesa, le armi, o per «astrologi, indovini e fattucchiere» a servizio della collettività) diventava occasione per commissionare ai maggiori pittori del territorio qualcosa di bello. Di valore. Che diventasse patrimonio delle istituzioni.
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Oggi restano, al mondo, conosciute, soltanto 136 biccherne autentiche, di cui 105 sono conservate all’archivio di Stato di Siena, esposte in un museo permanente, aperto ai visitatori. Aveva ragione quindi Sotheby’s a ricordare nel catalogo della serata di dicembre la «considerevole rarità» del Lotto 22. La maggior parte delle tavole sono rimaste infatti con continuità in mano statale, dall’epoca dei Comuni a quella dell’Unità: era un obbligo per i funzionari riconsegnare i documenti una volta terminata la carica.

Altre sono state acquistate o donate nel tempo al museo; altre ancora sono lì depositate dagli eredi dei magistrati dell’epoca: come le undici biccherne della famiglia Piccolomini, cognome che compare già nel 1300 fra i “provedditori” delle casse comunali. Molte infine sono andate perdute: fra loro la prima, la copertina voluta da un monaco del vicino monastero di San Galgano, don Ugo, chiamato a controllare con rigore di un santo i conti repubblicani, oppure tutte le tavole pagate alla vera star della città, Duccio di Buoninsegna, il capostipite della scuola pittorica senese fra Duecento e Trecento.

Tra la fine dell’800 e la Seconda guerra mondiale, numerose sono andate disperse, rivendute da rigattieri locali o mescolate all’opera di falsari da mercato. Fra quelle riconosciute come autentiche, pubblicate nel 1984 nel primo volume scientifico, e antologico, dedicato a “Le Biccherne”, se ne ricordano alcune nei musei di Berlino, Budapest, New York. E infine poche in collezioni private: fra queste c’era la tavola comprata dal pittore tedesco Franz von Lenbach e venduta a Londra il 7 dicembre, nel 1984 ancora fruibile perché donata al museo di Colonia dalla figlia del collezionista. Nella stessa pubblicazione si ricordava la scelta di tenere le biccherne al riposo, di evitare spostamenti «in quanto nocivi al loro stato di conservazione».

IL PRECEDENTE DELL'ARCHIVIO MEDICI
Insomma, la tavola della Flagellazione era un patrimonio pubblico, un pezzo dell’archivio della Repubblica di Siena, passato in seguito all’Italia unita, un frammento della memoria collettiva sottratto, quindi venduto, a cavallo del secolo scorso. E se il collezionista l’aveva acquistato in buona fede, e così gli eredi l’hanno poi messo all’asta, «non esiste però usucapione per i beni demaniali», ricordano dall’avvocatura generale dello Stato, non c’è modo cioè per un privato di vantare la proprietà di un bene pubblico solo perché lo ha avuto a lungo fra le mani. Ma è anche difficile, aggiungono i legali, far pesare questa norma adesso, protestando all’estero un capolavoro scivolato fuori dai confini più di un secolo fa.

Un precedente, in realtà, ci sarebbe. Bisogna risalire però al 1917: il Times di Londra annuncia la messa in vendita eccezionale di una parte dell’archivio dei Medici - lettere e registri straordinari, affidati a Christie’s da un ramo della famiglia. In quell’occasione «il governo agì con efficace tempestività e riuscì a ottenere il sequestro temporaneo dei documenti», si legge nella ricostruzione della vicenda ad opera degli studiosi dell’archivio di Stato di Firenze.

L’Italia (allora regno) oppose alla casa d’aste proprio lo stesso principio sollevato oggi dalla direzione generale: ovvero la proprietà demaniale degli atti che riguardavano la corte del Rinascimento. E la casa d’asta, allora, ascoltò. Nella causa che ne seguì, Roma ottenne indietro tutte le scritture di natura demaniale, sottratte alla vendita e restituite al governo, mentre il resto dello schedario fu rimesso all’incanto e finì sparso fra privati negli Stati Uniti. Se oggi sceneggiatori tv e accademici possono raccontare le vicende dei Medici con tanta precisione è anche grazie a quelle memorie conservate. Per la biccherna della Flagellazione, invece, come finirà?

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