La missione è delicata e importante. Da tempo gli attori del mercato dell’arte - gallerie, antiquari, case d’asta - chiedono una riforma delle regole per l’esportazione delle opere. Norme e burocrazia, ripetono in appelli e documenti, impediscono ai venditori italiani di essere competitivi all’estero e ai cittadini di guadagnare meglio da quadri, sculture e comò. Il 24 ottobre scorso, la Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio ha istituito al ministero un gruppo di lavoro, incaricato di proporre entro fine gennaio «nuovi criteri» per la libera uscita dai confini di oli di Morandi o ceramiche Della Robbia.
Chiamati a farne parte: sei funzionari del Mibact insieme al presidente degli Antiquari italiani, all’ex presidente dell’Associazione Gallerie d’arte e all’avvocato che rappresenta gli operatori (fra cui le case d’asta) nel nostro paese. Nella «prospettiva di uniformare e semplificare le procedure», amministrazione e professionisti, “controllori” e “controllati”, pubblico e privato, si sono seduti così allo stesso tavolo. E ora elaboreranno delle «linee di indirizzo» per gli uffici delle soprintendenze: un compito delicato per il patrimonio. Perché potrà formare il modello di ogni giudizio amministrativo sulle opere pronte a partire.
Un gruppo tecnico con lo stesso scopo era stato istituito al Ministero tre anni fa. I direttori dedicati delle principali soprintendenze e alcuni esperti erano stati chiamati a rivedere gli stessi criteri. Nell’el0aborato finale i tecnici confermavano però la «sostanziale tenuta» dei principi stabiliti nel 1974 da una commissione «difficilmente più autorevole», presieduta all’epoca da Giulio Carlo Argan. «La richiesta più frequente da parte degli attori di mercato», spiegavano i tecnici nel 2013: «è quella di introdurre, anche nella normativa nazionale, le soglie di valore previste dal regolamento europeo».
Ma «l’assimilazione del valore monetario al valore storico-artistico è profondamente contraddittoria rispetto ai caratteri distintivi del nostro patrimonio culturale», ribadivano: «caratterizzato da una diffusione capillare, al cui interno oggetti talvolta apparentemente minori, o di ridotto valore venale, assumono invece il connotato di testimonianza cruciale per il contesto». L’assimilazione prova ugualmente a fare breccia: un emendamento - approvato - al Ddl per la Concorrenza, e criticato da Italia Nostra, introduce la soglia di 13.500 euro per l’export senza autorizzazione delle opere d’arte. Ora è fermo al Senato.
Il dibattito continua. Mentre alcuni numeri chiari, trasparenti, a riguardo, sembrano di fatto smentire l’eccesso di tutela e di vincoli all’export lamentato contro la burocrazia, almeno per quanto riguarda la sede più rilevante in questo senso, in Italia, come flusso di opere d’arte: Brera. Il bilancio pubblico della soprintendenza di Milano, curato con “Civicum” nel 2014, dice infatti che su 10.171 atti firmati dagli uffici lombardi del ministero, in un anno, allo scopo di considerare (e gratis, a carico dello Stato) la possibilità dei privati di vendere all’estero,
i “No”, ovvero i dinieghi alla libera circolazione, sono stati solo 16. Sedici. Seguono invece 4.480 “Sì”, ovvero attestati accordati; tre proposte d’acquisto andate a buon fine; 3.490 auto-certificazioni per opere con meno di 50 anni ratificate, 361 certificati di avvenuta spedizione e 1.097 attestati temporanei per mostre, oltre all’import. In attesa dei nuovi criteri.