Corrente e internet non sono continue. Mancano reti wireless e risorse. Ma c'è una società che prova a sostenere le imprese e formare gli sviluppatori. Storia di Gsg, il primo acceleratore della Striscia
Si fa presto a dire startup. Costruirne una è già più complicato. Ancora di più se hai corrente elettrica per quattro ore al giorno, in un recinto lungo 32 chilometri e largo sette. E vuoi farlo nella Striscia di Gaza. Ci sta provando il
Gaza Sky Geeks (Gsg), il primo acceleratore per imprese digitali della Striscia.
Il progetto è nato nel 2011 e si è strutturato grazie ai fondi della ong Mercy Corps, un finanziamento iniziale di Google.org e due campagne di crowdfunding. La prima è del 2015: Gaza Sky Geeks decide di raccogliere online i finanziamenti (anche di modesta entità) di chiunque volesse sostenere il progetto. Ne è venuta fuori la maggiore campagna di crowdfunding mai chiusa fino ad allora in un Paese arabo. L'obiettivo era stato fissato a 70 mila dollari. Ne sono arrivati 267 mila. Per metà da 800 donatori e per metà dai partner che hanno accettato di raddoppiare ogni dollaro in cassa.
A piccoli passi, la struttura si è aperta a diverse attività. Ha lanciato la prima piattaforma online in lingua araba per la formazione di sviluppatori freelance. È diventata uno spazio di coworking, con 55 posti, e un incubatore, cioè uno spazio dove far crescere i giovani imprenditori con una buona idea. E poco altro. Undici startup entrate nel programma di accelerazione hanno ottenuto finanziamenti: in tutto 252 mila dollari. Con 91 mila euro fatturati da giovani imprese e sviluppatori freelance. Spiccioli se guardati con metro occidentale.
Serve allora regolare la giusta ottica: uno sviluppatore a Gaza guadagna circa 400 dollari al mese. E un investimento nella fase seed (cioè il primo passo per una startup) da 20 mila dollari ne vale uno da 400 mila in California. Sarebbe però azzardato anche solo abbozzare un confronto. Perché Gsg non è ancora un business sostenibile se non attraverso le donazioni. “Gaza viene da dieci anni di isolamento che hanno tagliato fuori la striscia da flussi internazionali e reti professionali, anche a causa delle restrizioni che rendono difficili i viaggi all'estero”, racconta Ryan Sturgill, direttore di Gsg. Se non si può uscire, allora la soluzione è rendere più facile entrare: Gsg agevola la concessione dei permessi d'ingresso e ha portato a Gaza un centinaio di mentori digitali da Europa e Stati Uniti.
In un pezzo di terra dove il 70% della popolazione dipende dagli aiuti umanitari e il tasso di disoccupazione giovanile è al 60% non mancano solo i contatti giusti. Mancano le infrastrutture di base. Gaza Sky Geeks riceve elettricità solo per quattro ore (non consecutive) al giorno. Può rimanere aperto otto ore durante la settimane ed è chiuso sabato e domenica. “È un ostacolo per le startup e taglia le opportunità per gli sviluppatori freelance”. L'acceleratore è dotato di una connessione in fibra veloce. Ma le reti wireless sono costose e ferme al 2G (cioè agli anni '90), in un mondo che viaggia in 4G. “Una zavorra - sottolinea Sturgill - che rende più difficile lo sviluppo di app e quasi impossibile quelle che utilizzano la geolocalizzazione”.
Una parte (ma solo una parte) di questi ostacoli può essere rimosso con investimenti contenuti (sempre in ottica occidentale). Visto il successo del 2015, Gsg è tornato a puntare sul finanziamento diffuso. La seconda campagna di crowdfunding si è svolta tra la fine del 2016 e l'inizio di quest'anno. Stesso schema della precedente: ogni dollaro donato viene raddoppiato da un gruppo di partner, tra i quali Marc Benioff (ceo di Salesforce) e i fondatori di due dei venture capital più potenti al mondo: Dave McClure (500 Startups) e Paul Graham (Y Combinator). Sono arrivate offerte da più di 580 donatori. Molte sono di appena 5 dollari; una (la più cospicua, dalla Bank of Palestine) di 25 mila. Obiettivo minimo: 95 mila dollari. Fondi raccolti: 295 mila. A cosa serviranno?
I primi 95 mila dollari daranno luce alla struttura (non a caso la campagna si chiama Power Up - “Illumina” - Gaza). Oltre a pagare lo staff, sarà acquistato un generatore e il carburante necessario per alimentarlo nei prossimi tre anni. Le startup potranno così avere energia e accedere a internet per dodici ore al giorno, tutti i giorni (fine settimana compresi). L'elettricità permetterà anche di riscaldare gli spazi d'inverno e di raffreddarli d'estate. “È un passo che porterà Gsg al livello superiore – dice Sturgill -, raddoppiando il tempo che startupper e freelance potranno passare alla loro postazione”.
Secondo obiettivo: 175 mila dollari saranno destinati alla creazione di una “Coding Academy”, cioè di una scuola di programmazione professionale. “È tempo di studiare. Formeremo sviluppatori aggiornati con le ultime tendenze, grazie a insegnanti provenienti dall'estero. Chi frequenterà l'accademia potrà insegnare le basi del coding agli altri abitanti della striscia”. Sarà un modo per incentivarne lo studio e convincere le famiglie palestinesi, che “non sono al corrente dell'industria tecnologica e spesso scoraggiano i figli che sognano di studiare informatica”. I fondi raccolti copriranno il primo corso, con 25 studenti, e sperimenterà un modello economico: i ragazzi ammessi pagheranno la quota solo se e quando l'accademia avrà dato i suoi frutti, cioè quando inizieranno a essere pagati per il loro lavoro.
Terzo: gli altri 25 mila dollari arrivati dal crowdfunding saranno destinati al Gaza Girls Code, un programma lungo 6 mesi destinato a 30 ragazze. Riceveranno uno smartphone Android e un kit di Arduino, la piattaforma hardware creata da Massimo Banzi. I corsi di programmazione saranno affiancati a quelli di business, perché l'obiettivo non è solo formare sviluppatrici ma anche donne d'impresa. Un progetto pilota è già stato testato nel 2016. Joumana, una delle partecipanti, dice di “voler fondare una propria società”. Zainab “adora progettare siti web e app che risolvano problemi”. Nevin sogna di lavorare per la Nasa. Uno dei modelli da seguire è Abeer Al-Shaer, fondatrice di Dietii. La startup, incubata a Gaza, ha creato un'applicazione che suggerisce esercizi fisici e alimentazione corretta alle donne musulmane. “Grazie a Gsg - racconta – ho capito di poter diventare una manager e ridisegnare la nostra società”. L'inclusione femminile è uno dei traguardi cui mira il progetto. Gli eventi di Gaza Sky Geek sono già frequentati per il 50% da donne. La sfida è far salire la quota rosa anche tra i fondatori delle startup.
Le possibili ricadute sulla striscia di un progetto come questo sono chiare. Ma perché una società estera dovrebbe puntare su un territorio chiuso e privo di infrastrutture? La risposta, secondo i promotori di Gsg, è nelle potenzialità. “A Gaza, due terzi della popolazione hanno meno di 24 anni e in Palestina il tasso di alfabetizzazione raggiunge il 96%”. Con un orizzonte ancora da esplorare: nel mondo arabo, l'uso di internet è cresciuto del 600% dal 2001 a oggi (è il tasso più alto al mondo). “L'arabo è la quarta lingua più parlata al mondo – spiega Sturgill - ma è solo 14esima per quantità di contenuti online (lo 0,8% del totale)”. Tra le startup palestinesi finanziate ci sono ad esempio Baskalet, un produttore di videogiochi, Zumrod un sito di e-commerce, 5QHQH una piattaforma per la produzione e la condivisione di contenuti. Tutti rivolti prevalentemente al mondo arabo.
Da una parte, afferma Sturgill, “gli investitori possono accedere ai talenti locali e testare startup a costi ridotti”. Dall'altra “freelance e startupper possono avere un business autosufficiente, generando reddito e sfruttando le opportunità del Medio Oriente (e del mondo) direttamente da Gaza, senza dipendere dalla mobilità fisica. La tecnologia è l'unico settore che non ha frontiere”.