Nuova indagine sulla Marina e sulla Guardia costiera per il massacro raccontato nel film “Un unico destino”. Il fascicolo della Procura di Roma intanto non viene archiviato: dopo tre ore di discussione tra le parti, il giudice per le indagini preliminari ha chiesto venti giorni per depositare la decisione
Sul naufragio dei bambini entra il campo la Procura militare. Lo ha annunciato il giudice per le indagini preliminari, Giovanni Giorgianni, durante l'udienza in camera di consiglio conclusa in giornata. La magistratura con le stellette, che si occupa dei reati commessi dai militari, ha aperto un'inchiesta parallela per “omissione di soccorso o protezione, in caso di pericolo” (articolo 113 del codice penale militare) e “violenza di militari italiani contro privati nemici” (articolo 185 del codice penale militare di guerra). Dopo tre ore di discussione tra le parti, il Gip ha anche deciso di non accogliere per il momento la domanda di archiviazione presentata dalla Procura di Roma: il giudice Giorgianni ha chiesto venti giorni di tempo per valutare la richiesta di nuove indagini depositata dai legali delle famiglie per accertare le responsabilità degli ufficiali italiani nella morte di 268 persone, tra cui 60 bambini, annegate l'11 ottobre 2013 a 61 miglia a Sud di Lampedusa. È il massacro di civili raccontato nel film “
Un unico destino”: il naufragio che ha convinto il premier di allora, Enrico Letta, ad avviare l'operazione “Mare nostrum”.
[[ge:rep-locali:espresso:285300232]]Il peschereccio carico di famiglie siriane, 480 passeggeri in tutto tra cui cento bimbi e una trentina di medici, si è rovesciato dopo essere rimasto cinque ore alla deriva senza soccorsi a poche miglia da nave Libra: secondo quanto si è appreso dalle telefonate registrate, il pattugliatore italiano ha addirittura ricevuto dal Comando in capo della Squadra navale della Marina, in piena emergenza, l'ordine di allontanarsi e andare a nascondersi. Contro la richiesta di archiviazione si sono opposti gli avvocati Alessandra Ballerini ed Emiliano Benzi, che assistono alcuni papà che nel naufragio hanno perso le mogli e i figli, mai più ritrovati. All'udienza erano presenti anche l'avvocato Arturo Salerni, legale di un medico siriano e della moglie che nel naufragio hanno perso tutte e quattro le loro bambine e Dario Belluccio, avvocato dell'unico dei 212 sopravvissuti rimasto in Italia.
La novità della giornata è dunque l'apertura dell'inchiesta decisa dal procuratore militare di Roma, Marco De Paolis. Al momento il fascicolo risulta contro ignoti. Ma non è escluso che nei prossimi giorni, dopo l'acquisizione degli atti della Procura ordinaria, vengano presi i primi provvedimenti nei confronti degli ufficiali indagati. L'articolo 113 del codice penale militare prevede la reclusione militare per «il comandante di una o più navi militari il quale non presta a navi o ad aeromobili, ancorché non nazionali, l'assistenza o la protezione che era in grado di dare. La condanna comporta la rimozione». L'articolo 185 del codice penale militare in tempo di guerra riguarda invece le “violenze di militari italiani contro privati nemici”, un termine legale per definire i civili: «Se la violenza consiste nell'omicidio, ancorché tentato o preterintenzionale, o in una lesione personale gravissima o grave, si applicano le pene stabilite dal codice penale. Tuttavia la pena detentiva temporanea può essere aumentata».
Dal 2011 la Libia era in stato di conflitto. Nei giorni del naufragio la Libra era stata inviata nel Mediterraneo a proteggere i pescherecci italiani da eventuali attacchi delle milizie e per avvistare i barconi carichi di profughi. Il Parlamento inoltre non aveva stabilito che quella del pattugliatore fosse una missione di pace: da qui la decisione, secondo la Procura militare, di applicare il codice penale militare di guerra.
Sul massacro dell'11 ottobre 2013 si è già espresso un giudice, il capo dell'ufficio Gip del Tribunale di Agrigento, Francesco Provenzano, che con provvedimento coatto, sostituendosi alla Procura siciliana, ha indagato quattro ufficiali per omicidio con dolo eventuale (non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo). E ha quindi trasmesso gli atti per competenza a Roma, poiché le decisioni che avrebbero ritardato i soccorsi sarebbero state prese nelle centrali operative romane della Marina e della Guardia costiera.
«Dalle mie carte emerge con chiarezza che (quel giorno) c'è una comunicazione di disastro marittimo e una persistente omissione e lì bisogna capire chi e perché ha voluto questa persistente omissione di soccorso», ha dichiarato pochi giorni fa il giudice Provenzano in una intervista a Raffaella Daino su SkyTg24: «Era ben chiaro al centro della Guardia costiera di Roma», ha aggiunto il Gip, «che stesse per succedere un'ecatombe e lo aveva detto anche il dottor Jammo nelle sue strazianti telefonate... Perché si va verso l'archiviazione, visto che c'è una norma che impone di attivarsi per il salvataggio? Si poteva e si doveva evitare quella ecatombe. Si doveva perché c'era la norma, si poteva perché c'era il tempo. Però non si è fatto».
Il dottor Jammo, Mohanad Jammo, 44 anni, è il medico sul peschereccio che al telefono satellitare supplica l'intervento della Guardia costiera: «We are dying, please, stiamo morendo, per favore», sono le sue parole, ripetute dopo aver inutilmente detto che il peschereccio era stato attaccato da una motovedetta libica, stava affondando, aveva già mezzo metro d'acqua nella parte bassa dello scafo, il motore in panne e due bambini feriti a bordo. Anche la Procura di Agrigento aveva chiesto l'archiviazione, perché si era dichiarata incompetente a indagare: per un suo clamoroso errore era stato scritto che il punto del naufragio, a 61 miglia da Lampedusa e 118 miglia da Malta, si «trovava inequivocabilmente nelle acque territoriali» maltesi, che però si fermano a 12 miglia dall'isola. Un errore corretto dal provvedimento del giudice Provenzano.
«Difendo la nostra Marina militare, so quanta passione, quanti sacrifici e quanta professionalità impiegano nel loro lavoro. Per questo è necessario distinguere. Ma da persona e da cittadina italiana io mi sento in dovere di chiedere a loro scusa», ha dichiarato riferendosi ai papà che hanno perso in mare le loro famiglie il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, intervistata da Gianluca Di Feo per Repubblica: «Esiste una legge del mare che di fronte al rischio per la vita umana impone alla nave più vicina di intervenire... Il gip romano ha domandato degli approfondimenti e io posso dire che avrà la massima collaborazione e la massima trasparenza da parte del ministero che rappresento. Ovviamente sarebbe un errore grave pensare di incolpare la Marina militare nel suo complesso ma bisogna capire se ci sono delle responsabilità personali: non riesco a spiegarmi perché quella nave sia stata lasciata senza soccorso per così tante ore».
Gli ufficiali indagati per omicidio con dolo eventuale sono il tenente di vascello Catia Pellegrino, 41 anni, allora comandante di nave Libra e volto immagine della Marina militare italiana, l'ammiraglio in congedo Filippo Maria Foffi, 64 anni, fino al 2016 comandante in capo della Squadra navale della Marina (Cincnav), e gli ufficiali di servizio nella centrale operativa della Guardia costiera di Roma, il tenente di vascello Clarissa Torturo, 40 anni, e il tenente di vascello, Antonio Miniero, 42 anni. Per il reato di omissione di soccorso sono invece indagati la comandante di nave Libra, Catia Pellegrino, il capo della centrale operativa della Guardia costiera, Leopoldo Manna, 56 anni, il capo sezione attività correnti del Comando in capo della Squadra navale della Marina (Cincnav), il capitano di fregata Luca Licciardi, 47 anni, e l'ufficiale superiore di servizio alla centrale operativa aeronavale del Cincnav, Nicola Giannotta, 43 anni.
Nel chiedere l'archiviazione dei procedimenti a loro carico, il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone e i sostituti procuratori, Francesco Scavo Lombardo e Santina Lionetti, sostengono che gli ufficiali della Marina e della Guardia costiera indagati non fossero consapevoli delle reali condizioni di pericolo a bordo del peschereccio carico di bambini. E che l'ordine per l'impiego di nave Libra dovesse arrivare dal centro coordinamento soccorsi di Malta, poiché pur essendo molto più vicino a Lampedusa il punto dell'emergenza ricadeva nell'area di ricerca e soccorso di competenza maltese. Secondo i legali dei papà sopravvissuti si tratta di conclusioni smentite sia dalle registrazioni delle telefonate chiare e ben comprese del dottor Jammo, sia dalle testimonianze dei piloti dell'aereo ricognitore maltese, il maggiore George Abela e il capitano Pierre Paul Carabez, e dell'ufficiale di servizio al centro coordinamento soccorsi di Malta, il maggiore Ruth Ruggier, che quel pomeriggio hanno più volte chiesto l'intervento immediato di nave Libra: sia attraverso le centrali operative, sia direttamente sul canale 16 delle emergenze in mare, senza ottenere risposta.
Testimonianze inedite raccolte nel film “Un unico destino”, prodotto da Espresso e Repubblica con 42° Parallelo e Sky. E custodite anche nei rapporti delle Forze armate di Malta, che nessuna Procura italiana però ha mai chiesto di acquisire.