Nelle “Lettere da Enderich” gli ultimi mesi di vita di Schumann

Racconta la mitologia che il bellissimo Narciso fu condannato a innamorarsi della sua stessa immagine riflessa sull’acqua, non riuscendola a stringere né a toccare. Il perturbante del Doppio, del Doppelgänger sempre coltivato ?nella poetica di Robert Schumann (basterebbe ricordare le due figure letterarie di Florestano ed Eusebio sotto il cui nome avrebbe scritto le sue recensioni) riemerge drammaticamente negli eventi che precedettero il suo ricovero in una clinica per alienati ?a Enderich, vicino a Bonn. Queste “Lettere” pubblicate da Italosvevo editore, per la cura di Filippo Tuena, ripropongono dei documenti in buona parte tradotti per la prima volta in italiano da Anna Costalonga: i messaggi di Schumann spediti alla moglie Clara, alle figlie e ad alcuni amici, fra cui Brahms, durante la sua permanenza presso la clinica, intervallati da estratti dal diario della consorte e dai referti medici.

Cristallizzando alla nostra conoscenza il lento dileguarsi dell’identità del grande compositore, attraverso una serie ripetuta di allucinazioni auditive e una forma estrema di malinconia. Le lettere coprono un periodo piuttosto breve del suo internamento, dal settembre del 1854: «Oh Dio la carrozza era ?di fronte alla nostra porta. Robert si vestì con molta fretta ed entrò nella carrozza con due infermieri e non chiese di me, né dei suoi bambini!», scrive disperata nel suo diario Clara; al 5 maggio del 1855, quando ancora lei appunta di suo pugno su un biglietto del marito due scabre, drammatiche parole: «Ultima lettera».

Nella vita da internato di Schumann e nelle missive la musica diventa la ragione di vita ?e il modo di comunicare: la propria, per questioni inerenti alla pubblicazione delle sue composizioni, ?e quella altrui: soprattutto le opere di József Joachim e Brahms. Chiede carta, strimpella note. Ma progressivamente sembra perdere la capacità di esprimersi al pianoforte. Chi lo ascoltò in quei mesi descrisse il suo suono come quello di una macchina che stava andando ?in pezzi. E poi ci sono i fantasmi ?che aggrediscono la sua mente rimproverandolo d’aver plagiato partiture altrui. Reagisce gridando verso queste apparizioni, mostrando loro spartiti autografi. E tace. Fino alla lenta, inesorabile fine.

Buuh!
Il fantasma della bacchettoneria ?si aggira nei teatri. Probabilmente ?il pubblico londinese non potrà assistere all’Hackney Empire il 31 ottobre al “Drago d’oro” di Péter Eötvös, trama che si svolge in un ristorante cinese con interpreti vocali d’origine europea impegnati nei ruoli asiatici, per il rifiuto dei responsabili del teatro. Il motivo? «Il dibattito sollevato dalla presenza di un cast» che comprometterebbe l’impegno dell’Empire nei confronti della diversità. Annientato d’un sol colpo il valore simbolico dell’arte

Bravo!
Da Kavakos a Melnikov, da Trifonov a Temirkanov, dieci appuntamenti quest’anno con i grandi interpreti ?al Teatro alla Scala, che inaugura ?la stagione della Filarmonica ?il 6 novembre con Riccardo Chailly, dopo il successo riscosso nella lunga tournée estiva, con un nuovo capitolo dedicato al sinfonismo ?dei grandi compositori russi. ?Si inizia dunque con due brani ?di Stravinskij: “Chant funèbre” ?e “Petruška”. Sarà poi la volta ?del Ciaikovskij giovanile, un po’ mendelssohniano della Seconda sinfonia