Mentre nelle campagne è in vantaggio Marine Le Pen. Ma al contrario della Brexit e delle elezioni americane, per il ballottaggio del 7 maggio dovrebbero essere le metropoli ad avere la meglio sul mondo rurale

La Francia di campagna ha scelto Marine Le Pen. La Francia di città ha scelto Emmanuel Macron. Quale delle due sia più forte lo scopriremo il 7 maggio. Per quel che valgono i pronostici (proverbialmente fatti per essere smentiti) stavolta vincerà la città. Al contrario di quanto avvenuto con la Brexit votata dall’Inghilterra profonda e contro Londra, al contrario delle preferenze espresse dall’America rurale a favore di Donald Trump e contro le metropoli della East e della West coast, a Parigi non sembra tirare aria di restaurazione, con il Paese profondo e vandeano che simbolicamente marcia e si prende la rivincita con una sua Bastiglia.
Entrando ancor di più nelle pieghe delle mappe elettorali divise tra le varie circoscrizioni attorno a Parigi e in una dorsale che da Nord-Est scende fino a Sud-Est del Paese c’è una prevalenza di Marine, mentre al Ovest è il suo rivale che raccoglie i maggiori consensi.
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Marine Le Pen, col suo Front National, era stata avanti in tutti i sondaggi fino a ridosso delle urne. Ha già ceduto quel vantaggio simbolico e non è stata favorita, come molti avevano pronosticato, dall’attentato di giovedì sera sui Campi Elisi. In consultazioni precedenti, come le regionali, anche quando aveva avuto un largo consenso al primo turno, era stata poi penalizzata al secondo dalla conventio ad excludendum di tutti i partiti che un tempo si definivano “arco costituzionale”.
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I quali partiti, dopo averlo aspramente osteggiato, hanno già preso a corteggiare il giovane Macron, 39 anni, il Piccolo Principe che loro avevano allevato e che gli aveva voltato le spalle per tentare l’avventura con un movimento personale “En marche” (In marcia) fondato solo dodici mesi fa. Per lui si sono espressi quel che resta del partito socialista e anche i “Républicains” (neogollisti), cioè le due formazioni dalle cui file sono usciti tutti i presidenti della Quinta Repubblica e che stavolta vengono entrambe clamorosamente escluse dal ballottaggio. E sembra probabile che anche parte dell’estrema sinistra, pur lontana dal candidato europeista ed ex banchiere di Rothschild, lo scelga per fermare la Marine xenofoba, nazionalista e tecnicamente erede di una tradizione pseudofascista.

Un fronte largo soffia dunque nelle vele di un personaggio “nuovo”. Per certi versi persino inedito nel panorama politico francese. Intanto perché si è schierato al centro, luogo deputato a tutti i naufragi in un Paese di contrapposizioni radicali come la Francia: ed è stato invece premiato perché da quella posizione ha raccolto i transfughi trasversali delusi dai rispettivi schieramenti. Poi perché, guardando in favore di telecamera, ha avuto il coraggio di pronunciare parole difficili e diventate tabù in epoca di populismi: è un rappresentante delle aborrite élites, è a favore dell’Europa, non usa la clava contro gli immigrati.

Si rivolge insomma alla testa e non alla pancia dell’elettorato. Si prende una parte di voti “contro” (contro Marine), ma persino una buona dose di voti “per”. Per il rappresentante dalla faccia pulita di una generazione fresca, per colui che dall’interno ha saputo sfidare e superare le vecchie famiglie politiche, ormai vissute come obsolete, in un clima di cambiamento nella continuità laddove le rotture troppo traumatiche sono sembrate un azzardo in un momento così delicato a causa di sfide epocali come terrorismo, immigrazione, crisi economica.

La sua aria da Piccolo Principe può sedurre quote di provincia (del resto dalla provincia proviene, esattamente da Amiens), mentre è assai complicato che Marine Le Pen riesca a raggiungere il cuore delle città, luoghi di condivisione degli spazi, mescolanza, meticciato. Luoghi intrinsecamente inadatti a sposare il suo credo etnicista che vagheggia il ritorno impossibile a un’utopia retrograda come quella di una Francia monocromatica. Cioè solo bianca, come non può più essere.