Mafia Capitale, così Massimo Carminati ha nascosto il suo tesoro a Londra
Case, ristoranti, società. Sono in Inghilterra le ricchezze del Cecato. L’Espresso ha ricostruito i percorsi dei soldi tra banche e offshore
Al sicuro. Lontano da un processo che sta rivoltando le viscere di Roma, lontano dall’infedeltà dei luogotenenti e dalle inchieste dei magistrati.
È a Londra che si nasconde la cassaforte di Massimo Carminati, l’estremista di destra indicato come il capo di mafia Capitale, attualmente sotto processo con l’accusa di associazione mafiosa. Dietro l’angolo, sotto gli occhi di tutti fin dalle prime fasi delle indagini, il tesoro è protetto nella capitale finanziaria d’Europa da un complicato meccanismo di scatole societarie e dalla segretezza che tutela la finanza internazionale.
All’ombra dei grifoni della City, i soldi dell’organizzazione criminale si spostano tra paradisi fiscali e banche senza lasciare traccia, diventando di fatto ville, aziende immobiliari, ristoranti per un valore complessivo di milioni di sterline. Ma alcune “strisciate”, come le chiama Carminati nelle intercettazioni che lo hanno portato in carcere, restano. Muovere capitali in questo modo è un lavoro da professionisti, e per quanto cauto e furbo, “er cecato” non può certo farlo da solo. L’Espresso ha seguito da vicino alcune di queste piste, arrivando ai tesorieri più fidati che si trovano nella City.
L’ex estremista di destra per muoversi a Londra si appoggia a due vecchi amici e compagni di battaglie: Vittorio Spadavecchia e Stefano Tiraboschi. Entrambi già militanti in gruppi neofascisti attivi negli anni Settanta. I loro nomi ritornano nelle intercettazioni dell’inchiesta su mafia Capitale ogni volta che si parla del forziere inglese. Nei quasi quarant’anni che hanno passato nella capitale britannica, i due hanno dimostrato talento per gli affari e una coriacea resistenza alle rogatorie avviate dai magistrati della procura di Roma.
Spadavecchia sbarca a Londra nell’agosto del 1982. Non aveva idea, ha dichiarato, che la legge italiana lo ritenesse un fuggitivo. Eppure un sospetto avrebbe dovuto averlo, visto che neppure due mesi prima a Roma aveva assaltato, con un gruppo di camerati, la sede dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina di cui era presidente Arafat. [[ge:rep-locali:espresso:285270920]] Durante la sparatoria, i nervi gli avevano ceduto, e mentre uno dei poliziotti di guardia cadeva sotto il piombo dei camerati, lui si era tolto i pantaloni per sembrare un passante impegnato a fare jogging.
Con la paura di quella notte ancora fresca, Spadavecchia lascia l’Italia per non farci più ritorno. C’è chi è pronto ad accoglierlo. Nei primi anni Ottanta la capitale inglese era il rifugio preferito dai camerati “in latitanza preventiva”. Erano i tempi delle indagini sul terrorismo nero e sulla strage di Bologna. Ma a Londra, lontano dal clamore, Roberto Fiore, fondatore di diversi movimenti neofascisti e del partito Forza Nuova, aveva stretto accordi con gruppi di estrema destra inglese come la League of St George, aiutando decine di estremisti neri italiani in fuga.
Fra i “neri in fuga” c’era già chi poi sarebbe diventato il più stretto socio in affari di Spadavecchia: Stefano Tiraboschi. Proveniente dal Fuan, l’organizzazione dei giovani universitari del Msi, aveva trovato nel gruppo londinese di Fiore un punto di riferimento ideologico e concreto per organizzare la sua vita a Londra. Arrestato nel 1981 da Scotland Yard, Tiraboschi doveva essere interrogato dalla polizia italiana per aver fatto parte del commando che il 15 marzo 1979 aveva svaligiato a Roma l’armeria Omnia Sport.
Arricchirsi in fretta Nei primi anni Ottanta Spadavecchia e Tiraboschi a Londra sono ufficialmente studenti squattrinati, ma nel giro di poco tempo diventano ricchissimi, con proprietà di lusso e ristoranti per un valore complessivo di decine di milioni di sterline.
Per Spadavecchia, però, i problemi con la giustizia continuano. Almeno fino a giugno scorso, quando l’ultima decisione della corte di Westminster sembra assicurargli definitivamente sonni tranquilli sotto il cielo inglese. I giudici infatti hanno avvalorato la tesi che Spadavecchia fosse all’oscuro di essere un ricercato e hanno ritenuto il processo in contumacia una violazione del suo diritto a un giusto processo. Eppure per la giustizia italiana, che l’ha condannato a 14 anni per crimini come terrorismo, rapina a mano armata e possesso illegale di armi da fuoco, è stata proprio la sua fuga a impedirgli di far valere le proprie ragioni di fronte a un tribunale. Del resto la sua condanna in primo grado risaliva già al 1986 e a quel verdetto il suo avvocato aveva fatto appello, dimostrando che almeno a partire da quell’anno Spadavecchia era ben cosciente delle accuse a suo carico. Da allora l’Italia lo ha richiesto almeno sette volte, fra il 1991 e il 2016, ma Spadavecchia è rimasto a Londra libero di continuare a curare i suoi affari milionari e di brindare alla sua libertà con i ragazzi della squadra di rugby che gestisce l’Ealing Trailfinders Club, una società del West End londinese.
Non è chiaro come lui e il suo socio abbiano trovato il capitale iniziale per il loro business. Di certo Tiraboschi, senza lavoro e senza fissa dimora nei primi anni ’80, arriva ad avere nel 1995 la proprietà di un appartamento all’epoca valutato in 350mila sterline a Holland Road, nella prestigiosa area di Kensington, e di una villetta in stile vittoriano a due passi dal Tamigi.
Nel 1994 Spadavecchia e Tiraboschi aprono la loro prima azienda, la Action Accommodation. Il modello è quello della Easy London di Roberto Fiore che dagli anni Ottanta prometteva casa e lavoro a giovani italiani che volevano studiare inglese. Spadavecchia e Tiraboschi optano per offerte più di lusso, ma il concetto rimane lo stesso: fatturare affittando proprietà, costruendo un impero.
Verso la fine degli anni ’90, Action Accommodation viene sostituita da London Solutions, un nuovo brand che viene controllato prima da una società inglese e, successivamente, da un’italiana. Un periodo a cavallo del clamoroso furto a opera di Carminati nel caveau della banca che si trova nella città giudiziaria della Capitale. Quando il “Nero” riuscì a mettere le mani su parecchie delle cassette di sicurezza lì custodite.
Il quartier generale della società rimane a Londra. Il portfolio di immobili è molto ricco: almeno sedici proprietà con un valore di mercato che supera i dieci milioni di sterline.
La coppia è attiva anche nel settore della ristorazione. Tiraboschi gestisce almeno tre ristoranti, di cui due intestati al fratello. Tre trattorie italiane, tutte situate lungo Kensington Park Road, accanto al famoso mercatino di Portobello.
«I ristoranti che c’hanno st’amici miei, ce vanno tipo Madonna, la figlia del re, cioè... sta a Notting Hill» si vanta il “cecato” con un amico. «Guadagnano un sacco di soldi».
Per Carminati i camerati sono parte di una “famiglia”. «È normale che hai più feeling con un vecchio camerata, [..] sono tutta gente cresciuta in quell’ambiente e questi rapporti rimangono, e negli anni se devi chiede un favore, una cosa, è facile che hai rispondenze quando c’hai un appoggio di questo tipo», spiega il collaboratore Roberto Grilli al pm Giuseppe Cascini, uno dei titolari dell’indagine su mafia Capitale.
Spadavecchia e Tiraboschi non sono tra gli indagati dell’inchiesta “mondo di mezzo”, ma la loro importanza per gli affari di Carminati a Londra è un elemento che emerge con assoluta chiarezza nelle indagini antimafia. L’ex Nar va spesso nella capitale inglese e, secondo gli investigatori, è proprio negli incontri con i due camerati che pianifica i suoi investimenti. Vittorio Spadavecchia e Stefano Tiraboschi però, contattati da L’Espresso, preferiscono non commentare le vicende che li riguardano. [[ge:espressosite:espresso:1.237395:image:https://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.237395.1466523394!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/articolo_480/image.jpg]] Nella City l’ex terrorista non è, come a Roma, un boss che tiene in scacco politici e imprenditori, ma un semplice investitore che può passare inosservato. «Là non ti guardano mai in faccia... là che cazzo ti frega... nessuno ti conosce», dice Carminati in una conversazione intercettata a maggio 2013. I carabinieri lo ascoltano anche quando illustra i vantaggi del nascondere soldi nelle isole del Commonwealth, come le Bahamas. Del fatto che l’arcipelago sia entrato nella “white list” dei paesi fiscalmente trasparenti, il boss può farsene beffe: «Ce sta il segreto bancario micidiale, perché gli inglesi so paraculi, davanti dicono una cosa, ma dietro...». Così gli affari possono prosperare.
Quando uno degli uomini a lui più vicini, Fabrizio Franco Testa, ex manager Enav e uomo chiave della galassia del “Nero”, dice di voler avviare due ristoranti a Kensington, Carminati lo porta a Londra a incontrare Spadavecchia e cerca anche di far entrare nell’affare suo figlio Andrea. Fabrizio Testa non è uno qualunque. I magistrati lo definiscono «testa di ponte dell’organizzazione nel settore politico e istituzionale».Tra lui e Spadavecchia (che lo ospiterà in casa propria) si creerà una connessione speciale. Per gli inquirenti è un’affinità di affari, ma Testa dichiara invece di essere stato ospitato solo per «questioni familiari».
Affari di famiglia Sentito nell’ambito del processo a mafia Capitale, in cui figura come imputato, Testa nega che i Carminati, padre e figlio, abbiano partecipato al suo investimento nei ristoranti. «Andrea [Carminati] mi ha aiutato solo con il business plan» perché «conosceva il diritto locale». Testa aveva buoni agganci nell’ambiente londinese, eppure agli esperti consulenti finanziari tramite i quali gestiva già obbligazioni finanziarie nella City ha preferito un giovane appena uscito dall’università.
Preoccupato di avere alle calcagna le autorità italiane, dopo che ai primi di aprile del 2012 era stato pedinato durante un viaggio a Londra, Carminati è alla ricerca di contatti puliti per i suoi investimenti immobiliari. Un amico camerata gli presenta una vecchia conoscenza che vive tra Londra e Melbourne, in Australia. Enrico Maria Vaccaro è un immobiliarista di successo e il “cecato” vorrebbe affiancare anche a lui il figlio Andrea per fare acquisti nel Regno Unito. Vaccaro è fidato, gli dicono: è andato a Londra nel 1994 e «ha messo da parte soldi, poi si è ripulito». Nella capitale compra immobili, li ristruttura e li rivende, e avrebbe «conoscenze e amicizie anche per un appartamento» che potrebbe interessare Carminati. I due si incontrano il 3 giugno 2013 a Roma. Vaccaro è socievole, racconta i suoi successi. Si vanta di avere ristrutturato la casa di Carlo Ancelotti quando allenava il Chelsea. Molti suoi clienti sono italiani, dice, e lo pagano via Svizzera e isole Cayman.
Proprio il tipo di discrezione che cerca Carminati. Enrico Maria Vaccaro all’Espresso ha dichiarato di essere finito a quell’appuntamento per puro caso. «Non lo conoscevo neanche, dovevo incontrare un’altra persona». E afferma di non avere mai più avuto contatti con i Carminati.
Da una conversazione intercettata emerge che a Londra il “Nero” avrebbe concluso un affare immobiliare: l’acquisto all’asta del primo piano di una casa a Notting Hill. Inoltre, le indagini continuano a registrare diversi viaggi di Carminati tra Roma e Londra.
Case e medicine Per il “mondo di mezzo” Londra non è solo il terreno fertile dove far crescere ville e ristoranti, ma anche la via d’ingresso per quei paradisi fiscali alle cui porte non può bussare rogatoria. Ce lo racconta la singolare storia di un’azienda aperta a Roma nel 1998. Ad andare dal notaio quel giorno di luglio di diciannove anni fa è Sergio Carminati, fratello dell’imputato di mafia, assieme all’avvocato Antonio Esposito. Aprono la Gifin Italia srl, un’azienda il cui scopo dichiarato è la compravendita di immobili e il commercio di prodotti sanitari e farmaceutici. Le attività iniziano nel 1999, quando la proprietà finisce nelle mani di un’omonima azienda inglese, la Gifin Uk Ltd, aperta tre mesi prima della filiale italiana sotto l’egida di un importante nominee service londinese.
A controllare la Gifin Uk Ltd sono però due scatole cinesi. Una registrata nelle Isole Vergini britanniche, l’altra a Panama con un sistema di azioni al portatore che garantiscono il totale anonimato. A gestirne l’involucro, i promotori finanziari del Nominee service londinese: due inglesi e tre italiani che si muovono tra Londra e Montecarlo fornendo un servizio che, secondo alcune indagini della Procura di Roma, potrebbe in più occasioni essere stato utilizzato per attività di riciclaggio.
Cosa abbia fatto la famiglia Carminati con la Gifin in questi anni non è facile capirlo. L’unica attività certa, e che passa tramite ulteriori scatole cinesi, sembra essere la gestione di un bar poi sequestrato a Roma.
Di commercio di farmaci non si ha traccia fino al 2007, quando la controllante inglese vende le proprie quote della Gifin Italia a due farmacisti romani. Uno dei due è molto vicino alla famiglia Carminati e nel 2012, probabilmente a ulteriore tutela, cede le quote all’insospettabile consorte di cui usa anche il cellulare per comunicare con la compagna di Massimo Carminati. Ma a che cosa serva tutto questo giro di persone e società per gestire dei minuscoli budget, o almeno tali sono quelli dichiarati tanto in Italia quanto in Inghilterra negli anni, tanto da dover scomodare addirittura Panama e le Isole Vergini rimane, e forse rimarrà, un mistero. Un mistero all’ombra della City of London.
Quest'articolo è stato realizzato dall'Espresso in collaborazione con il centro di giornalismo d'inchiesta Irpi e il supporto del Journalismfund.eu