Mondo di mezzo, l'ex giudice di Cassazione: «Ci sono due errori in quella sentenza»
La decisione di non riconoscere mafia capitale è discutibile. Parla Esposito, già presidente della seconda sezione della Suprema Corte. Gli fa eco Maurizio Fumo: «L'assenza di 'morti a terra' non deve ingannare perché la mafia, da sempre, uccide solo quando è debole»
“Ci sono due errori in quella sentenza, quell'indagine non è da discutere, come qualcuno ha fatto, perché ha scoperto un verminaio”. Antonio Esposito, già presidente della seconda sezione della Cassazione, esprime le sue critiche in merito alla sentenza della Suprema Corte su 'mafia capitale' che ha assolto gli imputati dall'accusa di associazione mafiosa. Un parere non isolato.
In questi giorni anche Maurizio Fumo, ex presidente della quinta sezione penale della Cassazione, in pensione da poco, ha evidenziato: “Le associazioni di tipo mafioso sono presenti, ormai e non da poco, in tutta Italia, come dimostrano i processi che ci sono stati in Piemonte, in Emilia Romagna in Lombardia”. E sulla sentenza 'mafia capitale', in attesa delle motivazioni, chiarisce: “ Evidentemente sono state rimeditate le posizioni precedentemente espresse, ma alla fine il problema si riassume nella questione di dove vogliamo porre i confini tra mafia e criminalità comune. E' alla sostanza delle cose che bisogna guardare e l'assenza di 'morti a terra' non deve ingannare perché la mafia, da sempre, uccide solo quando è debole o quando deve affermare (o riaffermare) il suo predominio”.
Il pronunciamento della Cassazione, arrivato una settimana fa, ripropone il tema del riconoscimento dell'associazione mafiosa per le bande criminali che lucrano e fanno affari nella capitale. Antonio Esposito, già presidente della seconda sezione della Cassazione, quella che nell'agosto 2013, confermò la condanna a Silvio Berlusconi per frode fiscale, critica aspramente la sentenza che ha assolto Salvatore Buzzi e Massimo Carminati dall'accusa di mafia. Esposito, in venti anni di attività ha scritto centinaia di sentenze che hanno riguardato tutte indistintamente le associazioni criminali: dalla camorra (in particolare, il "clan dei casalesi"), alla 'ndrangheta, alla mafia (stragi mafiose tra le quali l'attentato dell'Addaura nei confronti di Giovanni Falcone; omicidi mafiosi tra cui quello del piccolo Santino Di Matteo, oltre il processo a carico del governatore Cuffaro condannato per favoreggiamento della mafia).
La Corte di Cassazione ha assolto gli imputati nel processo scaturitodall'indagine 'mondo di mezzo' dal reato di associazione mafiosa, condivide questa decisione? Per esprimere un giudizio completo, è necessario attendere il deposito delle motivazioni della Corte. La decisione, a quanto si può evincere dal dispositivo, mi sembra, comunque, discutibile.
Perché? È sicuramente molto discutibile che la Corte di legittimità – a fronte di una motivazione della Corte di Appello che, con specifico riferimento a plurime risultanze processuali, ha ritenuto, con diffuse argomentazioni che non appaiono manifestamente illogiche e contraddittorie essersi in presenza, di un’unica, inscindibile, associazione a delinquere di cui ha rilevato, per centinaia di pagine, il carattere mafioso – possa ravvisare l’esistenza di due distinte associazioni a delinquere ciò comportando una valutazione in fatto e un accertamento di merito non consentiti al giudice di legittimità che, ove avesse, in ipotesi, ritenuto manifestamente illogica o contraddittoria la motivazione in proposito adottata dalla Corte territoriale, avrebbe dovuto annullare la decisione con rinvio ad altra sezione della Corte di merito per nuovo esame sul punto.
Insomma il primo errore, a suo avviso, è che la Cassazione dovrebbe esprimere un giudizio di legittimità e, invece, in questo caso è entrata nel merito dei fatti. Quale altro errore ravvisa? C'è un altro errore, a mio avviso, in cui è incorsa la sesta sezione penale della Corte, spesso incline all’annullamento, da ultimo quello concernente la misura cautelare personale emessa a carico del Presidente del Consiglio comunale di Roma, Marcello De Vito indagato per corruzione. Da quel che emerge dal dispositivo, la Corte di Cassazione ha mantenuto ferma l’aggravante (già riconosciuta in appello) di cui all’articolo 7 (aggravante mafiosa) per quegli imputati che costituivano la prima delle due associazioni “semplici”, capeggiata da Massimo Carminati – pericoloso pregiudicato con un elevatissimo spessore criminale gli consentiva di esprimere una notevole forza di intimidazione verso l’esterno – e composta anche da Riccardo Brugia, “braccio destro” di Carminati, Matteo Calvio (detto “lo spezzapollici”) e da Roberto Lacopo, dediti alle estorsioni. Ed, allora, i partecipanti all’associazione a delinquere capeggiata da Carminati hanno posto in essere plurimi reati di estorsione usando il metodo mafioso cioè condotte con forme di violenza o minaccia che assumono “veste” tipicamente mafiosa (percosse, lesioni, minacce di morte, minacce di incendiare manufatti, minacce di inviare emissari per superare le resistenze della vittima, ecc.). Risulta allora difficile ritenere che a tale sodalizio non sia contestabile il 416 bis, l'associazione mafiosa; tale ipotesi, infatti, si configura, in luogo di quella di cui all’art. 416, l'associazione a delinquere semplice, e se ne distingue, proprio per le forme di condotte da cui derivano condizioni di assoggettamento e di omertà.
Questo pronunciamento è un salto all'indietro nel contrasto al crimine organizzato, inteso come rapporto con politica e imprenditoria? No, perché la sentenza ha comunque riconosciuto l'esistenza di un'associazione per delinquere (sia pure non mafiosa ma "semplice") finalizzata alla corruzione politica e a turbare la libertà degli incanti nei pubblici appalti
Presidente, in passato, la Corte di Cassazione con la sentenza sulle cosiddette 'piccole mafie' aveva, nei fatti, allargato ed esteso l'applicabilità del 416 bis, in questo modo si cancella quel portato giuridico? La prevalente giurisprudenza della Corte – che ha ben quattro sezioni che si interessano a turno della criminalità organizzata – continuerà a ritenere l'esistenza delle "piccole mafie" sempre, però, che "i reati-fine" siano stati commessi con modalità tipiche "mafiose".
Presidente, la città di Roma sembra ignorare le organizzazioni mafiose. Prima prefetti, poi noti opinionisti e anche questa sentenza, sembrano dire che le mafie ci sono, ma non a Roma. Che ne pensa in linea generale di questo approccio? A Roma non esiste un'unica organizzazione mafiosa nel senso tradizionale del termine (con le sue pratiche di affiliazione, con i suoi capi-mandamento, capi-decine, ecc.), ma esistono plurimi, distinti gruppi criminali che controllano i rispettivi territori, sono dediti al traffico di sostanze stupefacenti, usura ed estorsioni, pongono in essere atti di violenza o minaccia e, più compiutamente, di intimidazione da cui scaturiscono i fenomeni dell’assoggettamento e della omertà. In tal caso si è in presenza di autonome consorterie delinquenziali che mutuano il metodo mafioso in uso a clan operanti in altre aree geografiche, sì da conseguire – in concreto e nell’ambiente nei quali essi operano – una effettiva capacità di intimidazione. Del resto, la Corte di Cassazione, questa volta la terza sezione penale, con sentenza del 30 aprile 2019, ha riconosciuto il carattere mafioso all’associazione criminale Casamonica-Spada
Qualcuno dopo la sentenza ha scritto 'mafia capitale era una fake news', che ne pensa? Non è assolutamente così. L’indagine condotta dalla Procura di Roma ed, in particolare, dal Procuratore aggiunto Michele Prestipino ha, comunque, avuto il merito di scoperchiare il verminaio della corruzione politica esistente a Roma, e scoperto, il torbido intreccio tra politici e pubblici ufficiali da un lato e pericolosi pregiudicati dall’altro.
A Roma si moltiplicano casi di violenza di strada, tutti riconducibili al traffico di droga, ma spesso di tende a ridimensionare, lei che ne pensa? È un gravissimo errore, come ha già fatto qualche autorità, sottovalutare il fenomeno criminale e mafioso.