Troppo spesso abortire diventa una tortura. L’Espresso ha messo a disposizione uno spazio in cui condividere anonimamente la propria esperienza. Per rompere il silenzio e raccontarla #innomeditutte. Questa è una delle testimonianze che abbiamo raccolto

Dopo aver raccontato la testimonianza di un'interruzione volontaria di gravidanza fatta di sofferenze e silenzi, abbiamo deciso di pubblicare un po' alla volta quelle arrivate in redazione in questi giorni. Lo spazio anonimo riservato alle vostre storie ne ha raccolte a centinaia. Da tutta Italia. Da giovani ragazze alla prima gravidanza, da donne già madri di due figli, da mariti che cercano di esprimere a parole il dolore di una perdita da cui spesso vengono esclusi.

Questa è la testimonianza di A. da Roma.

La campagna
L'aborto negato, rompiamo il silenzio: raccontaci la tua storia #innomeditutte 
28/9/2020
«Ricordo mio marito che piega le ginocchia mentre parla al telefono con la genetista del laboratorio. Trisomia 21, l’inizio dell’incubo.

Lavoro in un ospedale di Roma, questo facilita le cose, ma mi dicono: ”Guarda che questo è un paese, lo sapranno tutti”. Come se questo, nella tragedia che stavo vivendo, potesse avere importanza. Non ricordo esattamente quanti giorni siano trascorsi fino al ricovero, a me sono sembrati tanti, un’agonia senza fine. L’infermiera che mi fa il prelievo mi dice che non mi devo vergognare, che lei è una mamma e avrebbe fatto la stessa cosa. La mia ginecologa, obiettrice, che mi aveva promesso che sarebbe stata presente pur non partecipando attivamente, mi telefona e dice che sta malissimo. Non può venire.

Alle 9 del mattino inizia la somministrazione degli ovuli, alle 20 il ginecologo non obiettore finisce il turno. Poi non si fa più vedere nessuno. Io sto malissimo, svengo. Mia sorella, che era con me, chiama le infermiere, che mi portano di corsa in sala parto. L’espulsione avviene alle 22, ma non si vede un medico che sia uno.

Prima di riportarmi in stanza l’ostetrica mi domanda: ”Come si chiama?”.
Io non voglio capire, le dico il mio nome, ma lei mi dice che non è quello che vuole sapere. Allora le dico il cognome di mio marito, lei scuote il capo. Mia sorella che è presente capisce, le dice il nome che avevamo scelto per il bambino. Ancora oggi mi chiedo il perchè di quella domanda, a cosa sia servita.

L'indomani il medico di guardia mi dice che sarò dimessa il giorno dopo dal ginecologo non obiettore. Intanto sento, dalle stanze vicine, i vagiti dei neonati e le neo-mamme che accolgono i parenti in visita.

Sono passati quasi 20 anni non sono mai riuscita a ricordare che giorno fosse con esattezza. Ricordo solo che era maggio. È come se la mente volesse rimuovere almeno quel particolare. L’unica cosa che sono riuscita a dimenticare».



a cura di Chiara Manetti