
La procura generale della Cassazione ha esaminato migliaia di pagine di chat e intercettazioni dei Palamara papers, e ha contestato ad altre 27 toghe comportamenti non in linea con l’onorabilità della magistratura: e tra queste non ci sono solo i magistrati che hanno partecipato alla cena all’Hotel Champagne insieme ai deputati Cosimo Ferri (che è anche una toga prestata alla politica) e Luca Lotti per parlare di nomine che il Csm era prossimo a fare nelle principali procure del Paese, ma anche tanti magistrati che grazie Palamara, leader della corrente di Unicost ed ex presidente dell’Anm, avrebbero cercato di fare carriera e farla fare ai loro amici e in alcuni casi anche ai parenti. Quello di Salvi è un atto di accusa dettagliato: per undici di loro ha già chiesto il giudizio di fronte alla commissione disciplinare del Csm, come da lui stesso annunciato lo scorso luglio, ad altri 16 ha inviato nelle scorse settimane le contestazioni e dopo aver ascoltato la controparte deciderà se chiedere il giudizio o meno.

Tra gli undici mandati a giudizio disciplinare ci sono i partecipanti alla cena dell’Hotel Champagne e ad altri incontri con al centro le nomine nelle procure e nei tribunali di mezza Italia: Cosimo Ferri, Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre, Luigi Spina e Gianluigi Morlini. Ma a giudizio Salvi ha mandato per altri motivi anche il pm Stefano Fava.
La vicenda riguarda una nota inviata al Csm da Fava, quando era alla procura di Roma, e anticipata a Palamara nella quale, in merito ad un procedimento giudiziario nei confronti dell’avvocato Piero Amara (nell’inchiesta sulle sentenze pilotate, ndr), si faceva riferimento ad una “favorevole predisposizione” nei confronti degli indagati da parte del procuratore Giuseppe Pignatone e dell’aggiunto Paolo Ielo. Secondo l’esposto di Fava i fratelli di Pignatone e Ielo avevano rapporti di “cointeressenze” con gli indagati. Per Salvi, invece, si tratta di “un comportamento gravemente scorretto” nei confronti di Pignatone e Ielo. E le contestazioni a Fava non si fermano qui.
Il procuratore generale lo accusa anche di aver dato informazioni riservate a Palamara: «Gli rivelava come gli inquirenti fossero risaliti a lui, specificando che gli accertamenti erano partiti dalle carte di credito in uso a Fabrizio Centofanti e che si erano estese ai pernottamenti negli alberghi, confidandogli retroscena delle indagini». Tra i mandati a processo disciplinare ci sono altri nomi di peso. Come quello di Maria Vittoria Caprara, giudice del tribunale di Roma, incolpata perché, nella qualità di segretaria della quinta commissione del Csm avrebbe dato informazioni riservate a Palamara, in particolare sulla procedura di nomina del procuratore di Roma. C’è pure il nome di Cesare Sirignano, della direzione nazionale antimafia. Il procuratore Salvi incolpa Sirignano di alcune manovre. «Al fine di favorire la nomina a procuratore di Perugia nel corso di una conversazione telefonica con Palamara dichiarava di aver preso contatti con l’aspirante all’incarico Giuseppe Borelli (procuratore aggiunto a Napoli ed estraneo ai fatti) il quale si sarebbe dichiarato disponibile ad alleggerire la posizione processuale del magistrato indagato e a gestire l’esposto strumentalmente presentato da Fava per rendere inattendibili i preliminari atti di indagine già compiuti nei confronti di Palamara e per screditare o, eventualmente, sottoporre ad indagini il procuratore Pignatone e l’aggiunto Ielo».
Secondo Salvi in questo caso Sirignano «ha tenuto un comportamento gravemente scorretto anche nei confronti di Borelli, per averlo rappresentato quale persona in grado di perseguire fini diversi da quelli della giustizia». A processo disciplinare Salvi ha mandato poi Fiammetta Palmieri, magistrato fuori ruolo, in servizio alla presidenza del Consiglio al dipartimento degli affari giuridici e legislativi, incolpata di aver dato ai «consiglieri del Csm già autosospesi Lepre, Cartoni e Criscuoli, atti relativi alla trascrizione di intercettazioni telefoniche vincolate dal segreto».
Questi i magistrati che la procura generale della Cassazione ha mandato a giudizio. Ad altri sedici ha inviato le contestazioni. Ad esempio nei confronti di Marco Canepa, presidente sezione Tribunale Savona, per il quale Salvi ha promosso una azione disciplinare perché «in violazione dei doveri di correttezza poneva in essere un comportamento gravemente scorretto nei confronti dei colleghi che avevano presentato domanda per il conferimento degli uffici semidirettivi di presidente sezione Tribunale di Genova e Tribunale di Savona, ai quali egli stesso concorreva… formulando apprezzamenti denigratori sulle qualità professionali degli altri aspiranti e con riferimento a Marcello Bruno anche personali».
Azione disciplinare avviata contro Roberto Ceroni, sostituto procuratore a Bologna, perché «mirava a far conseguire la nomina di Gianluca Chiapponi, Stefano Brusati e Silvia Corinaldesi rispettivamente ai posti di procuratore di Forlì, presidente Tribunale Piacenza e presidente Tribunale Rimini, perché appartenenti alla loro comune corrente associativa».
Salvi incolpa poi Paolo Auriemma, procuratore a Viterbo, perché «al fine di assicurarsi l’elezione al Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa otteneva da Palamara di interloquire e di esprimere il proprio assenso o dissenso sulle pratiche del Csm in grado di avere ripercussioni sulla sua campagna elettorale». Tra i messaggi citati da Salvi nella contestazione c’è anche quello del primo luglio 2018 con il quale «Auriemma segnalava a Palamara che suo cugino Gerardo Sabeone venisse proposto all’unanimità presidente di sezione della Corte di cassazione (nomina poi avvenuta) onde evitargli altre figuracce con i suoi familiari». Nell’atto di accusa di Salvi c’è anche Valerio Fracassi, presidente dei gip del tribunale di Brindisi ed ex componente del Csm. Il procuratore di Cassazione ha promosso l’azione disciplinare perché «Fracassi otteneva da Palamara di espungere dall’elenco dei posti di imminente pubblicazione quello di presidente di sezione di Brindisi, trattandosi dell’ufficio dal quale proveniva e sul quale sarebbe dovuto rientrare (ufficio poi ricoperto al termine del ruolo al Csm)». Scriveva Fracassi a Palamara: «Ti prego non pubblicare il posto a Brindisi». Palamara rispondeva: «Ciccio su questo lo sai che hai un fratello».
Altro nome che potrebbe andare a giudizio di disciplina è quello di Vittorio Masia, presidente Tribunale di Brescia. Salvi gli contesta di aver segnalato a Palamara nomi di colleghi, della sua stessa corrente, per posti chiave «nel distretto di Brescia o in altri tribunali lombardi». In particolare, scrive il procuratore capo della Cassazione, «mirava a far conseguire la nomina di Laura Giraldi a presidente della sezione Tribunale di Bergamo; per analoghe ragioni mirava a far conseguire gli incarichi semi-direttivi richiesti dai colleghi Enrico Pavone e Silvio Bonfigli, denigrando al contempo Angelo Renna e Maria Cristina Rota; denigrava poi Anna Di Martino aspirante al ruolo di presidente di Tribunale a Cremona».
Procedimento avviato pure per Tommasina Cotroneo, presidente sezione Tribunale Reggio Calabria, per aver «tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti dei magistrati che avevano presentato domanda per presidente di sezione del Tribunale di Reggio Calabria, al quale lei stessa concorreva, prospettando a Palamara la strategia da seguire al fine di prevalere su Kate Tassone e Daniele Cappuccio, consistente nella reiterata denigrazione di questi ultimi». Un atto di incolpazione Salvi lo ha mandato poi a Stefano Pizza, sostituto procuratore a Roma. Secondo Salvi avrebbe fatto una attività di dossieraggio, insieme a Palamara, per screditare Arianna Ciavattini, sostituto procuratore a Grossetto. In particolare Pizza avrebbe dato questo dossier a Palamara, «affinché questi a sua volta lo consegnasse ad amici giornalisti, al fine di pubblicare articoli di discredito nei confronti della predetta». Nel mirino del procuratore di Cassazione c’è Marilena Rizzo, presidente tribunale di Firenze, perché «avrebbe interloquito con Palamara per dare il suo “assenso” su alcune nomine», forte del «legame di natura associativa con Palamara», essendo la referente per la Toscana di Unicost. In particolare Rizzo avrebbe sostenuto le nomine di «Maria Cannizzaro al posto di presidente di sezione a Firenze; di Giuseppe Pizzuti a presidente di sezione a Pistoia; di Del Forno a Livorno».
Scendendo giù per le procure del Paese, tra i nomi che compaiono c’è quello di Alessia Sinatra a Palermo: secondo Salvi ha tenuto un «comportamento gravemente scorretto nei confronti del magistrato Giuseppe Creazzo, che aveva presentato domanda per la procura di Roma». Si legge nell’atto di contestazione che scriveva alcuni messaggi a Palamara dichiarandosi “disposta a tutto” pur di scongiurare la nomina di Creazzo. Tra i magistrati c’è chi utilizzata il canale preferenziale con Palamara per farsi campagna elettorale. Come Marco Mancinetti, giudice del tribunale di Roma. Per sostenere la sua candidatura a componente del Csm dava “assenso o dissenso” a diverse nomine in ballo grazie al rapporto diretto con Palamara: «Era lo stesso Mancinetti che acquisita in tempo reale l’informazione da Palamara, avrebbe dovuto anticipare telefonicamente l’esito positivo del procedimento al collega nominato onde assicurarsi il sostegno elettorale suo e dei colleghi a lui vicini», si legge nell’atto d’accusa.
Rimanendo in tema “politico”, altri due magistrati sono accusati da Salvi: Massimo Forciniti pm a Crotone e Claudio Maria Galoppi magistrato fuori ruolo, consigliere giuridico presidenza del Senato. Sono incolpati di aver sollecitato un emendamento alla legge di stabilità del 2017 poi presentato dall’onorevole Paolo Tancredi: «Nell’occasione dopo aver ispirato e messo a punto il testo dell’emendamento, Forciniti, Galoppi e Palamara, avviavano varie interlocuzioni con parlamentari… la norma da modificare impediva loro di essere nominati ad un ufficio direttivo prima del decorso di un anno dalla cessazione dalla carica di consigliere Csm», scrive la procura generale.
Il caso Palamara non è ancora chiuso.