Un dettaglio disumano accomuna il massacro nella capitale austriaca a quello nella redazione di Charlie Hebdo del 2015: l'omicidio a sangue freddo. Non kamikaze, ma giustizieri in bianco e nero

Oltre al resto, c'è un dettaglio che accomuna Vienna a Parigi, un ricarico di crudeltà, un gesto inumano verrebbe da dire, se non fosse che la sua reiterazione lo rende purtroppo, e terribilmente, umano. L'umanità ha anche queste aberrazioni.

C'è il killer islamista totalmente vestito di bianco, in braccio un fucile d'assalto, nelle fodere diverse pistole, che avanza trotterellando in una strada semideserta del centro. Su un lato davanti a un negozio un uomo cerca come estrema e improbabile difesa di farsi piccolo, di scomparire. Viene colpito, si accascia. Il terrorista prosegue nella sua corsa leggera esce dall'occhio della telecamera che lo inquadra. Passano pochi secondo e ricompare, torna sui suoi passi, sempre con quell'andatura da jogging lento, si avvicina al viennese a terra, gli spara di nuovo, il colpo di grazia, mentre quello si rinserra nelle spalle, per proteggere come può i punti vitali. Riprende la sua corsa e scompare.

Ieri notte alcune televisioni hanno trasmesso la scena. Mandavano in onda qualunque video arrivasse da Vienna. La fretta, la velocità dell'informazione, la necessità di fornire qualche particolare nel deserto di notizie certe. Poi, come per un soprassalto di pudore, di pietas per la vittima, hanno evitato. Preferendo immagini meno cruente, riprese d'insieme, più da lontano, la totale del traffico che scorreva sullo sfondo tra il rumore delle pallottole. Ma la consumazione finale dell'omicidio a sangue freddo era ormai patrimonio del ventre vorace della rete.
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Quasi sei anni fa, 7 gennaio 2015. Parigi. I fratelli Said e Cherif Kouachi, hanno appena compiuto il massacro nella redazione di Charlie Hebdo. Loro sono vestiti di nero da capo a piedi, passamontagna compreso. Iniziano la fuga, si imbattono in un brigadiere, Ahmed Merabet, musulmano ma non lo possono sapere. Scendono dall'auto, col fucile d'assalto, fanno fuoco. Il poliziotto cade a terra. Uno dei fratelli corricchiando si avvicina. Merabet alza il braccio, lo implora di risparmiarlo, ma l'assassino gli esplode un colpo in testa, torna verso la vettura, recupera la scarpa da ginnastica che aveva perduto, chiude la portiera. Lo sparo, la scarpa da ginnastica, in pochi secondo due estremi, l'atto violento e l'atto usuale.

Non dei kamikaze, in Austria come in Francia, ma jihadisti che speravano di farla franca dopo aver seminato la morte nel centro di metropoli che sono quintessenza dell'Europa, con la sicumera di essere portatori di una giustizia divina, esecutori materiale del volere di Allah, giustizieri dal passo svelto e dall'abbigliamento inconfondibile, miliziani in bianco e nero, colori opposti e diversamente abbaglianti, senza la premura di
mimetizzarsi. Come a significare che sono altro da noi. Naturalmente dalla nostra cultura. Tra le nostre radici culturali c'è la parabola dal buon samaritano, l'Altro che soccorre il ferito sul ciglio della strada. Esattamente l'opposto.

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