Cosa ci insegna l'emergenza coronavirus sul lavoro del futuro
Smart working, intelligenza artificiale, nuove filiere. La quarantena sta indicando la direzione che dovrà prendere il sistema produttivo. L'analisi di un sindacalista
Sono giorni duri e strani ma che rappresentano un riscatto amaro per innovatori e autentici riformisti. Sembra, infatti, di rivedere il bellissimo di Tim Burton “The Big Fish”, tratto dal romanzo di Daniel Wallace. Quelle che i parrucconi e i reticenti al cambiamento hanno sempre considerato favole, ora ci si accorge essere più vere e forti delle loro confortevoli narrazioni quotidiane. Per questo la vera e sola opportunità per un paese pigro e seduto sul passato è quella di ascoltare quello che chi crede nell’innovazione propone da anni.
I NODI VENUTI AL PETTINE Il mondo abbonda di guai ma anche di persone che in tutti gli ambiti si rimboccano le maniche per risolverli. Ciò che non si riesce ancora a vedere è che questo virus forzerà blocchi e porterà cambiamenti annunciati da molti anni.
Quando saremo vaccinati al Covid-19 niente sarà più come prima, ma affinché questa emergenza possa essere letta e ricordata nel tempo come una “prova generale” dell’umanità dovremo accettare dell’Italia quello che già sospettavamo.
Siamo un paese con gruppi dirigenti trasversalmente inclini al populismo, imprigionato nel ricatto del breve termine, allergico alla corretta informazione e che sente molto forti i suoi diritti ma ancor più forti i doveri altrui.
L’impatto del virus sul mercato è di portata devastante, anche se ancora non ben quantificabile sia sulla domanda sia sull’offerta, non solo perché la Cina è al contempo un mercato e un fornitore ma perché stiamo paralizzando il nostro sistema industriale.
La crisi del 2008 ha spazzato via 600 mila posti di lavoro nell’industria e il 25 per cento del tessuto produttivo. Fatta eccezione per il triangolo d’oro Varese-Treviso-Forlì, nel resto d’Italia il tessuto economico industriale si è sfaldato, mentre da quelle tre regioni dipende il 40 per cento del Pil italiano. Peccato, nel gennaio 2020 vi era stato un rimbalzo positivo della nostra produzione industriale fino a +3,7 per cento (rispetto al tragico dicembre) proprio sui beni strumentali e intermedi.
Il danno economico ascrivibile alla pandemia andrà in qualsiasi caso ad aggiungersi a quello della crisi e gli effetti maggiori già si riscontrano proprio nel cuore del triangolo virtuoso, quello che aveva continuato a investire, innovare, trainare il nostro export grazie soprattutto alla meccanica strumentale.
PER UNA GLOBALIZZAZIONE SOSTENIBILE Oltrepassare limiti, divieti e incertezze alzando muri è mera illusione. Non mi riferisco alla doverosa quarantena sanitaria bensì al diffondersi dell’idea che dall’isolamento dall’altro dipenda la nostra protezione.
La popolazione mondiale si avvia entro il 2100 a contare 10 miliardi di persone e le interazioni umane, che siano fisiche o digitali, non sono certo destinate a diminuire.
Già gli effetti della guerra commerciale in atto fra Stati Uniti e Cina, lo scontro Russia-Arabia Saudita sul petrolio, nonché l’emergenza sanitaria hanno messo in evidenza la difficoltà di attuare un’autarchia e l’irrealizzabilità del decoupling economico.
L’idea che “la minaccia” venga sempre da fuori è un mantra populista che non funziona più ma che favorisce la propagazione della caccia al colpevole (il cinese, l’italiano, il lombardo) che non aiuta né la prevenzione del rischio né la sua identificazione.
Non solo, molte aziende si fermeranno perché non hanno pensato, per tempo, a fornire i propri dipendenti di dispositivi di sicurezza (dpi, sanificazione, igienizzanti) o non sanno far rispettare la distanza minima di sicurezza. Questo è un altro motivo per cui non pensare costantemente alla sostenibilità rende fragili le imprese.
AZIENDE, BASTA CON L’IMPOSTAZIONE FORDISTA Nelle prime due settimane di emergenza sanitaria, aziende e lavoratori sono stati lasciati soli, sprovvisti di prescrizioni di massima.
Tuttavia, l’emergenza sta spingendo alla più grande sperimentazione di smartworking mai attuata in Italia. In questa circostanza tutti si ritrovano a riorganizzare tempi e spazi di lavoro che nella trasformazione tecnologica in atto non sono più rigidi.
È triste che se ne comprendano i vantaggi solo in condizioni di emergenza. Era accaduto all’indomani del crollo del ponte Morandi con gli accordi firmati dai sindacati dei metalmeccanici in Abb e Leonardo: dopo soli tre mesi dagli accordi, produttività e benessere dei lavoratori sono aumentati.
Oggi, vista l’emergenza, lo smartworking può essere attivato anche senza l’accordo sindacale ma speriamo non ci si fermi qui. Non si tratta di telelavoro o dello stesso lavoro svolto in ufficio a casa. È qualcosa di specifico che va preparato e condiviso con i lavoratori per essere efficace. Ora non c’è tempo per preparare nulla ma smettiamo di pensare che l’Italia dia il meglio di sé in emergenza quando invece avremmo bisogno di programmazione.
L’eventualità che il coronavirus potesse arrivare in Italia non era remota. Le aziende non si sono preparate. Avrebbero potuto farlo, con piani di smartworking preventivi, ma non è successo ed anzi la maggior parte delle nostre aziende ha conservato un’impostazione fordista del lavoro.
FILIERE GLOBALI E PRODUZIONI STRATEGICHE Molte aziende si sono fermate o si stanno fermando per il blocco delle forniture dalla Cina, in testa il settore dell’automotive, poi il biomedicale, l’elettrodomestico. Che senso ha avuto il blocco delle merci, peraltro non dei voli indiretti e non in tutta Europa?
Federmeccanica ha già dichiarato che il settore nel 2019 ha perso il 3% (l’automotive il 10%) della produzione. A metà febbraio la Fim-Lombardia ha calcolato che solo in quella regione ci sono 21.380 metalmeccanici che lavorano in aziende in qualche misura impattate dagli effetti del Coronavirus, divisi in 149 imprese.
Bisogna quindi ripensare alle strategie industriali: basta un qualsiasi problema geopolitico a paralizzare le produzioni. Disastri climatici, epidemie, conflitti politici rendono fragili le catene globali. Fondamentale da ora in avanti sarà selezionare le produzioni strategiche ed investire su quelle. È un’occasione per scegliere le attività su cui abbiamo reali vantaggi competitivi. Questo però significa anche avere manager, politici, ministri in grado di ramificare velocemente alternative possibili alle forniture, e competenti del mondo delle supply chain.
Non si può nemmeno pensare di fare a meno della Cina, che non solo produce oggi il 19 per cento del Pil mondiale ma che è un protagonista nella catena delle forniture delle nostre aziende. È un cliente e un fornitore essenziale per svariate e preziose produzioni.
PIÙ INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER TUTTI Un’altra grande lezione di questi giorni è stata comprendere che serve una migliore capacità di raccogliere e leggere i dati e la possibilità di tracciare e “notarizzare” (cosa che la blockchain assicura) molte transazioni di ogni tipo. Proprio rispetto a quanto sostiene Ilaria Capua, citando il matematico e meteorologo americano Edward Lorenz, «un battito d’ali di farfalla della giungla amazzonica può provocare un uragano sull’Europa», ora è fondamentale prevedere come si stia muovendo l’epidemia su scala globale e al momento la capacità degli algoritmi di AI è molto efficace. Non solo, la Damo Academy, l’istituto di ricerca del colosso tech cinese Alibaba, ha sviluppato un algoritmo di intelligenza artificiale che permette di diagnosticare in 20 secondi il contagio da Covid-19 tramite scansioni tomografiche computerizzate (Tac). Il sistema avrebbe un’accuratezza molto elevata, pari al 96 per cento, e ridurrebbe enormemente i tempi necessari per un medico per leggere una Tac ed elaborare una diagnosi, che di solito si aggirano tra i 5 e i 15 minuti.
In questa circostanza, inoltre, conseguentemente al blocco imposto sulle merci cinesi, ci si è accorti che per un’azienda italiana è molto difficile tracciare il suo fornitore, sapere se utilizzi o meno merce “made in China”.
Avere una filiera tracciata dalla blockchain impedisce queste sorprese. Ed è quello su cui ha iniziato a lavorare l’Italia che non aspetta sul divano il denaro a pioggia.
UN CALENDARIO PER LE FIERE Molte aziende realizzano i propri programmi produttivi sulla base delle fiere e dei saloni internazionali: dell’auto (Ginevra), dell’illuminazione (Francoforte), del mobile (Milano).
Rinviarle significa mettere in stallo produttivo quelle aziende. Nonostante la tecnologia, l’esperienza dimostra che le fiere espositive dei nuovi prodotti sono ancora occasioni importantissime per le imprese per far “toccare con mano” le innovazioni. Inoltre, rappresentano un momento per costruire o rinsaldare le relazioni con partner e clienti, e sviluppare deal. Secondo le riprogrammazioni annunciate tra giugno e settembre si concentreranno tutte le fiere. Pensiamo che il calendario subirà nuove variazioni.
L’EUROPA VERSO LA GRANDE TRANSIZIONE In questo nuovo scenario, il piano “Green deal” della Presidente della Commissione Ue Ursula Von Der Leyen, di 1.000 miliardi di euro, dovrà essere utile ad accompagnare la grande transizione digitale, demografica, climatica. Considerato che l’ex piano Juncker aveva mobilitato una misura importante di investimenti privati, ci sono tante risorse che il nostro paese potrà utilizzare, specie nelle zone che ne hanno più bisogno. Il denaro pubblico in questa fase è necessario ma solo se riattiva investimenti privati e responsabilizza operatori e istituzioni locali e nazionali. Non gettiamo queste risorse nei contenziosi nel Consiglio di Stato e Tar o in burocrazia. Il nostro paese è fragile sulle infrastrutture materiali e immateriali (banda ultra-larga e formazione): ripartiamo da li, subito!
Inoltre, servono competenze specifiche.
Negli ultimi due anni si è assistito a un aumento esponenziale di attacchi informatici ai danni di aziende, governi, partiti, banche. Quello che viene de?nito il cybercrime miete un milione di vittime al giorno in tutto il mondo, produce centinaia di miliardi di danni, blocca servizi essenziali. Non abbiamo abbastanza esperti per fronteggiarlo. Le nostre aziende sono impreparate per?no a de?nire le strategie minime di contrasto e non trovano personale in grado di occuparsene.
Per questo motivo attraverso l’Enisa, l’Agenzia per la sicurezza delle reti e dell’informazione, e la Direzione generale delle Reti di comunicazione Connect, la Commissione europea ha deciso di coinvolgere realtà associative e imprenditoriali per aumentare il livello di consapevolezza di fronte a uno scenario che Bruce Schneier, uno dei massimi esperti al mondo di reti, non esita a de?nire di cyberwarfare: uno stato di guerra perenne.
ESSERE COMUNITÀ SERVE ALL’ECONOMIA Non è la prima e non sarà l’ultima. Abbiamo troppe volte fatto ricorso a “proroghe” che eludessero i nostri deficit strutturali. Come persone e come economie. Bisogna tornare a parlare di intelligenza sociale dell’impresa, economia civile.
Pertanto, sfruttiamo questa occasione per essere migliori, per seguire ciò che dice la scienza e applicare l’umana benevolenza. È una grande occasione: per capire che il pianeta non è fatto solo da noi in guerra con degli estranei. Il diverso vive accanto a noi e ha le nostre stesse paure, corre i nostri stessi rischi.
Per informarsi correttamente, per parlare tra di noi, con i nostri figli. Per smetterla di occultare le paure come se servisse a prevenirle. Per dedicarsi a costruire e arricchire i legami che ci rendono persone.
Per recuperare il senso del limite, della nostra vulnerabilità come un valore. E con essa la capacità di contare sulle nostre forze, che sono enormi soprattutto se impariamo a cooperare, a guardare ai problemi dell’altro come ai nostri.
Per poter modificare le innovazioni a vantaggio del nostro lavoro e della collettività. Perché la nostra atmosfera che sta respirando meno Co2 e gas serra, resti così anche dopo l’emergenza. Chissà che non ne venga fuori un mondo capace di ritornare a pensare al futuro e a costruire il meglio per il nostro domani anticipando i cambiamenti.
Per smetterla di sopravvivere e iniziare a esistere. Non ci si può lamentare di votare i mediocri e poi lasciarsi prendere dal panico come quando ci si accorge che non c’è un adulto alla guida dell’auto.
I corvi e gli speculatori non riescono a celare che il mondo è unito contro un unico nemico, invisibile e mortale. Che sia la volta buona per capire che essere comunità serve alla vita ma è indispensabile per l’economia e che esiste un unico bene comune globale, che appartiene a tutte le donne e agli uomini: la vita.