Chi ha protetto gli assassini e gli stragisti degli anni di piombo
Dalla P2 di Licio Gelli ai vertici delle forze armate. I terroristi neri hanno goduto di tanti appoggi e aiuti che ancora oggi rendono difficile ricostruire la verità di quella stagione di sangue
Terroristi neri. Neri come le stragi. E come i vertici della P2. Che in quella tragica estate del 1980 è al culmine del suo potere occulto. L’Antistato che scala lo Stato. E dichiara guerra ai difensori della legge e della democrazia. La storia d’Italia deformata con le armi del terrore.
L’omicidio del magistrato Mario Amato è il primo atto di sangue di una strategia stragista appaltata ai killer neofascisti dei Nar, culminata nella carneficina del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Come esecutori della più cruenta strage nera (85 vittime) sono stati condannati, con varie sentenze definitive, i terroristi di destra Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e nel gennaio scorso, in primo grado, Gilberto Cavallini. Sono gli stessi killer dei Nar che hanno organizzato e perpetrato, cinque settimane prima, l’omicidio del pm Amato.
Dopo l’arresto, schiacciati dalle prove, Fioravanti, Mambro e Cavallini hanno finito per confessare quel delitto, ma continuano ancora oggi a nascondere i mandanti della strage di Bologna. E troppi altri segreti dell’Antistato, come lo chiamava l’ex giudice Loris D’Ambrosio, amico ed erede delle ultime indagini di Giovanni Falcone sui delitti «fascio-mafiosi». Come l’omicidio di Piersanti Mattarella, assassinato nel gennaio 1980 con la stessa pistola che ha ucciso Amato.
Gli assassini del magistrato si presentano come Nuclei armati rivoluzionari (Nar), nemici dello Stato. La prima prova che sono invece coperti da apparati deviati dello Stato arriva poco dopo l’omicidio. Il pm Amato, lasciato senza scorta, viene ucciso alle 8 del mattino, mentre aspetta l’autobus, con un colpo alla nuca sparato da Cavallini. Che fugge su una moto guidata dal diciassettenne Ciavardini.
Un testimone annota il numero di targa: è stata rubata sei giorni prima a un cittadino bloccato da tre rapinatori vestiti da vigili. Quindi Fioravanti fa un errore da criminale drogato: perde un giubbotto per strada a Roma, che viene ritrovato da un poliziotto. Nelle tasche ci sono due bustine di cocaina pura, 12 proiettili, documenti di un altro terrorista dei Nar, 14 foto-tessere dello stesso Fioravanti e una strana mappa, disegnata a matita. È la piantina del deposito centrale dell’Aeronautica militare, con le vie di entrata e uscita dal garage. Dove un aviere onesto aveva inutilmente segnalato la comparsa di una moto sconosciuta, identica. Dunque i terroristi dei Nar, spiegano le sentenze, hanno potuto usare una caserma militare per nascondere una moto rubata per andare ad ammazzare un magistrato. E questa è solo una delle mille coperture garantite da traditori dello Stato rimasti ignoti: quelli smascherati, sono tutti piduisti.
Amato era un magistrato coraggioso e onestissimo, lasciato solo a indagare sul terrorismo di destra. Arrivato a Roma nel 1977, eredita le inchieste del giudice Vittorio Occorsio, il primo a scoprire l’intreccio tra terrorismo nero, criminalità romana, mafia, massoneria e riciclaggio di denaro sporco, ucciso nel 1976 da Pierluigi Concutelli. In una drammatica audizione al Csm, dieci giorni prima di essere assassinato, il pm Amato denuncia: «Sono stato lasciato completamente solo. Devo occuparmi di 600 processi all’anno per i reati più vari e mi vengono delegate tutte le indagini sul terrorismo nero... Il procuratore capo mi ha chiamato una sola volta, perché nell’agenda di un arrestato c’era il nome di un collega... Ho chiesto inutilmente aiuto, ma sono stato bersagliato da denunce false... È un lavoro massacrante, che comporta la necessità di tenere a mente centinaia di nomi e dati. Tutti coloro che si occupano di terrorismo dicono che una banca dati è indispensabile, ma non se ne è mai fatto niente».
Amato fa l’esempio di un arsenale trovato a Civitavecchia: «Le bombe a mano avevano lo stesso numero di lotto di quelle sequestrate in un covo dei Nar e di altre utilizzate dagli stessi Nar per un attentato nella sede del Pci con 22 feriti», ma «l’ho scoperto per caso, solo grazie ai miei appunti». Come Occorsio, Amato viene ucciso proprio quando, come spiega lui stesso, sta «arrivando alla visione di una verità d’assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori materiali». Eliminare quei magistrati significa azzerare le indagini sui complici eccellenti e sui mandanti delle stragi, passate e future.
La loggia P2, allora, è ancora sconosciuta. E condiziona anche la giustizia romana. A scoprirla, nel 1981, sono i magistrati milanesi che indagano sul banchiere piduista Michele Sindona per l’omicidio Ambrosoli. Nella lista degli oltre 900 affiliati c’è la mappa del potere occulto: ministri, parlamentari, magistrati, banchieri, imprenditori, editori e tutti i capi dei servizi segreti. Compresi gli ufficiali condannati per aver inquinato le indagini sulle stragi nere, da Piazza Fontana a Bologna.
Dopo l’omicidio Amato, Fioravanti e i suoi complici progettano di far evadere Concutelli, diventato il capo militare di Ordine nuovo, la stessa banda nera delle stragi di Peteano e Brescia. Poi si spostano in Sicilia, dove organizzano l’eccidio di Bologna. Due giorni prima, il 30 luglio 1980, un commando dei Nar, rimasto anonimo, fa esplodere un’autobomba all’ingresso del Comune di Milano, nella notte del varo della giunta di sinistra.
Dopo la strage di Bologna, i killer di Amato pianificano l’omicidio di un altro giudice simbolo, Giancarlo Stiz, il primo a indagare sui terroristi neri, che si salva perché Ciavardini ha un incidente d’auto. Nei processi, Fioravanti, Mambro e Cavallini si dichiarano estranei a tutte le stragi: reati inconfessabili. Però mitizzano Concutelli e Mario Tuti, che nel 1981 hanno strangolato in carcere il manovale nero Ermanno Buzzi, condannato in primo grado per la strage di Brescia, per zittirlo per sempre.
Dopo le confessioni di Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, i capi dei Nar ammettono tredici omicidi. Ma sull’omicidio Amato mentono ancora: cercano di scagionare Ciavardini, sostenendo che a guidare la moto fosse un altro neofascista, morto. Le sentenze li sbugiardano parlando di «baratto»: Ciavardini va difeso «in cambio del suo silenzio sulla strage di Bologna».
Nell’estate dei delitti e delle bombe, Licio Gelli in persona si attiva per depistare, alimentando una lunga serie di false «piste internazionali». La macchina del fango piduista scatta già dopo la tragedia di Ustica, per eccesso di zelo: secondo le sentenze civili (quelle penali non hanno portato a niente), l’aereo fu abbattuto in una battaglia segreta tra caccia francesi, americani e libici. Il Sismi controllato dalla P2 però attendeva già da giugno un attentato clamoroso e aveva l’ordine di calunniare un ex terrorista, Marco Affatigato, per cui lo dà per morto con una bomba sull’aereo di Ustica. Affatigato in realtà è vivo e non c’entra niente, ma il depistaggio si ripete dopo la strage di Bologna. La commissione Anselmi, nell’indagine sulla loggia, rimarca che proprio Affatigato, guarda caso, è stato il primo ex ordinovista a svelare fin dagli anni ’70 «i finanziamenti della P2 ai terroristi neri».
I processi di Bologna sono costati a Gelli, morto nel 2015, una condanna definitiva come burattinaio del depistaggio più grave: armi ed esplosivi nascosti su un treno dai piduisti del Sismi, nel gennaio 1981, per accreditare l’ennesima falsa pista estera. Le nuove indagini della procura generale ora lo indicano come presunto «mandante e finanziatore» della strage. Un’accusa nata dalla realizzazione dell’idea di Amato: una grande banca dati con tutti i delitti del terrorismo nero e i misfatti della P2, come la bancarotta dell’Ambrosiano. È questo incrocio di atti a svelare che Gelli, nell’estate della strage, ha usato almeno 8 milioni di dollari, rubati alla banca del piduista Calvi, per finanziare un piano segreto intitolato «Bologna». Affidato ai Nar: il braccio armato della P2.