Nessun incontro pubblico, comitati locali che si contano sulle dita di una mano. I favorevoli alla riforma che non rispondono a un partito procedono zitti e muti verso l'appuntamento delle urne

I diecimila dei tempi di Renzi sono un miraggio lontano. Tanti erano i comitati per il sì nell’autunno 2016, ai tempi del referendum sulla riforma costituzionale per abolire il Senato, iper personalizzata dall’allora premier.

Un numero irraggiungibile. A venti giorni dall'appuntamento referendario del 20 e 21 settembre, infatti, siamo ufficialmente alle briciole sul fronte dei sostenitori della riforma che smagrisce da 630 a 400 di seggi della Camera e da 315 a 200 quelli del Senato.

Il principale megafono delle ragioni del “Si” favorevole al taglio dei parlamentari è il comitato "Il si per la libertà" e il suo presidente Pietro Paganini, chiamato a presidiare i talk show in difesa della bontà della riforma. I comitati locali, però, si contano sulle dita di una mano: Arezzo, Firenze, Taranto, Trieste e Vicenza e sui social le cose non vanno meglio, l'account Twitter è seguito da appena una ventina di follower. Nell'homepage del sito compare il decalogo delle bugie del fronte del No, un media kit, ma non ci sono richiami agli eventi sul territorio.

Il Presidente Paganini sul suo sito si definisce “un montessoriano Liberale e visionario che promuove il cambiamento e l'innovazione attraverso la sostenibilità”, oggi è l'unico volto di questa campagna referendaria che sta facendo a meno, per la prima volta, della mobilitazione dei partiti. Non ci sono volantini, gadget, manifesti o incontri che sponsorizzino le ragioni dell'una o dell'altra parte, lasciando all'elettore solo qualche slogan ripetuto a giorni alterni sui social.

Un altro gruppo più cospicuo, ma non troppo, anima la pagina Facebook "vota per il si al taglio dei parlamentari" rivolgendosi a quasi 13.600 seguaci, molti dei quali con il logo del Movimento 5 stelle nella foto profilo. Così mentre Di Maio ha indetto, all'ultimo, un mini tour nei territori, ma niente piazze, per spiegare le ragioni del si, i dem rimangono immobili forse memori della batosta del 2016 che costrinse l'ex premier Matteo Renzi alle dimissioni.

Quindi se in aula la maggioranza si è trovata, la difficoltà sembra tutta alle urne. Dove il fronte del no è impegnato nel far sentire la sua voce, mentre il Si procede zitto e muto verso il voto.