I nuovi elettori scelgono Verdi e Liberali, mentre l’era di Angela Merkel finisce lasciando il Paese alle prese con un’alleanza a tre che sarà difficile da gestire. Parla il politologo Herfried Münkler

Il voto del 26 settembre ha cambiato profondamente il panorama politico in Germania. La Cdu della cancelliera Merkel è entrata in crisi, tesi i rapporti con la Csu bavarese. Ma riuscirà ora Olaf Scholz, il presidente della Spd, a formare un governo “semaforo” con i Verdi e i liberali della Fdp?Tutto oggi dipende dalla Fdp, il vero ago della bilancia della politica tedesca», inizia a dirci Herfried Münkler, uno dei più prestigiosi politologi tedeschi e docente alla Humboldt Universität di Berlino.
 

Peggio di così l’era Merkel non poteva finire. Tutta colpa della proverbiale indecisione della cancelliera?
«Non sarei così negativo. Negli ultimi 16 anni è stata la Spd ad avvitarsi nella crisi. Non la Cdu che, con la tattica della Kanzlerin di risucchiare temi alla Spd e ai Verdi, si è mantenuta oltre il 30 per cento dei consensi».
 

La seconda astuzia del merkelismo qual è stata?
«Domenica 26 settembre 1,5 milioni di elettori della Merkel hanno preferito votare la Spd di Olaf Scholz. Un altro milione di ex elettori della Cdu ha dato il voto ai Verdi. Ciò significa che Merkel è stata per 16 anni un’ancora di stabilità per la Cdu. E ora che lei lascia la nave anche l’ultimo dei partiti popolari tedeschi, la Cdu, va a picco. E ciò crea una nuova situazione nella Repubblica Federale».
 

Perché il nuovo governo di Berlino sarà, per la prima volta dai tempi di Adenauer, una coalizione fra tre partiti?
«Sì, sino ad oggi la Repubblica federale è stata una “democrazia del cancelliere”. Dal prossimo esecutivo invece assisteremo ad un’alleanza fra tre partiti, i cui due partner minori faranno di tutto per limitare il potere del Kanzler, che sia Arnim Laschet della Cdu o Olaf Scholz della Spd».
 

Non è strano che l’uscita di scena della Kanzlerin sia fattore di crisi per i partiti popolari?
«Merkel ha organizzato anche la sua successione secondo un piano tattico, nominando prima l’infelice Annegret Kramp-Karrenbauer e poi il pallido Arnim Laschet presidenti della Cdu, e restando lei dal 2018 ad oggi Kanzlerin. E la Cdu ha pagato ora salato il prezzo di candidare un Laschet, presidente della Cdu, ma sprovvisto del bonus del cancelliere».
 

Il panorama dei partiti è cambiato anche per motivi demografici: i giovani hanno preferito votare per i Verdi o i liberali della Fdp...
«Con queste politiche si è registrato un cambio generazionale. Per i più giovani tedeschi il valore di fondo è la crisi climatica e lo stile di vita: i temi dei Verdi. O l’assillo di più sicurezza finanziaria, che li porta verso la Fdp di Christian Lindner. Di fatto le promesse della Spd e Cdu parlano solo ai più anziani. Rappresentare le aspettative dei tedeschi fra i 18 e i 30 anni non solo avvicina le piattaforme programmatiche di Verdi e Liberali, ma dà anche loro più slancio nelle trattative con i due ex “elefanti” della Cdu e della Spd».
 

Non sarà che Cdu e Spd si accordano per l’ennesima Grosse Koalition nel prossimo esecutivo?
«La Spd e la Cdu hanno compreso quanto quel modello sia stato nocivo per entrambi. I tre governi di Grosse Koalition sono stati segnati da compromessi e da una politica priva di progettualità e immaginazione, e questa è stata la vera croce del “merkelismo”».
 

Già dopo le elezioni del 2017 la Cdu tentò una coalizione “Giamaica” con Verdi e Fdp. Perché dovrebbe riuscire ora a Laschet ciò in cui Merkel è fallita?
«Quattro anni fa Lindner si è rifiutato di andare al governo con la Cdu perché questa era molto forte. Oggi Lindner sa che non può più fallire. Ora sono loro due, Habeck dei Verdi e Lindner della Fdp, i distributori di carte nel nuovo poker della politica tedesca. Il che non è proprio una novità in Germania».
 

Può spiegare meglio questo punto?
«Se è vero che la crisi dei partiti popolari cambia le regole della politica tedesca, che ruotava sul perno del cancelliere forte, è anche vero che quasi tutta la storia in Germania gira sulla Fdp, l’ago della bilancia di tanti esecutivi, prima di Adenauer, poi di Willy Brandt ed Helmut Schmidt e quindi di Kohl e del primo governo Merkel. Solo i 7 anni del governo Schröder, nel 1998, sono stati espressione del voto elettorale. E oggi la Fdp, con il suo 11,5 per cento, torna a determinare chi sarà il nuovo cancelliere».
 

Il suo ultimo libro l’ha dedicato a Marx, Nietzsche e Wagner. Marx si rivolterebbe nella tomba se vedesse per chi votano oggi tanti operai e disoccupati...
«L’estrema destra della Afd raccoglie in Germania con il suo 10 per cento le frustrazioni di chi si sente vittima della globalizzazione e, spinto da risentimento contro i migranti, vuole rinchiudersi entro i confini nazionali. In Turingia la Afd ha preso il 24 e in Sassonia il 27,5 dei voti. Marx non poteva certo prevedere l’odio agitato dal risentimento, che Nietzsche invece aveva colto nell’uomo moderno».
 

E l’amburghese Scholz potrà canalizzare tante spaccature e veleni sparsi nella società tedesca?
«A differenza di Laschet, inviso a molti nella Cdu, la Spd è compatta dietro Scholz. La cui parola magica in campagna elettorale è stata “Respekt“, rispetto per il lavoro del cittadino. Non avrà un forte carisma, ma la sua immagine di ministro delle Finanze affidabile ha fatto presa sui tedeschi, di più del pallido Laschet e della poco esperta Annalena Baerbock dei Verdi».
 

Scholz come prosecuzione della Merkel in panni socialdemocratici?
«Molti elettori hanno riscontrato in lui elementi tipici della Kanzlerin, non solo la tanta affidabilità e lo scarso carisma, ma anche la posizione delle mani con cui Scholz ha civettato nei poster elettorali. L’era della Merkel, spostando a sinistra la Cdu, ha lasciato il segno, ed oggi i più anziani possono tranquillamente votare la Spd di Scholz».