Sessista, ultraliberista, intollerante, popolarissimo in tv. Dopo Marine Le Pen la destra francese ha trovato il suo nuovo idolo

Affascinante. Ultra ambizioso. Senza scrupoli. Come fece a sinistra Emmanuel Macron nel 2017, così oggi, a sei mesi dalle elezioni presidenziali, sogna Éric Zemmour di fare a destra. Imbastire rapidamente una nuova forza politica che intercetti le frustrazioni di quella parte dell'elettorato e che gli consenta in sei mesi di ascendere alla presidenza della Repubblica francese. Con in più l'ambizione dichiarata di diventarne lui, campione del politicamente scorretto, il Charles de Gaulle del 21esimo secolo, l'uomo forte che riporterà la Francia agli splendori antichi, dopo anni di presunto declino politico e sociale.


La sua candidatura non è ancora stata ufficializzata, ma già da un mese l'intellettuale ebreo di origini algerine, noto da una decina d'anni per le posizioni ultranazionaliste e condannato due volte per istigazione all'odio razziale, ha preso a girare in lungo e in largo l'Esagono per presentare il suo ultimo libro, "La Francia non ha detto ancora l'ultima parola", sulla cui copertina appare a braccia conserte, la bandiera nazionale che sventola alle spalle. Un libro dal titolo che riecheggia lo slogan “Make America great again” di Donald Trump, l'ex presidente americano con cui condivide la nostalgia di un'indefinita età dell'oro che lui solo può resuscitare. Lingua tagliente e battuta pronta, Zemmour fa capolino quotidianamente da ogni trasmissione televisiva. Fisico asciutto, occhi chiari e naso imponente, ovunque distribuisce polemica e tempesta, e per ogni leader politico ha un commento sarcastico, quando non sprezzante. Macron incluso: «Pensavo fosse un Sarkozy meno rozzo e invece è solo un Hollande meglio vestito».


Cresciuto in quella che è oggi la banlieue parigina di Saint Denis, un luogo che chiama con sdegno «enclave islamista», da cui la famiglia si è spostata quando era adolescente, se ne è riscattato con l'ammissione alla prestigiosa università di SciencePo. Ha mosso i primi passi da giornalista nel Quotidien de Paris per poi passare al quotidiano di destra Le Figaro ma è diventato noto al grande pubblico grazie al canale televisivo C-news, una specie di Fox News francese, che ne ha amplificato le tesi estremiste: dall'idea che la femminilizzazione della società sia la causa dei mali moderni a quella che gli immigrati possano trovare spazio in Francia solo se accettano di essere assimilati ai francesi. Scrittore assiduo di saggi e romanzi, il successo letterario arriva nel 2015 con il libro "Il suicidio francese", 500mila copie e il premio Combourg-Chateaubriand, in cui spiega come gli eventi degli anni Settanta siano alle radici dell'epoca infelice in cui viviamo. Già nell'introduzione c'era una frase che in questi giorni sta diventando la base del suo programma politico: «È ora di decostruire i decostruzionisti».

 

Marine Le Pen


A differenza del Macron dell'autunno 2016, Zemmour non ha ancora un suo movimento, anche se stanno aumentando velocemente i fan che si riconoscono in «Generazione Z», zeta come Zemmour appunto, l'associazione nata per sostenerne la candidatura presidenziale. Moltissimi gli uomini, di destra ma non solo, tanti i giovanissimi alla ricerca di un leader da seguire. «Ho votato Hollande nel 2012, poi Fillon», racconta ridendo Marie, 30 anni, tra le sostenitrici di GenerazioneZ: «Oggi senza di lui non saprei chi votare. È l'unico che ha un'idea chiara del futuro della Francia. Marine Le Pen ha dimostrato nel 2017 di non avere la statura da capo di Stato».


La sua squadra sta prendendo forma. Sarah Knafo, l'affascinante enarca 28enne con cui Zemmour, sposato e padre di quattro figli, è stato fotografato due settimane fa in pose affettuose al mare durante una pausa del tour pubblicitario, è da un anno che gestisce le sue relazioni pubbliche, i rapporti con i media e ora la campagna elettorale, seguendolo come un'ombra da una conferenza a un dibattito televisivo. Il modello di campagna è quello utilizzato tra il 2016 e il 2017 da Macron: un pugno di giovani fidatissimi, un brand che ispira fiducia nelle qualità del leader carismatico, un gruppo di grandi finanziatori a cui restare legato una volta al governo e una retorica personale elaboratissima. «Certo che la forma è la stessa», ha detto a chi ne chiedeva conto: «Abbiamo iniziato entrambi senza un partito!». A cambiare completamente però è il contenuto politico: il mito della «nazione start up» con cui Macron voleva sostituire il vecchio ordine economico francese è stato rimpiazzato dall'obiettivo di «salvare la nostra identità e ristabilire la nostra sovranità».


Pallone gonfiato destinato ad afflosciarsi con l'arrivo della primavera o fenomeno nuovo, destinato a sconquassare la destra? I sondaggi lo danno in costante crescita dall'estate fino a raggiungere il 16-17 per cento negli ultimi giorni, in un testa a testa con Marine Le Pen. Sono molti a credere che al ballottaggio con Macron alla fine ci andrà lui. «Quello che colpisce è che Zemmour è un candidato che attira tutti», osserva Frédéric Dabi, direttore generale dell'Ifop: «Rosicchia nei due segmenti elettorali della destra e mi chiedo quando si fermerà. La dinamica è così forte che non credo a uno sgonfiamento. Mai vista una cosa simile a sei mesi dal voto». Ed è per questo che Robert Ménard, ex fondatore di Reporter senza frontiere, oggi sindaco di Bezier e grande sostenitore di Le Pen, ha lanciato un appello per l'unione politica tra lui e la leader sovranista con lo scopo di battere l'attuale presidente. Ma è difficile che accada. Zemmour non perde occasione di ricordare come Le Pen abbia malamente perso il dibattito presidenziale del 2017, «umiliando» la destra e dimostrando incompetenza, e come, difendendo le istanze delle classi sociali più deboli, si sia alienata i consensi della borghesia di destra.

 

Le Pen, in calo nei sondaggi nonostante o forse a causa degli sforzi fatti per posizionarsi più al centro, lo considera un estremista ultraliberista pronto a smantellare lo stato sociale. Non ha torto. Nel suo programma Zemmour, che ha definito «demagogica» l'ipotesi di aumentare il salario minimo, prevede di alzare l'età pensionabile a 64 anni, di sopprimere le imposte di produzione, di ridurre le tasse sulle Pmi e di tagliare i contributi sociali. «Un compito liberista classico da bravo studente ma senza dettagli e senza fonti di finanziamento», osserva Jean-Hervé Lorenzi, fondatore del think-tank parigino Cerchio degli Economisti. Tanto più che è improbabile che la sua misura economica di punta, la cancellazione delle prestazioni di solidarietà non contributive per gli stranieri, porti grandi risorse in cassa. Con toni che ricordano quelli usati dai sostenitori della Brexit quattro anni fa, ha più volte twittato che «gli ospedali sono assediati da una popolazione venuta da tutto il mondo», anche se i dati dimostrano che solo l'1 per cento dei pazienti dei pronto soccorso si serve dell'aiuto medico concesso dallo Stato agli immigrati irregolari indigenti.


Ma è proprio la lotta all'immigrazione islamica il principio cardine su cui si regge il suo successo. «Penso che ci dirigiamo verso il caos. Questa situazione di un popolo nel popolo, dei musulmani all'interno del popolo francese, ci condurrà alla guerra civile», ha detto, aggiungendo, in un secondo tempo, che «la guerra civile è già iniziata. Come vogliamo altrimenti definire gli atti orribili che si ripetono sul suolo francese come l'assassinio di Samuel Paty? Ci sono milioni di persone che vivono qui in Francia e che non vogliono vivere alla francese» e, anzi, perseguono «una logica colonizzatrice».


Zemmour si pone personalmente come esempio di «assimilazione riuscita» al punto che si spinge a dire, lui ebreo, che la Repubblica di Vichy protesse gli ebrei, quando invece ne inviò a migliaia nei campi di concentramento. E propone di impedire l'utilizzo per i nuovi nati di nomi non francesi, da Mohamed a Karim, così che l'assimilazione inizi fin dalla culla.


Se l'immigrazione è il male assoluto della società francese non è però il solo. L'altro è l'individualismo nato all'incrocio del Rinascimento italiano e del protestantesimo tedesco che ha trasformato delle grandi nazioni in «società d'individui paurosi e capricciosi che esigono la riconoscenza delle loro sensibilità e delle loro fragilità». Risultato? Una società femminilizzata, dunque debole, che considera tossica la virilità, in cui non esiste la razza ma esistono i razzisti, e dove i razzisti sono solo i bianchi, per la quale il capitalismo e il patriarcato maltrattano le donne e distruggono il pianeta, in cui la scuola ha come compito la riduzione delle disuguaglianze e in cui la Francia non può fare nulla senza l'Europa. In sintesi: quello di Zemmour è un atto di accusa contro tutte le conquiste recenti della società occidentale e un inno ad un modello di società arcaica, fondata su una ricetta misogena, razzista, omofobica, sovranista, ultra capitalista, classista e fortemente antieuropeista. Per l'intellettuale di destra il ritorno al passato, ovvero a prima della rivoluzione del 1968, quando «le donne facevano le donne» e non esisteva la «teoria del genere» e la comunità Lgbtq non era riconosciuta e accettata, è il solo modo di salvare la Francia dalla sua sparizione come nazione. Intervistato dal canale allnews Bfmtv, non ha esitato a dire di essere «contro ogni tipo di discriminazione positiva, dunque contro la parità» perché tanto «il problema delle donne non è sedere in un cda quanto il non farsi aggredire dai migranti».


Una cosa è certa. Dalla sindaca socialista di Parigi Anne Hidalgo fino agli antipodi della leader sovranista Marine Le Pen, passando per Emmanuel Macron, Zemmour è riuscito a mettersi contro l'intero arco dei politici francese. Sarà un sintomo della sua forza o, invece, della sua debolezza?