Da Cercas a Marzano, quegli scrittori alla scoperta di scomodi antenati
Sempre più spesso emerge in narrativa la responsabilità di fare i conti col passato
Allergici come siamo al fare i conti, davvero e fino in fondo, con il passato, ci piace giudicarlo con la severità tribunalizia di chi, in abiti immacolati, punta il dito e se ne compiace. Altro sarebbe considerare che qualche macchia, qualche ombra, qualche scheletro potrebbe esserci anche nell’armadio di casa nostra. E così pure qualche ramo “storto” nel nostro amato albero genealogico.
Un grande scrittore spagnolo, Javier Cercas, ha dedicato allo zio combattente per il franchismo uno straordinario romanzo, “Il sovrano delle ombre”: «La sua biografia era la mia biografia, i suoi errori e le sue responsabilità e la sua colpa e la sua vergogna e la sua morte e le sue sconfitte e la sua paura e la sua sporcizia e le sue lacrime e il suo sacrificio e la sua passione e il suo disonore erano i miei». Così come nel romanzo di Cercas, nelle pagine di “Stirpe e vergogna” Michela Marzano affronta, intanto, lo sconcerto: nella sua famiglia c’era una fascista convinto, e il grado di parentela è strettissimo. Suo nonno!
«Scopro che mio nonno – che era peraltro un raffinato giurista, un uomo colto che, dopo essersi laureato in Giurisprudenza, aveva voluto prendersi anche una laurea in Lettere – è stato uno squadrista, e commento che mi manca l’aria, come se avessi perso ogni facoltà critica e argomentativa e non potessi far altro che affidarmi a una frase fatta. Ma quali parole si possono utilizzare per descrivere quell’attimo in cui hai la certezza che lo sapevi e al tempo stesso non ci credi, perché non vuoi crederci, non è possibile, non è così, e allora ti viene la nausea, ecco, sì, la nausea, che però inghiotti, te la fai passare, che c’entra ora la nausea? Mio nonno è stato uno squadrista. Punto. E mio padre? Lo sapeva? L’ha accettato? L’ha rimosso?».
Pungolata da queste domande, scrive un libro sincero e coraggioso su ciò che ereditiamo dai “nostri antenati”, come li chiamava Calvino: e non nella fantasia, ma nella realtà. Ereditiamo anche i loro errori? Che ce ne facciamo delle loro scelte – tanto più se sbagliate – una volta che, adulti, le nostre ci sembrano, e magari sono davvero, quelle giuste? Nonni e bisnonni d’Italia non sono stati tutti antifascisti: dove non arriva la verità, arriva la statistica. Il paesaggio degli avi non è tutto a colori, è in grigio e nero. Bisogna vergognarsene? “Vergogna”, fin dal titolo, è una parola incandescente che Marzano tira in ballo. Ma è forse la parola “responsabilità”, che l’autrice progressivamente mette a fuoco, a fare la differenza. E dunque la responsabilità del racconto.
Altri romanzi recenti – penso a “Storia aperta” di Davide Orecchio, a “La casa di Roma” di Pierluigi Battista – sembrano voler percorrere, in modi diversi, la stessa strada accidentata, lo spazio scomodo che tiene insieme vergogna e responsabilità. Da lì si può, si dovrebbe, finalmente affrontare quel «grumo un po’ respingente di identità non sempre vere e qualche volta decisamente finte, di biografie contraffatte, di magagne rivelate in modo tardivo, di rancori e piccinerie, di lutti e abbandoni, di bugie e velleità» (sono parole di Battista) con cui si impasta la storia di ogni famiglia, la storia di un Paese.