Una straordinaria scoperta letteraria. La casa editrice francese Gallimard pubblicherà prossimamente i settantacinque fogli inediti di Marcel Proust. Spariti per sessant’anni e considerati perduti, gli appunti sono stati ritrovati nel 2018 a casa dell’editore Bertrard de Fallois. Si tratta delle bozze di “Alla Ricerca del Tempo perduto”, un elemento essenziale per la comprensione della genesi del testo. Come sono giunti fino a noi? La loro storia è avvolta nel mistero.
Nel 1949, la nipote dell’autore francese Suzy Mante-Proust aveva affidato a Bernard de Fallois la classificazione della sua collezione di manoscritti, dopo averla ricevuta nel 1935 dal padre, il dottor Robert Proust, fratello minore di Marcel Proust, e dopo che lui stesso l’aveva ereditata alla sua morte nel 1922. Bernard de Fallois ne trasse allora due opere inedite: “Jean Santeuil” (1952), un romanzo che contiene le prime tracce della “Ricerca”, e “Contro Sainte-Beuve”, (1954), una raccolta di critiche letterarie che ispireranno la “Ricerca”.
Decise invece di non pubblicare quelli che lui stesso menziona come “i settantacinque fogli” nella prefazione di “Contro Sainte-Beuve”, momento chiave in cui se ne intuisce l’esistenza. L’editore sussurra quasi distrattamente questo segreto: «Il “gruppo” [di manoscritti] è composto da settantacinque fogli molto grandi e comprende sei episodi, che saranno tutti ripresi nella Ricerca: la descrizione di Venezia, il soggiorno a Balbec, l’incontro delle ragazze, il momento prima di dormire di Combray, la poesia dei nomi e le due “parti”. Questo insieme è chiaramente designato da una nota nel diario.
Dopo “Jean Santeuil”, questo è il più antico stato della Recherche». Qualche anno più tardi, nel 1962, i manoscritti ereditati dalla famiglia Proust vennero raccolti dalla Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi. Non tutti, però. Curatori e ricercatori hanno scoperto con sorpresa che fra questi non erano inclusi i “settantacinque fogli” descritti nella prefazione di “Contro Sainte-Beuve”. Nacque un mito: dove sono finiti i fogli? Perché De Fallois non li ha pubblicati né consegnati alla Biblioteca.
Nel 2019 in un articolo per Le Monde, il grande specialista e biografo di Proust Jean-Yves Tadié ha affermato: «Non c’è Proust prima di Proust, perché è un genio tardivo, rivelato all’età di 42 anni». Eppure Proust aveva 42 anni nel 1923: questo avrebbe escluso qualsiasi interesse letterario nei confronti dei fogli redatti già a partire dal 1908. Con il tempo Tadié si è ricreduto e oggi firma la prefazione dei testi pubblicati da Gallimard descrivendoli come un «momento sacro» della Ricerca: è qui che «si aprono le porte della creazione romanzesca». De Fallois ha creduto come Tadié che i settantacinque fogli non avessero valore letterario? Ipotesi da scartare.
La lettura dei fogli è molto affascinante e per nulla aneddotica. Si tratta di sei scene distinte, intitolate dalla curatrice “Una sera in campagna”, “La parte di Villebon e la parte di Meséglise”, “Soggiorno al mare”, “Ragazze”, “Nomi nobili, “Venezia”. Alcune delle scene abbozzate diverranno momenti emblematici della Ricerca, riprese nel testo definitivo secondo un ordine completamente diverso. Rivestono un ruolo importante in quanto costituiscono il fondo dal quale Proust attingerà costantemente per ampliare la struttura del testo, come sottolinea Nathalie Mauriac Dyer, curatrice del testo per Gallimard, nota specialista dell’opera di Proust, di cui è pronipote, direttrice di ricerca al CNRS e autrice di più di sessanta articoli nella ricerca proustiana.
Tra i fogli si ritrova la scena della nonna in campagna che sfuma in quella del bacio serale. Nel paragrafo “Una sera in campagna” Proust evoca la celebre nonna con uno stile che anticipa quello del testo contemporaneo: «La sua passeggiata era finita e anche la pioggia, era tornata a sedersi con noi ma naturalmente fuori dalla veranda. Anche se aveva fatto solo pochi passi e i sentieri non avevano avuto il tempo di inzupparsi, aveva orribilmente sporcato la sua gonna color prugna, perché è da notare che le gambe di chi è dotato di un’immaginazione ardente, di uno spirito elevato e senza contrappeso d’amor proprio, non smettono un attimo, mentre vanno in giro agitando mille pensieri, di raccogliere tutto il fango dai sentieri e, sembra anche di più, tirandolo su per le gonne, strofinandolo in modo che si diffonda bene su un’area abbastanza ampia e schizzandolo su parti del vestito o dei pantaloni che sono troppo lontane per essere raggiunte direttamente dall’alluvione».
Comparando gli inediti al testo definitivo si osservano le evoluzioni del processo di creazione. Un tale Signor Bretteville è invitato a cena a casa del narratore bambino: la madre dovrà trascurare il rito del bacio della buonanotte provocando quello che diventerà il supplizio dell’abbandono. Dal Signor Bretteville e dalla figura dello zio si delinea quello che sarà un personaggio centrale del testo, Swann, un amico di famiglia appartenente all’alta società, personaggio immaginario.
Nella narrazione dell’incontro con le ragazze al mare non è ancora presente Albertine, personaggio chiave corrispondente nella realtà all’amante di Proust, Alfred Agostinelli. «Proust non parla ancora di omosessualità: dovrà inventare Monsieur de Guercy/Charlus l’anno successivo. Ma in due capitoli delle 75 pagine usa un modo obliquo e allusivo per evocare il suo autista Alfred Agostinelli, per il quale provò, come sappiamo, una grande passione dal 1907», osserva Dyer.
I settantacinque fogli vengono pubblicati insieme ad altri manoscritti inediti: tra questi si ritrova la più antica versione conosciuta ad oggi dell’episodio che diventerà quello della madeleine. E si scopre che in una vita precedente la celebre madeleine è stata prima pane raffermo, poi una semplice fetta biscottata. Proust svela il processo che l’ha reso famoso: «Dare ogni giorno sempre meno valore all’intelligenza», poiché «solo al di fuori di essa lo scrittore può riconquistare qualcosa delle nostre impressioni passate, ovvero raggiungere qualcosa di sé stesso e la sola materia dell’arte» e prosegue come accade alle anime dei morti in alcune leggende popolari, ogni ora della nostra vita subito morta, si incarna e si nasconde in qualche oggetto materiale. Rimane prigioniera lì, per sempre prigioniera, a meno che non incontriamo l’oggetto».
Racconta l’esperienza primitiva della memoria: «Ahimè, mi sono detto che tutta quella parte del mio passato è morta. Come potevo sapere che tutte quelle estati, il giardino dove le ho trascorse, i dolori che ho avuto lì, il cielo sopra, e tutta la vita della mia gente, erano passati in un cucchiaio di tè caldo o in una pentola bollente di pane raffermo».
In un altro passaggio inedito scrive: «Allora mi ricordai: ogni giorno, quando ero vestito scendevo nella stanza di mio nonno, che si era appena svegliato e stava prendendo il tè. Ci immergeva una fetta biscottata e me la dava da mangiare. E quando quelle estati erano finite, la sensazione della fetta biscottata ammorbidita nel tè era uno dei rifugi dove le ore morte - morte per l’intelligenza – andavano a rannicchiarsi e dove non le avrei senza dubbio più ritrovate, se quella sera d’inverno, rientrato congelato dalla neve, la mia cuoca non mi avesse offerto la bevanda alla quale la resurrezione era legata in virtù di un patto magico che non conoscevo». Finché il pane raffermo e la fetta biscottata non diventeranno l’elegante madeleine, «quella piccola conchiglia di pasta, così grassa e sensuale, sotto la sua piega severa e devota».
Lo stile dell’autore è già presente in potenza, ma la frase tipicamente proustiana che caratterizza la Ricerca qui ancora non c’è: la proposizione lunga e sinuosa che a un certo punto colpisce arriverà solo più tardi. Negli inediti le frasi sono piuttosto classiche: «La frase non possiede ancora la “dissolvenza” che anni di lavoro le porteranno, ma il suo unico potere di suggestione è già presente. Scopriamo inoltre che certe “formule” sono già state trovate, o quasi, e attraverseranno tutta la genesi», chiarisce Nathalie Mauriac Dyer all’Espresso.
Questi fogli sono un contributo essenziale alla nostra conoscenza della Recherche: «Si è creduto a lungo che il romanzo di Proust fosse nato nel 1909 da un saggio critico che divenne un racconto, “Contro Sainte-Beuve”: in effetti, era piuttosto strano che il romanzo fosse nato da un testo di critica letteraria. Il romanzo era iniziato prima. Questo è ciò che apprendiamo dai Settantacinque fogli: Proust, dopo il fallimento di “Jean Santeuil” (intorno al 1899), era tornato al romanzo, alla fine del 1907 e nel 1908. I settantacinque fogli sono quindi le vere basi della Recherche».
Questo ritrovamento permette di comprendere meglio le evoluzioni di stile del genio francese e le sue intuizioni mai abbandonate: «Scopriamo che Proust era ancora abbastanza vicino nei Settantacinque fogli a una scrittura autobiografica, perché usa i nomi dei suoi parenti più vicini (sua madre, sua nonna e suo fratello): questo è assolutamente unico in tutta la sua opera. Più tardi Proust cancellerà tutte queste tracce, o le nasconderà».
La stessa arte della traccia di cui l’autore è diventato maestro. Rimaniamo ancora una volta attoniti di fronte alla meravigliosa miscela di plasticità, invenzione e memoria che l’opera di Proust svela di essere.