Cresce l'età media degli eroinamani trattati nei Sert, mentre tra i più giovani si diffonde sempre più la cocaina o il multiconsumo. E le tossicodipendenze non sono tutte uguali, ma vanno trattate ognuna con il suo metodo. Per questo lo slogan "No alla droga" che piace alla destra serve a poco

I tempi di SanPa sono lontani, quelli delle catene, del consumo alla luce del sole, del conteggio delle overdosi (1600 nel 1996, 373 nel 2019). Quel tempo in cui la figura del padre-padrone, che in assenza dello Stato, si era incarnata in Vincenzo Muccioli, fondatore di San Patrignano, era l’unica soluzione per “salvare quei ragazzi”. Dopo quarant’anni il successo della  serie Netflix, diretta da Cosima Spender e ideata da Gianluca Neri, dimostra che c’è stato un pezzo di storia d’Italia non raccontato, che andava indagato ed espiato, ma che oggi sembra scomparso dal discorso pubblico. 
 

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Sanpa, l’eroe e l’eroina
11/1/2021

«Bisognerebbe scrivere una Bibbia sui cambiamenti epocali degli ultimi vent’anni: riguardano traffico, produzione, consumo, approccio. Tutto è stato banalizzato: se dici che la marijuana fa male come l’eroina, i ragazzi capiscono solo che allora l’eroina non fa così male. La prima cosa da dire, e che negli anni ‘90 funzionava, è che le droghe non sono tutte uguali», racconta Salvatore Giancane, esperienza di trent’anni nel servizio pubblico, che ha provato a “riassumere” il tema in oltre 400 pagine (Eroina, La malattia da oppioidi nell’era digitale, 2014). Si riferisce alla legge che oggi disciplina gli stupefacenti, la “Fini-Giovanardi” del 2006 che, avendo messo sullo stesso piano droghe leggere e pesanti e inasprito le pene per i consumatori semplici, ha causato un sovraffollamento delle carceri, riempite più di consumatori che di narcotrafficanti. 
 
«La maggior parte dei detenuti sono tossicodipendenti, ormai da trent’anni. Torna comodo trattarli come spacciatori, ma sono persone che hanno prima iniziato a usare e poi a spacciare», aggiunge Giancane. Basti pensare che i detenuti tossicodipendenti presenti in carcere alla fine del 2019 sono stati 16.934, pari al 28% della popolazione carceraria. La “guerra alla droga”, come diceva Don Gallo, si trasforma spesso in guerra alle persone. 
 
Le mancanze della politica
Quello delle droghe è un mondo che muta velocemente e andrebbe monitorato di continuo. Per questo, per legge, è prevista una Conferenza Nazionale sulle Droghe che si dovrebbe riunire ogni tre anni, ma che non è convocata da dodici. L’ultimo importante incontro si è tenuto a Genova nel 2000, ha lanciato innovazioni soprattutto sulle nuove droghe e il mondo della notte. In quell’occasione l'allora Ministro della Salute, Sandro Veronesi, aveva proposto di sperimentare la legalizzazione della cannabis. Rimase inascoltato. 
 
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Vincenzo Muccioli, il profeta del populismo
11/1/2021

Senza la volontà della politica di fare passi avanti, la strada è tortuosa: «A sinistra è un argomento divisivo, a destra si riassume tutto con un “no alla droga” che vuol dir tutto e niente: il discorso non è più se le droghe fanno bene o male, ma come regolare gli interventi», spiega Claudio Cippitelli, sociologo, ex presidente del Coordinamento Nazionale Nuove Droghe (Cnnd) e socio fondatore dell’Associazione Parsec di Roma. «Serve una partecipazione corale: ambiente sanitario e servizi, ma anche forze di polizia e giustizia. Le droghe non si possono sradicare, ma si possono contrastare le patologie sanitarie e sociali a esse collegate», aggiunge. 
 
L’assenza di una linea politica comune crea grosse distinzioni territoriali: accanto a regioni virtuose, dove l’eccellenza è data spesso dalla volontà di chi è a capo di quel servizio, ce ne sono altre dove regna l’abbandono e la confusione: «Se gli eroinomani non si vedono più, è perché c’è un grande lavoro dei servizi, ma le responsabilità della politica sono enormi», spiega Giancane. Il titolo V, con la sanità in mano alle regioni, ha poi dato la mazzata finale: «I SerT avevano la loro potenza nel rispondere a un Ministero. Oggi alcune regioni hanno inserito i SerT nel Dipartimento di Psichiatria, che non c’entra nulla, altre nelle cure primarie, alcune invece hanno un Dipartimento delle Dipendenze. La riduzione del danno è nei Lea (assistenza essenziale riconosciuta da SSN, ndr), ma se ne fa poca ed  è scritta solo per far bella figura». 
 
I servizi pubblici per le dipendenze sono 562, dislocati in 603 sedi ambulatoriali. Gli operatori sono 6.624, per ognuno dei quali risultano in carico quasi 21 utenti. A questi si aggiungono privato sociale, associazionismo e volontariato. Il 64% è in carico per uso primario di eroina e il 21% di cocaina. 
 
I sopravvissuti all’eroina 
Dai tempi di Muccioli il consumo è cambiato: i giovani oggi sono spesso policonsumatori e meno problematici, a differenza dei veterani dell’eroina, che costituiscono la maggior parte degli assistiti dai servizi pubblici. Nel 2019 sono stati 136.320 gli utenti in carico ai SerT, l’età media dell’utenza è di 41 anni, in progressivo invecchiamento: il 58% ha più di 39 anni, contro l'11% del 1999. 
 
«Tutto è mutato dagli anni ‘90, soprattutto per la salute dei consumatori», ricorda Lorenzo Camoletto, nel gruppo Abele dal ‘94, nel clou dell’eroina, quando a decine morivano di Hiv nelle comunità: «In Europa il consumatore di eroina ha in media 42 anni. Una volta era molto più giovane ed era impensabile arrivasse a 50 anni. Adesso sono tanti i “sopravvissuti” a quella ondata. Noi seguiamo per lo più over 50». Quello che manca è una risposta specifica per questa fascia d’età, dove ormai la richiesta è più sanitaria, che legata all’inserimento in comunità. 
 
La maggior parte dei reduci di quel tempo sono immunodepressi, positivi all’Hiv, con l’epatite o problemi legati al consumo decennale. «Smettiamo di dire che tutti possono guarire, Esistono i tossici cronici, cioè di lunga durata: se una persona ha 25 anni di uso, ricadute continue, cinque anni di comunità: come lo chiamiamo?», rilancia Giancane. E sulla situazione delle comunità c’è dibattito: «Si ha una disponibilità di 18-19mila posti, ma sono occupati meno della metà - spiega Camoletto - La verità è che sono state abbassate le soglie di accesso, nonostante questo le comunità sono vuote. È un modello da rivedere completamente. La riduzione del danno è applicabile a tutti, ma il drug free, come voleva SanPa, non deve essere per forza obiettivo principale».
 
Il “tossico” oggi 
Anche l’approccio con i nuovi consumatori necessita nuove regole. L’eroina non è più, almeno non come prima, una sostanza che piega chi la usa e spinge ai margini della società. Si è insediata e ha trovato casa nella vita delle persone, che gestiscono il proprio consumo, alternano sostanze, o mutano l’uso a seconda delle situazioni. Oggi la droga è spesso ricreativa: si usa l’eroina alla fine dei rave, per abbassare l’effetto degli eccitanti, ma anche prestazionale sul lavoro, come l’eroina fumata. Pensare di trattare queste differenze con i metodi di SanPa, senza distinzioni, sarebbe fallimentare.
 
«Si gradua il proprio uso secondo il bisogno: le metanfetamine, ad esempio, sono crollate con il covid, in mancanza dei rave -  spiega Cippitelli - La diffusione societaria della cocaina, invece, è così vasta che c’è bisogno di pensare a più approcci, non a un’unica risposta. Bisogna tenere a mente: “una persona, una sostanza, un contesto”». Per questo la distinzione tra droghe è fondamentale, permette di ammettere che non è esiste il “tossicodipendente” come figura granitica da trattare con un unico metodo. 
 
«Bisogna uscire dallo stigma del drogato: un essere spogliato della personalità, che non ha identità, se non quella di chi usa. Questo ha creato la cultura errata di generalizzare sulle droghe», spiega Alessio Guidotti, presidente della ItaNPUD, il network italiano delle persone che usano droghe. «SanPa ha illustrato bene questa visione: il tossico come un male morale che andava curato, quel vizio di “salvare i nostri ragazzi”, presente ancora oggi in tante comunità. Ma quale altra malattia è tollerato che sia curata in questo modo? Franco Basaglia è riuscito a ribaltare la visione della malattia mentale, con le sostanze sembra impossibile». 
 
Per questo molti consumatori vorrebbero far parte della discussione intorno alle droghe e dire la loro sui servizi dedicati che, lamentano, con la scusa dell’anonimato, non tengono conto del feedback delle persone: per questo la ItaNPUD ha redatto “Niente su di noi, senza di noi”, una carta dei diritti delle persone che usano sostanze, sostenuta da molte associazioni e SerT.
 
Stanze del consumo e legalizzazione
E come spesso accade si guarda all’estero, dove le stanze del consumo sono in molti paesi una realtà storica: «Sono un’urgenza, ma sono bloccate solo per ideologia. A Zurigo si trovano in centro città, tra le ricche banche, noi preferiamo i sottoscala, il degrado», racconta Cippitelli. A Torino “la stanzetta di Collegno", un esperimento innovativo in questo senso, è stata chiusa.   

«Grazie alle stanze si aprono rapporti tra consumatori e operatori sanitari: magari si vuole cambiare il consumo, diminuirlo o sospenderlo per un breve periodo». In questi posti si fa anche l’analisi della sostanza: per studiare il mercato e i modi con cui viene tagliata la droga, che possono essere a volte letali. «Garantirebbe un diritto alla salute per tutti, che non vuol dire invogliare all’uso». Come l’eroina terapeutica in Svizzera, data in speciali casi per evitare marginalizzazione e disagio.
 
Un discorso su liberalizzazione completa delle droghe invece sembra impossibile. Molti operatori nei servizi sarebbero d’accordo, seppur con la certezza di trovarsi con nuove problematiche da affrontare. «Le convenzioni internazionali impediscono un discorso di liberalizzazione completa in Europa e Italia, ma si deve spingere per la depenalizzazione totale: qualunque cosa possa mettere il consumatore in condizioni di andare in galera deve essere eliminato».
 
Altro tema è quello della liberalizzazione della cannabis, discorso spesso rilanciato sulle nostre pagine. Oggi l’uso di marijuana è consentito in Canada, Spagna e in alcuni stati negli Usa, mentre il discorso in Italia è fermo in Parlamento. La proposta di legge per uso ricreativo, portata avanti dai Radicali, è sostenuta anche dal presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, che la vede come una soluzione per togliere il traffico alla criminalità organizzata. Gli studi, poi, dimostrano che laddove il consumo è consentito, non c’è un aumento esponenziale dell’utilizzo. 
 
Intervista
«Legalizzare le droghe leggere toglierebbe spazio alle mafie. Le norme sono vetuste»
22/1/2021

«Come spieghiamo ai ragazzi l’assoluta tolleranza all'alcool e poi l’arcigna guerra alla cannabis?», aggiunge Cippitelli che di questo si occupa, ma non ha libertà di parlare di liberalizzazione nei suoi incontri con i giovani: «Si potrebbe farebbe una migliore prevenzione, distinguendo la cannabis dal resto. Il pusher vende sia canapa, che anfetamina e cocaina, e sappiamo che le maggior parte delle overdosi riguardano i giovani». Nel 2019, solo il 50% degli istituti scolastici superiori ha infatti attuato interventi di prevenzione specifici sui consumi psicoattivi.