Il padre-padrone di San Patrignano, al centro della serie SanPa, incarnava l'uomo forte, carismatico e oltre la legge. Un decennio dopo il berlusconismo avrebbe conquistato il Paese
Oggi, a posteriori, ripensando a quella storia grazie al docu-film su Netflix, una cosa appare chiara: Vincenzo Muccioli e la sua epopea sono stati l’annuncio di una nuova era di successo del populismo in salsa italica. Il padre-padrone di San Patrignano ha riproposto, aggiornato ai tempi, il prototipo dell’uomo forte precedendo l’onda berlusconiana. E ancora prima ispirando l’oltranzismo di Bettino Craxi nella crociata contro la droga che mise in imbarazzo la vasta area libertaria del suo stesso partito socialista, i De Michelis, i Martelli, costretti a predicare in pubblico all’unisono la linea del leader, salvo non perseguirla nei comportamenti privati.
Dell’uomo forte Vincenzo possedeva la declinazione di tutte le caratteristiche: istrionico, carismatico, predicatore, assertivo. In un Paese che, nel tramonto della Prima Repubblica, vedeva andare in frantumi gran parte delle sue certezze, offriva un pensiero robusto almeno su un tema di emergenza nazionale per le migliaia di ragazzi trasformati dall’eroina in zombie vaganti per le città, panorama fisso delle piazze e delle stazioni. Per osmosi i suoi metodi estremi venivano invocati in ambiti diversi dal tema primario degli stupefacenti e diventavano modello politico. Non per caso molti partiti lo tiravano per la giacca chiedendogli, senza successo, di schierarsi.
Muccioli non aveva bisogno di un partito, possedendo già un regno. Era come se la giurisdizione italiana finisse davanti alla sbarra di San Patrignano. Oltre vigeva il “Codice Vincenziano”. Approvato soprattutto dai genitori dei tossicodipendenti in un dualismo vecchio come Sofocle che anteponeva la legge del sangue alla legge dello Stato. Facesse, Muccioli, ciò che riteneva più giusto, perché il risultato era il loro figlio vivo e non un cadavere con un ago nella vena: da questo punto di vista, un indiscutibile successo. E al diavolo i codici del diritto.
Il prezzo era una comunità con un’organizzazione militare che prevedeva il controllo assoluto delle vite degli altri. Ciascuna ragazza, ciascun ragazzo era l’altro per l’altro. I nuovi arrivati avevano un “angelo custode” (davvero chiamato così) che ne doveva controllare ogni mossa e seguirli fino al bagno. Per li rami scendevano le direttive dal capo all’ultimo ospite, precise fino all’aggettivo. E, per esempio, se Vincenzo parlando con i cronisti bollava come “infame” un atto giudiziario nei suoi confronti, nella passeggiata successiva che permetteva ai giornalisti dentro San Patrignano (sempre accompagnati anche loro da un angelo custode beninteso), quella parola, “infame”, riecheggiava di bocca in bocca come fosse un ordine del giorno. A noi sembravano, tutti, aprioristicamente e acriticamente allineati. E forse non era così, a giudicare dal sofferto racconto regalato a Netflix da Fabio Cantelli, all’epoca capo dell’ufficio stampa di San Patrignano e in apparenza un pretoriano fedele.
Ma i dubbi non avevano cittadinanza nella comunità, andavano smessi ai cancelli. Solo il tempo li ha fatti riemergere dal profondo di un pensiero liberato dalla costrizione. E Vincenzo Muccioli, restituito dalla cronaca alla storia, assume la sua dimensione poliedrica, sfaccettata, anche contraddittoria. Con Berlusconi condivideva, ex ante, l’ansia spasmodica di piacere a tutti e, soprattutto, ai suoi detrattori, per raggiungere un’unanimità di consenso peraltro impossibile. Credeva ciecamente nella sua assoluta capacità di sedurre, nell’irresistibilità della sua voce profonda e penetrante, nel magnetismo del suo sguardo. Sia permessa una confessione personale: chi scrive, non certo un suo fautore, alla notizia della sua morte pianse.