Accusato dall’Onu di gestire la tratta umana e il contrabbando di petrolio, l’ufficiale della Guardia Costiera è stato rilasciato dopo sei mesi e promosso. Un evento che racconta molto dei nuovi equilibri interni del Paese

Scarcerato e promosso per essersi distinto in battaglia, durante l’Operazione Vulcano di Rabbia per liberare Tripoli. Dopo sei mesi di carcere Abdul Rahman Milad, noto come Bija, ieri pomeriggio è tornato a casa, a Zawya, città costiera nell’ovest della Libia, dove ha gestito – sebbene fosse a capo della Guardia Costiera locale – traffici illeciti, contrabbando di carburante e traffico di uomini.

 

Il procuratore generale di Tripoli ha emesso un ordine di scarcerazione sostenendo che, per la legge libica, non ci sarebbero prove di un suo coinvolgimento nei traffici di cui viene accusato.  

 

La figura di Bija ha rappresentato negli ultimi anni diversi livelli di comprensione del paese: da un lato il funzionamento delle dinamiche interne, dall’altro le relazioni e i patti bilaterali che l’Europa – con l’Italia in testa – ha stretto con il paese nordafricano.

 

Bija è stato infatti protagonista (come svelato dal quotidiano Avvenire) di una riunione al Cara di Mineo, a Catania, in cui le autorità italiane e quelle libiche avrebbero discusso di politiche migratorie e sistemi di accoglienza. La riunione faceva parte di un progetto finanziato dalla Comunità Europea che prevedeva una serie di visite studio in Italia da parte di una delegazione, i cui componenti erano stabiliti dagli stessi libici.

 

Ufficialmente inserito nella lista degli invitati a quell’incontro dall’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), che facevano seguito alle indicazioni delle autorità libiche, Bija ottenne un regolare visto per entrare in Italia dopo un colloquio in una sede distaccata della nostra rappresentanza diplomatica al dodicesimo piano delle Tripoli tower.

 

L’Espresso è stato in grado nel 2019 di verificare l’autenticità di queste informazioni, visionando e pubblicando sia l’invito ufficiale dell’OIM, sia verificando a Tripoli nell’autunno del 2019, i documenti di Bija, durante un’intervista nella sede della Marina di Tripoli.

 

Nel 2017, ai tempi dell’incontro ufficiale al Cara di Mineo, Bija non era stato ancora inserito nella lista delle persone coinvolte nel traffico di uomini e pertanto sanzionate, tuttavia erano già noti i suoi coinvolgimenti nelle attività illecite della costa occidentale della Libia.

 

Bija era ed è uno dei tasselli di una potente rete, gestita dai suoi cugini, i Koshlaf, che controlla tutte le attività dell’area, dal traffico di carburante, al traffico di uomini e ha la gestione del centro di detenzione per migranti della zona.

 

Bija è accusato dall’Onu e dalla Corte internazionale dell’Aja di crimini contro l’umanità per essere uno degli organizzatori del traffico di migranti, e aver ridotto in schiavitù centinaia di persone in Libia.

 

La lista degli ufficiali promossi per aver partecipato a 'Vulcano di Rabbia', l'operazione militare per liberare Tripoli. Tra questi anche Bija

Le Nazioni Unite lo considerano “uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone, ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell’area di Zawya”.

 

Dopo essere stato sanzionato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, Bija era stato almeno formalmente estromesso dal suo ruolo. Nonostante questo, durante l’intervista con L’Espresso più di un anno dopo le sanzioni, vestiva ancora i panni ufficiali del corpo della Guardia Costiera.

 

L’allora Ministro dell’Interno libico Fathi Bashaga, spinto dal forte imbarazzo suscitato dalle sue dichiarazioni, sollevò dall’incarico l’allora portavoce della Marina ed emanò un comunicato ricordando che da sei mesi pendesse sulla testa di Bija un mandato d’arresto. Mandato che, fino ad allora non si era mai concretizzato.

 

Solo il 14 ottobre del 2020, ancora un anno dopo, Bija è stato arrestato dalle forze di sicurezza del governo sostenuto dalle Nazioni Unite e presieduto da Fayez al-Sarraj. Per capire alcune delle ragioni di queste contraddizioni è necessario inquadrare la città di Zawya all’interno dei delicati, fragilissimi, equilibri della Tripolitania.

 

Zawya è una città cruciale perché è stata a lungo uno dei più attivi punti di partenza per migranti e snodo delle esportazioni dei prodotti petroliferi.Non solo, le milizie di Zawya sono state parte attiva e fondamentale nella guerra per difendere Tripoli dalle forze del generale Khalifa Haftar (Bija è più volte comparso in alcune foto dal fronte che lo ritraevano a bordo di veicoli militari circondato dai suoi uomini).

 

Ai tempi della disputa tra il primo ministro Sarraj e il ministro dell’interno Bashaga, la milizia di Zawya si era opposta alla figura di Bashaga, che era emanazione del potere e dell’influenza della città di Misurata.

Le milizie di Zawya, durante la guerra, avevano supportato le truppe del governo di Sarraj, Bija tuttavia non esitava a manifestare la propria ostilità al ministro dell’Interno.

 

In un video pubblicato nel giugno del 2019, Bija aveva apertamente ringraziato la Turchia di Erdogan per il supporto logistico dato alle truppe di Tripoli e aveva accusato le mafie e i potentati di Misurata (leggasi Bashaga) città con la quale le milizie di Zawya sono storicamente in conflitto. Ed è proprio in queste frasi che andava ricercata la radice del suo arresto.  

 

Dopo la notizia della sua cattura nei pressi di Janzour, un convoglio militare dei gruppi armati di Zawya parti’ in direzione di Tripoli prima di essere bloccata dalle forze di sicurezza di Rada, la milizia salafita che controlla l’aeroporto della capitale. L’arresto di Bija si inseriva dunque in complesse dinamiche interne.

 

Da un lato la rivalità tra Tripoli e Misurata e gli equilibri del governo precedente, dall’altro l’impossibilità durante la guerra di arrestare uno dei capi dei gruppi armati di Zawya che stavano combattendo per difendere la capitale. Con Tripoli sotto assedio delle forze di Haftar, non era pensabile eseguire al mandato d’arresto. Quelle forze servivano al fronte e serviva la loro fedeltà.

 

A guerra finita, invece, Fathi Bashaga ha potuto dare seguito al suo tentativo di accreditarsi come interlocutore affidabile per i governi europei, anche arrestando i trafficanti sanzionati dall’Onu.

Bashaga voleva presentarsi come l’unica persona in grado di far applicare la legge e contrastare, sanzionare, punire, gli abusi delle milizie.

 

Come quella di cui fa parte Milad, membro della tribu’Awlad Buhmeira, la potente tribu’ di Zawya.  

Si avvicinavano gli incontri di riconciliazione nazionale tenuti in Tunisia, sarebbe poi stata la volta del Forum di Ginevra. Bashaga voleva presentarsi con tutte le carte in regola per uscirne vincitore. Invece il Forum ha scelto un altro uomo e ha eletto Primo Ministro Abdul Amid Dabeibah.

 

Oggi, dunque, la figura di Bija e la sua scarcerazione raccontano altri equilibri. Le foto del suo arrivo in città, ieri, lo ritraggono in una tuta blu, circondato dai suoi sostenitori. Si riconosce suo cugino, Koshlaf, noto alle cronache per essere uno degli uomini più potenti e pericolosi della costa, coinvolto nel contrabbando di carburante e nel traffico di uomini. Anche lui nella lista delle sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

 

L’anno scorso per l’arresto di Bija si complimentarono in molti, diplomazie europee, le Nazioni Unite e la Compagnia Petrolifera Nazionale (NOC) che in una nota diramata poche ore dopo sostenne di "aver ricevuto con piacere la notizia dell'arresto di Bija, legato alla sua attività criminale di contrabbando di carburante e che anche noi stavamo perseguendo penalmente".

 

Aggiungeva, il NOC, la speranza che tutti i ricercati per attività di contrabbando di carburante fossero chiamati a rispondere dei loro crimini. E i loro crimini sono il controllo delle infrastrutture, pozzi e raffinerie.

E questo è l’altro, decisivo, pezzo delle sfumature che Bija rappresenta. L’area di Zawya, Zawara e Sabratha resta una zona ad altissima tensione.

 

Martedì scorso l’impianto di Mellitah (gestito da Eni e NOC) è stato attaccato da un gruppo armato di miliziani di Zuwara. Il sindacato dei lavoratori del complesso ha denunciato che un gruppo di miliziani ha impedito per due giorni l’accesso chiudendo con la forza gli ingressi dell’impianto, dopo l’arresto del responsabile della sicurezza locale Imad al Din Masoud.

 

Il procuratore generale ha dichiarato che l’arresto del generale di brigata Masoud è avvenuto “su ordine del pubblico ministero”, perché Masoud è ritenuto responsabile dei traffici illeciti di Zuwara. È così che funziona in quell’area. I capi brigata impongono la loro presenza come responsabili della sicurezza degli impianti, e in forza della posizione che ricoprono allargano la loro influenza.

 

Che prende, sempre, la forma del contrabbando e delle richieste, sempre più alte di denaro.Se non ricevono quello che vogliono, bloccano gli impianti. Così funziona a Zuwara, così funziona a Zawya, dove la tribù di Bija controlla ogni traffico. Lecito e illecito.

 

Non è il solo campanello d’allarme nell’ovest del paese. Nei siti dell’operazione militare ‘Vulcano di Rabbia’ (quella che è valsa la promozione a Bija) cominciano a comparire messaggi violenti verso il nuovo Governo di Unità Nazionale di Dabeibah, e il capo del consiglio presidenziale Menfi. È presto per dire quale sarà il prezzo della quiete, per le milizie a ovest, ma è altamente probabile che la scarcerazione di Bija faccia parte del pacchetto.

 

Una fonte vicina a Bija, pochi giorni prima della sua scarcerazione ci ha detto – a condizione di anonimato – che “Bija non è stato arrestato sei mesi fa, Bija si è consegnato, sapeva che sarebbe stata una permanenza breve, la sua in carcere e che avrebbe trovato doni e benefici una volta uscito di galera”.

Per ora è stato promosso Maggiore, solo il tempo ci dirà quali altri benefici ha ottenuto.

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