La pandemia blocca il mondo del lavoro. E senza occasioni di reinserimento il pericolo di recidiva è concreto. Il cappellano di Nisida: “Hanno perso tutto, sono disperati e la malavita è in agguato”

«Tanti giovani hanno perso il lavoro e sono finiti di nuovo nelle reti criminali»: Luca, nome di fantasia, 27 anni, per «un bel po’» è stato nell’Istituto penale minorile Malaspina di Palermo. Ora è aiuto cuoco, si è messo alle spalle quel «brutto sogno» che è la sua vita di ieri. «A salvarmi è stata una formazione in carcere che poi è diventata un lavoro all’esterno che per fortuna ho ancora», racconta. Se è vero che il Covid-19 ha aperto una crisi epocale, distrutto imprese e reso più fragili e disorientati i giovani, per quelli usciti dal carcere l’impatto è stato ancora più drammatico.

 

Durante il periodo pandemico gli ingressi negli istituti penali minorili italiani «hanno subito un’apprezzabile diminuzione, considerata anche l’impossibilità di movimento», dice Claudio Giovanni Scorza, vice capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia. La dinamica è quella di un arco che si tende indietro per poi tirare con più violenza le sue frecce. Lo conferma Clara Pangaro, direttrice dell’Istituto minorile del capoluogo siciliano: «A Palermo in questi primi mesi del 2021 è aumentato il numero dei ragazzi nei centri di prima accoglienza». Si teme una recrudescenza dei reati: «Il rischio recidiva ora è più elevato. Sono tanti ad aver perso un impiego e a chiederci sostegno. Servono più risorse per offrire opportunità adeguate a questi giovani che sono soprattutto maggiorenni e spesso già con figli. Una borsa di formazione-lavoro di 400 euro al mese non basta».

 

Con la pandemia c’è stata, e c’è ancora, difficoltà nello strutturare progetti di tirocinio, formazione e lavoro: «Molte aziende hanno chiuso, molte altre hanno dovuto mettere i dipendenti in cassa integrazione, è complicato inserire i ragazzi in percorsi lavorativi», continua Pangaro. È più che mai necessario intensificare le politiche giovanili e creare progetti virtuosi di formazione e lavoro come “Cotti in fragranza”, un laboratorio per la preparazione di prodotti da forno, nato nel 2016, senza fondi pubblici, all’interno del carcere Malaspina. «Nel 2019 è nato anche Al Fresco, un bistrot nel cuore di Palermo», racconta Lucia Lauro, responsabile del progetto con Nadia Lodato. Un’impresa civile che ha inserito oltre trenta ragazzi.

 

«La nostra cooperativa, che fa parte dell’Istituto Don Calabria, è stata costretta a mettere in cassa integrazione metà del personale. Siamo riusciti con grandi sacrifici a garantire un sostengo economico a tutti, ma per tanti altri con un’esperienza penale alle spalle l’impatto è stato terribile, avevano dei lavori stagionali, molti in nero, e quindi sono stati mandati a casa senza nulla in tasca. Siamo molto preoccupati».

 

A Napoli la storia si ripete. «In tanti hanno perso un lavoro che era in nero, altri avevano un contratto di lavoro per poche ore a settimana, quando invece lavoravano tutto il giorno. Sono disperati, mi cercano costantemente per chiedermi un lavoro, un aiuto, cerco di fare quello che posso, gli pago le bollette. Sono ragazzi che vivono in famiglie segnate dalla malavita», dice Don Gennaro Pagano, cappellano di Nisida dal settembre del 2019.

 

Ragazzi che oltre alla diffidenza delle imprese, subiscono anche l’indifferenza della politica: «Gli operatori sono soli, in trincea, a combattere, anche con i politici», dice Don Gennaro. A questi giovani ha consacrato la vita Maria Franco, per 35 anni insegnante di italiano a Nisida. Per loro è ancora un punto di riferimento: «In tanti mi scrivono per dirmi che stanno vivendo un momento estremamente duro, è una tragedia che si consuma nel silenzio». L’inerzia delle istituzioni rischia ora di riconsegnare le storie di tanti giovani alla penna criminale.

 

Lo stesso grido di allarme si leva dal carcere minorile di Torino. «C’è ora un aumento di arresti, un’importante recrudescenza della delinquenza minorile con derive inquietanti. C’è tanta rabbia sociale», dice Simona Vernaglione, direttrice del Ferrante Aporti. «Questi giovani sono i più colpiti e penalizzati, prima riuscivamo a trovare delle opportunità di lavoro in cooperative o associazioni, ora è molto più difficile». Tante voci a chiedere ascolto, a partire da quelle di questi ragazzi a cui il Covid-19 sta togliendo le parole della loro nuova storia, a fatica conquistate.