Per la scelta dei 443 consiglieri all’estero la Francia mette a disposizione anche questa possibilità al fianco di quelle più tradizionali. Nel nostro Paese la discussione sul tema è riservata agli addetti ai lavori, mentre dovrebbe diventare tema di dibattito pubblico

Una settimana dopo l’Eurovision, i francesi all’estero sono stati di nuovo chiamati al voto. Non per portare sul tetto d’Europa la propria cantante preferita, ma per eleggere i «Consiglieri dei francesi all’estero», cioè 443 volontari nel mondo che si impegnano a servire la collettività dei connazionali nelle relazioni con la rete diplomatico-consolare e con la madrepatria.

 

Tra Francia e Italia è un testa a testa da secoli e questo campo non fa eccezione.

 

Se fino ad oggi potevamo vantarci che la legge francese che regolamenta questi organismi di rappresentanza fosse stata calcata sulla nostra, ora i cugini d’Oltralpe ci stanno superando: essenzialmente perché il loro Parlamento, contrariamente al nostro, è capace di aggiornare il sistema della rappresentanza. E lo riescono a fare anche perché, contrariamente a noi, hanno saputo dare centralità nell’architettura istituzionale ai «Consiglieri», che eleggono i ben dodici Senatori della circoscrizione estera in maniera diretta.

 

Nel confronto tra le elezioni tenutesi questa domenica e quelle dello stesso tipo che dovremmo affrontare noi il 3 dicembre prossimo, emerge una differenza sostanziale, ed è la modalità di voto.

I francesi hanno più scelte a disposizione: voto per procura, al seggio o voto elettronico.

 

Ci sono arrivati dopo un dibattito pubblico sul voto elettronico che dura da quasi vent’anni, è stato oggetto di discussioni parlamentari e gare d’appalto trasparenti. Nel 2017 il voto elettronico fu introdotto e poi sospeso per attacchi informatici e ancora oggi, a scrutinio virtuale aperto, permangono dubbi consistenti, calmierati dalla scelta di proporlo come una delle alternative possibili offerte al votante e di escluderlo per l’elezione centrale della vita repubblicana, cioè le presidenziali. Prudenza nel contesto e base volontaria per il suo utilizzo, quindi, sembrano guidare l’azione.

 

Da noi, malgrado la fascinazione per la tecnologia applicata alla democrazia abbia plasmato l’ultimo decennio, il dibattito pubblico generalista sul voto elettronico è molto superficiale, mentre gli specialisti del settore sono categorici: non s’ha da fare! Cosa che, per altro, hanno finito per dirsi anche Germania, Olanda e Norvegia. In campo istituzionale, a seguito di un finanziamento di un milione di euro per la sperimentazione del voto elettronico, si è insediato un comitato interministeriale il 25 agosto scorso, ma non esistono verbali delle sue riunioni, come hanno dimostrato una richiesta di accesso civico generalizzato (FOIA) seguita da quattro ricorsi al TAR.

 

Non c'è alcun verbale disponibile su cui ingaggiare una discussione alla luce del sole, nessun coinvolgimento della cittadinanza tutta, ma c'è un milione di euro di soldi pubblici da spendere rapidamente per la sperimentazione e un tema decisamente scottante da trattare, tra gestione dei dati e sicurezza informatica.

 

Una parte di questo finanziamento per la sperimentazione del voto elettronico dovrebbe essere investita proprio nelle prossime elezioni di rinnovo dei Comitati per gli italiani all’estero (Com.It.Es.) del 3 Dicembre: Luigi Maria Vignali, direttore generale per gli italiani all’estero alla Farnesina, ha indicato  che il voto elettronico sarà sperimentale, limitato ad alcune circoscrizioni consolari, andando non a eliminare ma a doppiare la modalità tradizionale di voto, che è per corrispondenza. Questo è tutto quello che si sa, per ora, di un test che mira a gettare le basi per l’utilizzo del voto elettronico nel sistema elettorale italiano.

 

La prima applicazione non sperimentale potrebbero essere proprio le elezioni politiche nella Circoscrizione Estero. Eppure, per superare le criticità legate alla legalità del voto e alla partecipazione, un’innovazione già sufficiente potrebbe essere quella di proporre, proprio come i francesi, una pluralità di modalità di voto. A metà marzo è stato pubblicato un whitepaper di Fabio Pietrosanti, Stefano Quintarelli e Maurizio Napolitano che, basandosi sui dati geo-spaziali degli iscritti all’anagrafe dei residenti all’estero (AIRE), evidenzia come con seggi dislocati in sole 43 città del mondo si potrebbe raggiungere più dell’84 per cento degli italiani all’estero, che avrebbero il seggio a meno di 20 chilometri da casa. In questo modo i rischi di inquinamento del voto per corrispondenza verrebbero drasticamente limitati, essendo rivolti solo al restante 16 per cento, senza dover incorrere nei rischi più grandi del voto elettronico.

 

Dal 25 Maggio c’è una ragione in più per seguire con attenzione questa sperimentazione sulle elezioni dei Comitati degli italiani all'estero, e una ragione in più per invidiare i francesi.

 

Infatti se la plurimodalità del voto non fa notizia, in Francia, permettendo ampia partecipazione al di là della presenza fisica al seggio, su ogni tipo di votazione, in Italia pare che dovremo aspettare ancora a lungo. A fronte di ben quattro progetti di legge elaborati in Parlamento, arricchiti da una petizione popolare di quasi ventimila firme a sostegno di misure per gli elettori in mobilità, la ministra Lamorgese ha freddato tutte le speranze che studenti e lavoratori fuori sede riuniti nel collettivo «Voto sano da lontano» riponevano nella possibilità di votare alle amministrative senza dover far ritorno alla loro città.

 

Impossibile: se il Parlamento dovesse anche approvare un disegno di legge simile, il ministero degli Interni non sarebbe in grado di far seguire operativamente il processo, rischiando di inficiare le elezioni non solo per i fuorisede, ma per tutti.

 

Risposta perentoria, che merita senz'altro che, come per il voto elettronico, si apra una discussione pubblica su quali sono queste difficoltà e quali le ragioni per cui l'Italia non sia in grado di farvi fronte, mentre invece molti altri paesi sì.

 

Come in tanti altri temi, nel paese in cui si amano i PRNN, ma non si fa manutenzione, si invoca spesso a sproposito l’innovazione della blockchain, ma meno spesso quella che deve poter poggiare su delle infrastrutture ordinarie, come le prefetture o la posta.

 

Si può essere innovatori anche senza essere acriticamente tecno-ottimisti. E a volte si può essere innovatori anche a costo zero. Magari copiando dai cugini d’Oltralpe.

 

Sembrerà una banalità, ma uno dei temi più complessi all'estero è quello dell’informazione. Gli elettori vengono raggiunti dalla comunicazione dell’avvicinarsi delle elezioni tramite una lettera del Consolato che arriva a casa, ma come fanno a informarsi sui candidati ed esprimere un voto ragionato?

 

La risposta dei francesi è semplice: sul sito istituzionale del Ministero degli esteri c'è una pagina da cui è possibile scaricare tutti i programmi di tutte le liste del mondo che si presentano alle elezioni di questo weekend. Ogni lista ha un suo link, ogni link punta a due pagine redatte dalla lista che si presenta. Per ora niente di tutto questo è previsto per le elezioni degli italiani all’estero, né per le liste dei Com.It.Es., né per i candidati alle politiche, malgrado il sistema sia un proporzionale con le preferenze. Chi ha la possibilità di pagarsi una campagna elettorale coi propri mezzi, quindi, risulta avvantaggiato. Già democraticamente fragile, come principio, per le elezioni politiche, questo diventa assurdo per elezioni, come queste, basate sul volontariato.

 

I francesi all’estero nel weekend passato hanno avuto a disposizione molte liste tra cui votare, alcune riconducibili direttamente a partiti politici, altre meno. Molte, divise, fanno parte della famiglia progressista ed ecologista. Pur nella diversità, evidentemente, alcune sfide si assomigliano.