I conti delle sale al chiuso rischiano di essere peggiori di un 2020 catastrofico. Dopo i mesi di lockdown gli spettatori rimangono diffidenti. Si spera nelle nuove uscite, da Nanni Moretti a 007, gli addetti ai lavori reclamano con il governo mentre la concorrenza con le piattaforme è sempre più forte

Serata infrasettimanale di cinema a Milano. Nel multisala da cinque film meno di dieci spettatori si aggirano in attesa dei titoli di testa all’ora dello spettacolo più frequentato (20.30). Il personale è ridotto al solo cassiere-controllore di green pass che convalida anche lo scontrino d’ingresso e trova persino il tempo di uscire per fumare una sigaretta, cosa impensabile due anni fa di questi tempi.
Eppure la programmazione è ben guarnita in ogni settore. C’è il numero uno degli incassi stranieri in Italia, “Shang Chi e la leggenda dei dieci anelli”, un Marvel di ambientazione cinese che sta andando al di là delle aspettative. C’è il sequel di “Come un gatto in tangenziale” della coppia scenica Albanese-Cortellesi, produzione Wildside. C’è il vero fenomeno cinematografico dell’età del virus, “Me contro Te”, secondo atto di una saga per giovanissimi youtuber che ha superato quota 5 milioni di euro al botteghino. Il primo della serie distribuita da Warner e interpretata dai due palermitani Sofia Scalia e Luigi Calagna aveva debuttato alla vigilia della pandemia (17 gennaio 2020) e ha incassato 10 milioni di euro e ha già nel mirino la terza uscita (gennaio 2022).


Infine, c’è lo splendido “Qui rido io”, girato da Mario Martone in omaggio alla saga familiare e teatrale di Eduardo Scarpetta, con l’interpretazione di un Toni Servillo fuori categoria e con un cast di qualità possibile soltanto a Napoli e dintorni.


Il confronto con le cifre è impietoso, in coda a un’estate di pienone turistico dove l’ultimo gestore di bar, trattoria, ristorante, pensione, albergo, ha portato a casa gli incassi della vita.
Totano surgelato, benissimo. Cinema al chiuso, vade retro Satana, come se il buio di una sala avesse messo d’accordo per miracolo prudenti e spericolati, fedeli e antagonisti della carta verde targata Mario Draghi.


Eppure il premier aveva accolto durante le consultazioni i rappresentanti di categoria Agis e Anec per affermare che la ripartenza dello spettacolo in sala, si trattasse di film, teatro, danza o musica, era fondamentale per la ripresa.
Fatto il governo, la sala è rimasta in fondo alle priorità, quasi demonizzata nonostante i protocolli severi e osservati con scrupolo ben diverso da quanto si vede in curva allo stadio, dove a ogni gol migliaia di tifosi senza mascherina si ammucchiano urlando in una tempesta di droplets.
Il 30 settembre è il D-Day per ripartire con l’attesissimo via libera del Cts (comitato tecnico scientifico) al ripristino della capienza dall’attuale 50 per cento, benché Silvio Brusaferro, che del Cts è portavoce e guida l’Istituto superiore di sanità (Iss), abbia dichiarato fino a domenica 19 settembre di non avere ricevuto alcun mandato per studiare la questione. È ora o mai più, se si vuole riallacciare il filo fra spettatore e settima arte lì dove l’amore è nato: in sala.
L’autunno dirà se la passione messa a durissima prova dal biennio pandemico ha un futuro con l’appoggio delle nuove uscite, dall’ultimo 007 a “Tre piani” di Nanni Moretti, all’esordio giovedì 23 settembre.


Le categorie del settore sembrano compatte come poche volte nella storia, dai produttori ai distributori, dagli esercenti all’Unita, il sindacato degli attori presieduto da Vittoria Puccini, presente con molti colleghi nel trailer all star “Ritorno al cinema” trasmesso alla fine delle ferie estive e realizzato da Anec, Anica e Cinecittà con il patrocinio del Mibact guidato da Dario Franceschini. Tutti chiedono una sola cosa: tornare a lavorare.

HORROR AL BOTTEGHINO
Secondo i dati forniti da statista.com il box office globale 2020 è crollato a quota 12 miliardi di dollari dagli oltre 42 del 2019. Le proiezioni di ricavi per il 2021 si attestano a quota 20 miliardi. Se saranno rispettate, e non è detto, i botteghini saranno comunque al di sotto del risultato del 2005 (23 miliardi di dollari).
Il disastro del virus di Wuhan, per la gioia dei complottisti, ha spodestato dalla cima della classifica mondiale il mercato Usa-Canada proprio in favore della Repubblica popolare cinese che ha realizzato 3 miliardi in biglietti rispetto ai 2,2 miliardi dell’America settentrionale, tuttora detentrice del record di ogni tempo con gli 11,9 miliardi di dollari del 2018.
Stati Uniti e Canada non avevano ricavi così bassi dal 1981, quando un’entrata costava meno di un terzo di adesso. Nelle sale americane il maggiore incasso del 2020 è toccato a “Bad boys for life” con 206 milioni di dollari, un quarto rispetto agli 858 milioni al box office di “Avengers Endgame”, campione nel 2019.
L’Italia è andata particolarmente male con un quattordicesimo posto mondiale dietro anche all’Olanda, a lungo meno rigorosa nelle disposizioni antipandemiche che hanno tenuto chiuse le sale italiane per cinque mesi nel 2020.
Secondo le statistiche dell’Anica (associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e multimediali), il botteghino è sceso dai 635 milioni di euro per 97,5 milioni di spettatori del 2019 a 182,5 milioni di euro per 28 milioni di paganti l’anno scorso.
«A oggi gli indicatori non sono affatto positivi», dice Luigi Lonigro, presidente dell’unione editori e distributori dell’Anica e dg di 01 Distribution, la società di Rai Cinema. «Di questo passo c’è il rischio di fermarsi anche quest’anno sotto i 30 milioni di biglietti venduti e forse persino di peggiorare il risultato del 2020, che era trainato da un primo trimestre eccezionale, con “Tolo tolo” di Checco Zalone. Nel 2021 contiamo di sfruttare il periodo natalizio, che nel 2020 è mancato a causa della chiusura, ma non sarà possibile una ripresa vera senza un’immediata reazione governativa sull’aumento della capienza nelle sale. Crediamo molto nel lavoro di Franceschini e ci aspettiamo che i suoi colleghi lo seguano, soprattutto il ministro della Salute Roberto Speranza e il ministro del Lavoro Andrea Orlando, anche perché il rischio di licenziamenti è alto in mancanza di una ripresa rapida. Senza polemica, faccio notare che per tutta la pandemia abbiamo guardato a quello che faceva l’Europa. Per il cinema, no. A Cannes i 3542 posti della sala del festival erano tutti occupati. A Venezia eravamo ancora con il distanziamento uno a uno e con la calca per gli accrediti in overbooking. Non possiamo continuare a giocare in nove contro undici rispetto alle piattaforme e allo streaming».

IL BUONO, IL BRUTTO E IL LEGHISTA
La lotta per le sale è una vertenza particolare. Anche chi avrebbe buoni motivi per fare pesare l’insoddisfazione verso i decreti di Giuseppe Conte prima e Draghi poi deve tenere i toni bassi perché il pubblico è diffidente. Se finisce in rissa, la diffidenza aumenta e la già precaria salute del botteghino peggiora.
La parola d’ordine quindi è sopire senza troncare. Non bisogna dire male dei ristoratori e degli ultras del calcio. Soprattutto, non va enfatizzata la differenza di posizioni che ha creato contrasti e accordi imprevisti nell’esecutivo. Speranza, ormai abituato a passare per il signor no, ha tenuto duro sulla sala a metà in attesa delle prime statistiche sul rientro a scuola. Orlando è in bilico fra la disciplina di squadra e il desiderio di fare di più per i lavoratori dello spettacolo. Franceschini è l’avvocato d’ufficio coadiuvato, e non era facile prevederlo, dalla Lega di governo ossia dal ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e da Lucia Borgonzoni, sottosegretario al Mibact che ha elencato in un’intervista alla Stampa le incongruenze con l’Europa, unita e disunita: in Germania sale piene con green pass e mascherina, in Francia niente green pass per i minori di 18 anni e snack consentiti, in Gran Bretagna nessuna misura.
I risultati si sono visti. “Dune” di Denis Villeneuve, che ha esordito nelle sale italiane il 16 settembre, ha totalizzato 287 mila spettatori nei primi quattro giorni di programmazione con record stagionale incluso. Bene fino a un certo punto. In Francia nello stesso intervallo di tempo la saga-kolossal della Warner bros ha venduto 878 mila biglietti.
Gli interventi economici del potere centrale non sono mancati. Il Mibact di Franceschini ha finanziato la crisi con 55 milioni di euro a gennaio e a maggio ne ha aggiunti 205, una cifra che va divisa fra distribuzione cinematografica, fondazioni liriche e fondo di garanzia per i lavoratori dello spettacolo. Anche le regioni hanno fatto la loro parte direttamente o incrementando i budget delle film commission per una cifra che supera i 40 milioni di euro. Nonostante l’impegno, il piatto piange ed è probabile che le categorie chiederanno altri ristori anche con le sale a pieno regime, senza contare che il Covid-19 non è l’unico elemento di squilibrio economico.
Come nel film “La tempesta perfetta”, le sale sono state investite dalla pandemia nel momento in cui la concorrenza delle piattaforme streaming come Netflix, Hulu, Amazon, Disney plus arrivava al suo massimo.

IL BUIO OLTRE LO STREAMING
Sembra passato un secolo ma era meno di due anni fa, quando usciva per pochi giorni in sala “The Irishman”, uno dei capolavori di Martin Scorsese, quasi tre ore e mezza di film prodotto da Netflix. L’obiettivo iniziale era di farne un’esclusiva streaming e solo le insistenze del regista italo-americano avevano consentito un brevissimo affaccio in sala con debutto il primo novembre 2019 negli Stati Uniti. «Una vergogna», aveva tuonato John Fithian, alla guida degli esercenti Usa. «Netflix ha mancato un’opportunità strategica».
Il 4 novembre 2019 il film con Robert De Niro e Al Pacino usciva, sempre per pochi giorni, a Milano dove il Covid-19 era già in incubazione. Circa tre mesi dopo, il 23 febbraio del 2020, la prima ordinanza regionale chiudeva i cinema in Lombardia. Il resto è noto.
Meno noto è che nel 2020 l’industria della cinematografia abbia incassato 81 miliardi di dollari di giro d’affari complessivo. È il risultato più basso dal 2016 ma piattaforme e streaming hanno impedito il disastro con il digitale al 61,8 per cento del fatturato complessivo contro i 12 miliardi guadagnati dai film in sala (18 per cento contro il 43 per cento del 2019).
All’uscita dal periodo più buio della pandemia, sperando che non sia un intervallo, nessuno pensa di demonizzare lo streaming che da parte sua non ha interesse ad ammazzare le sale tanto che fin dalla prima ondata di chiusure a livello nazionale, nell’aprile del 2020, Netflix ha creato un fondo di sostegno insieme alle film commission italiane.
«La concorrenza dell’online e delle piattaforme c’era anche prima», commenta Mario Lorini, presidente dell’Anec, l’associazione degli esercenti cinema, «e ci si deve confrontare. Ma la foce principale del prodotto film rimane il locale cinema. È lì che si recuperano gli investimenti da decine o centinaia di milioni di dollari e non in un abbonamento dove il ricavo va diviso con molte altre fonti di entertainment. Lo dimostra il passo indietro di un colosso come Disney, dopo un anno di precedenza alla sua piattaforma Disney plus. Lo dimostrano i produttori che anche in Italia stanno lavorando come non mai tanto che non si trovano maestranze e attrezzature».
Anche i grandi registi sono sulla stessa linea. Paolo Sorrentino ha chiesto e ottenuto da Netflix una finestra in sala per “È stata la mano di Dio”, gran premio della giuria all’ultima Mostra del cinema di Venezia. Lo stesso ha fatto Christopher Nolan al momento di cambiare squadra e trasferirsi da Warner a Universal. Il regista di “Insomnia”, “Dunkirk” e “Tenet” ha contrattato cento giorni di finestra esclusiva in sala per i suoi prossimi film. Adesso la finestra sul futuro devono aprirla gli spettatori.