La crescita si è fermata e aumento delle materie prime, inflazione e pandemia pesano su aziende e famiglie. In questo modo i problemi strutturali del nostro Paese tornano tutti a galla. E l’ottimismo sulla ripresa svanisce

Gli economisti la chiamano poco ortodossamente “rifrenata”. Della serie: non ci facciamo illusioni. Omicron, il Quirinale, i chip che non arrivano perché la pandemia ha spezzato la globalizzazione, gli stranieri che si erano appena riaffacciati ma sono stati respinti dalla paura. L’ennesima frenata dell’economia, fiaccata dal boom dei contagi ma anche dalle incertezze politiche, dall’inflazione e dal caro-energia, si cela in un’inedita sigla: Itwei. Significa: Italian weekly economic index. L’ha creato la Banca d’Italia shakerando i dati più vari, dai flussi di pagamento delle autostrade ai consumi elettrici fino a quelli di gas. Serve a dare dell’economia un’idea complessiva. I risultati sono impietosi: i consumi sono in calo, l’industria che aveva marciato a mille per quasi tutto il 2021 si è improvvisamente arrestata, i servizi - alberghi, ristoranti, spettacoli - che avevano appena accennato a rialzare la testa, sono nuovamente crollati. La crescita del Pil si è quasi azzerata e l’“effetto di trascinamento” sul nuovo anno non poteva essere peggiore.

 

L’indice Itwei, che aveva marciato gagliardamente per quasi tutto lo scorso anno, è finito in negativo per lo 0,3% nel quarto trimestre 2021. Le teste d’uovo di Via Nazionale invitano - nel Bollettino Economico datato gennaio 2022 - a non farsi illusioni. Anche restando al “vecchio” Pil (ma vanno male molti altri indicatori a partire dalle aspettative di cittadini e imprese), «nell’ultimo trimestre del 2021 ha registrato una significativa decelerazione, aumentando di non più dello 0,5% sui tre mesi precedenti». E dire che nel terzo trimestre la crescita era stata del 2,6% sul trimestre precedente e del 3,9% nei confronti del terzo “quarter” del 2020. Ancora meglio era andato il secondo trimestre.

 

GETTYIMAGES-1229942359-2048X2048_ALTA

Tutto congelato. «Ha inciso», conferma la Banca d’Italia, «l’impatto sui consumi della recrudescenza nei contagi, in aggiunta alle persistenti difficoltà di offerta legate all’indisponibilità di alcune materie prime e prodotti intermedi a livello globale. Le informazioni congiunturali segnalano un rallentamento dell’attività sia nella manifattura sia nei servizi».

 

Le previsioni si stanno deteriorando: «Nelle valutazioni delle imprese le condizioni per investire sono peggiorate. Le aziende prefigurano un rallentamento della spesa per investimenti nel corso del 2022 rispetto al 2021». Via Nazionale ha abbassato al 3,8% le stime per il Pil dell’anno in corso dal 4% stimato appena in dicembre (il governo è fermo alla previsione ufficiale del 4,7% che ormai è lunare). La previsione è la stessa ma il ribasso è ancora più secco per il Fondo Monetario: dal 4,2 dell’outlook di ottobre al 3,8% della settimana scorsa. Appena più ottimista è Unicredit: «La combinazione fra l’emergenza sanitaria e i costi delle materie prime», dice Loredana Federico, chief economist per l’Italia, «ci ha portato a ribassare le nostre previsioni sul Pil, che salirà di non più del 4,1% nel 2022». A questo punto, aggiunge l’economista, «bisogna guardare agli anni successivi: è cruciale vincere la scommessa contro la pandemia per potersi concentrare sugli investimenti infrastrutturali finanziati dal Pnrr. Saranno fondamentali per valorizzare, con miglioramenti dalla rete dei trasporti alla digitalizzazione, le potenzialità delle imprese. Quanto ai limiti nella capacità progettuale lamentati da diverse regioni, potranno essere superati grazie all’impegno che stanno mettendo in campo il governo centrale (che ha ingaggiato mille consulenti ad hoc, ndr) e la commissione Ue».

 

Anche l’indicatore settimanale di Prometeia era sceso fino a quota 85 nell’aprile 2020, poi ha lentamente recuperato fino a 103 nel giugno 2021 ma dopo è nuovamente sceso a 98,8 a metà gennaio 2022 con una traiettoria ribassista inequivocabile. «Il problema maggiore, al di là della pandemia dove probabilmente possiamo ipotizzare un graduale recupero, è l’inflazione (3,9% in dicembre su base annua, ndr)», dice Stefania Tomasini, partner del think-tank bolognese. «Il nostro Paese è totalmente esposto e vulnerabile di fronte ai rincari dell’energia, che tutto lascia supporre che siano qui per restare». Ma che fine ha fatto il boom italiano, il sogno che ci aveva portato in cima al mondo per velocità di crescita, la nostra proverbiale grinta nell’export? «Intendiamoci, la crescita per il 2021 resta acquisita e si attesterà sul 6,3-6,4% (la stima Istat arriva lunedì 31 gennaio, ndr)», precisa Lorenzo Codogno, già capo economista del Tesoro, oggi titolare di una società di consulenza a Londra. «Preoccupa però, e non poco, la caduta nell’ultimissima parte dell’anno, con la crescita secondo i nostri calcoli ridotta allo 0,6% nel quarto trimestre. Nel trimestre in corso, visto che si è abbassata drasticamente la base di partenza, si manterrà un dato positivo ma di non più dello 0,3% rispetto agli ultimi tre mesi del 2021. Per riprendere a crescere seriamente l’unica speranza è che, come indicano i modelli di previsione, la pandemia raggiunga il picco entro metà febbraio, dopodiché l’Italia dovrà mettercela tutta per attuare il Pnrr dimostrandosi degna di essere la maggior beneficiaria dei fondi europei».

 

Eppure tutto sembrava andare meglio del resto d’Europa. «Ha poco senso valutare la ripresa dell’anno scorso confrontando i vari Paesi e magari, come qualcuno ingenuamente sembra fare, concludendo che la ripresa sia più forte in Italia rispetto alla Germania», avverte Mario Baldassarri, presidente del Centro studi economia reale. «È tale il gap che si aperto negli anni scorsi con i Paesi più forti che recuperarlo è duro e non permette passi falsi: il Pil pro-capite italiano era nel 2000 sopra la media Ue del 20% e sopra la media della moneta unica del 3%, nel 2019 l’Italia è finita sotto la media Ue del 6% e sotto l’area euro del 14%», spiega Baldassarri. «Da allora le cose sono ulteriormente peggiorate: non dimentichiamo che nel 2020 l’Italia con il -9% aveva perso più di tutti».

 

Il rallentamento di queste settimane rende più complicato il recupero. «Le previsioni di crescita danno per scontato che i fondi del Pnrr vengano sapientemente utilizzati, ma la partita è ancora tutta da giocare: le riforme strutturali presentate all’Europa sono in realtà decine di titoli vuoti da riempire con leggi, decreti, regolamenti. Ora poi è arrivata l’inflazione che si è mangiata parte delle aspettative di famiglie e imprese e detrarrà almeno lo 0,4% dalla crescita prevista per il 2022. Il caro-bollette ha azzerato il beneficio della prima mini-riforma dell’Irpef varata con la legge di bilancio 2022». La Confindustria è, se possibile, ancora più pessimista: «All’inizio del 2022 si sono fatte più fitte le nubi addensatesi già a fine 2021 sulla risalita del Pil, stimato in frenata nel quarto trimestre», si legge nel bollettino diffuso sabato 22 gennaio dal centro studi di viale dell’Astronomia. «Con gli attuali prezzi abnormi dell’energia, i margini erosi, la scarsità di commodity e l’aumento dei contagi, il rischio è che la crescita subisca uno stop nel primo trimestre. Il caro-energia quest’anno costerà almeno lo 0,8% di Pil».

 

GETTYIMAGES-1229942359-2048X2048_ALTA

Il rallentamento sta riportando alla luce antiche debolezze. Spiega Gianni Toniolo, padre nobile degli storici dell’economia italiani, già docente negli Stati Uniti alla Duke University e oggi alla Luiss: «È vero, l’Italia ha diverse punte di eccellenza e l’export è andato e sta andando molto bene, però le aziende che esportano, in un’economia che dipende dal comparto manifatturiero per meno del 15% del Pil, sono troppo poche per sostenere la crescita di tutto il Paese». Devono aumentare di numero e rafforzare la spinta propulsiva sui mercati, «ma non è facile», dice Toniolo, «viste le piccole dimensioni di buona parte delle imprese italiane, ma la crescita dell’economia può essere sostenuta solo da un aumento della produttività che vada a compensare i ritardi che si accumulano, per cause oggettive, nel settore dei servizi che vale tre quarti del Pil ed è quello che ha più risentito del Covid». Servizi significa anche logistica e interscambio, «e qui vale l’impatto che la pandemia ha sui costi», commenta Filippo Diodovich, stratega di mercato per IG Italia. «Il Freightos Baltic Global Container Index, riferimento per il trasporto marittimo, è in aumento del 600% rispetto ai valori pre-pandemici. Nel breve è difficile che i costi tornino su livelli di normalità. Finché molti paesi adotteranno strategie rigide di zero-covid (in Cina il porto di Pechino è finito in lockdown da un giorno all’altro, ndr) ci saranno sempre discontinuità nella catena produttiva e distributiva».

 

Per avere un’idea della crisi, valgono i dati di Confcommercio a metà gennaio: il volume d’affari degli alberghi aveva recuperato alla grande per tutta la prima parte dell’anno scorso, poi sul finire il nuovo crollo. Tanto che il risultato finale del 2021 è stato ancora inferiore per il 32,9% a quello del 2019, ultimo anno “buono” (nel 2020 le perdite avevano raggiunti i livelli incredibili del 300%). Discorso analogo per ristoranti e bar che si trovavano “sotto” a fine 2021 del 27,5% sul 2019. In pochi mesi è stato vanificato tutto il recupero. Ora servirà tempo, e soprattutto che il coronavirus allenti definitivamente la presa, perché dopo la “rifrenata” si possa parlare di “ripartenza”.