L’ideologia dell’efficienza economica ha divorato il pianeta. Ma comincia ad affermarsi una mentalità diversa, specie tra i giovani, che ha altre priorità

I virus continuano ad arrivare, il clima si sta surriscaldando e la terra si sta rinaturalizzando. Stiamo cominciando a renderci conto che la razza umana non ha mai avuto davvero il dominio sul pianeta e che la natura è molto più potente di quanto pensassimo, mentre la nostra specie appare molto più piccola e insignificante nel più ampio contesto della vita sulla Terra. Per molti di noi, questa rivelazione ha un effetto devastante e determina la più totale incertezza quanto alle contromisure da adottare nel nostro modo di vivere. Per liberarci da questa paralisi, avremo bisogno di un quadro di regole completamente nuovo.

 

Ciò che nessuno ha il coraggio di dire è che quello che ci ha portato sull'orlo dell’abisso è l’insieme di credenze, supposizioni, politiche e comportamenti generati dall’Età del Progresso. Le nostre nozioni di tempo e spazio; le nostre idee sulla governance; la nostra gestione dell’economia; il nostro rapporto con la natura; il nostro approccio alla ricerca scientifica; i nostri metodi educativi; e persino la nostra idea di individuo sono la miscela tossica che ora sta avvelenando tutto il pianeta.

 

Non c’è da meravigliarsi se siamo paralizzati dalla paura, perché dobbiamo rivoluzionare il nostro modo di pensare e questo ci terrorizza. Ma la realtà comincia a emergere comunque e a suggerirci che l’Età del Progresso, un tempo considerata sacrosanta, sta tramontando mentre sorge una nuova più potente narrazione, quella dell’Età della Resilienza.

In libreria Jeremy Rifkin, “L’età della Resilienza”, Mondadori, 420 pagine, 24 euro

Durante l’Età del Progresso, l’efficienza è stata il parametro fondamentale per organizzare il tempo, costringendo la nostra specie a massimizzare l’espropriazione e il consumo delle ricchezze della Terra, a ritmi sempre maggiori e in tempi sempre più ristretti, con l’obiettivo di aumentare l’opulenza della società umana, anche al costo dell’esaurimento delle risorse naturali. La ricerca dell’efficienza a tutti i costi comporta l’eliminazione di ridondanze e diversità per non rallentare l’ottimizzazione delle attività economiche.

 

Invece, la Resilienza, almeno in natura, è fondata proprio sulla ridondanza e la diversità. Meno diversificato è l’ecosistema, tanto più vulnerabile esso diventa alle perturbazioni e al collasso. Durante l’intera Età del Progresso, lo spazio è diventato sinonimo di risorse naturali da saccheggiare e il ruolo principale del governo e dell’economia è stato quello di garantire che la natura fosse gestita come una proprietà.

 

La nostra specie è stata impegnata in una corsa incessante per estrarre, privatizzare, mercificare, consumare e ridurre a rifiuto intere aree del mondo naturale. Questo approccio al tempo e allo spazio, per lungo tempo prevalente, ha reso l'umanità specie dominante sulla Terra ma ha portato alla rovina del mondo naturale.

 

È sconvolgente pensare che al 2005 l’Homo sapiens costituiva meno dell’uno per cento della biomassa totale della Terra, ma consumava il 24 per cento della produzione primaria netta della fotosintesi e potrebbe arrivare al 44 per cento​​​​​​ entro il 2050, lasciando solo il 56 per cento al resto della vita sulla Terra. Non è così che funzionano i sistemi biologici. Essi misurano la prestazione ottimale non sulla produttività ma sulla capacità di rigenerarsi, non sulla efficienza ma sulla adattabilità.

 

Le nuove generazioni stanno così passando dal concetto di crescita a quello di prosperità, dal capitale finanziario al capitale ecologico, dal Prodotto Interno Lordo (Pil) agli Indicatori della qualità della vita (Iqv), dal consumismo esasperato all’Ecogestione, dall’economia lineare all’economia circolare, dalla proprietà all’accesso, dal mercato alle reti fornitori-utenti, da economie di scala integrate verticalmente a quelle integrate lateralmente, da filiere centralizzate a filiere distribuite, da grandi gruppi multinazionali a piccole e agili cooperative high-tech collegate fra loro in comunità fluide regolate da blockchain.

 

I diritti di proprietà intellettuale stanno lasciando spazio alla conoscenza condivisa open source, in un mondo non più “global” ma “glocal” non più ispirato dalla geopolitica ma dalla politica della biosfera.

 

Stiamo appena iniziando a capire che le nostre vite e quelle dei nostri simili, sono estensioni delle sfere della Terra. Apparteniamo alla Terra con tutti noi stessi.

 

Il sé individualista dell’Era del Progresso sta cedendo il passo al sé ecologico dell’Era della Resilienza, in cui si modifica anche la nostra visione della governance: non più come strumento di sovranità sulle risorse naturali ma come protezione degli ecosistemi regionali. Già cinque Stati del Nord Ovest americano e cinque province canadesi confinanti hanno dato vita alla Regione Economica del Pacifico Nord Ovest (Repno) mentre otto Stati americani e due province canadesi della regione dei Grandi Laghi e di Saint Lawrence hanno dato vita a una “Conferenza di governatori e premier” per tutelare e amministrare i loro ecosistemi comuni, al di là delle frontiere nazionali che li attraversano.Così, mentre crollano i muri fra civiltà e natura, la democrazia rappresentativa comincia a essere percepita come inadeguata per far fronte ai monumentali impegni di preparazione e adattamento ai sempre più virulenti disastri climatici, e nascono “assemblee cittadine paritarie”, in cui soprattutto le giovani generazioni assumono un ruolo attivo nella governance delle loro bioregioni.

 

Queste assemblee di cittadini sono selezionate per sorteggio dai governi locali o elette con votazioni informali di vicinato per affiancare il governo e prendere decisioni su questioni prioritarie a loro appositamente delegate, quali la determinazione delle priorità di bilancio, per la preparazione ai disastri climatici, il soccorso e la ricostruzione, la realizzazione di infrastrutture resilienti e la gestione dei servizi ecosistemici locali. Oltre 3.000 assemblee di cittadini sono attualmente operative in tutto il mondo.Gli antropologi ci dicono che siamo tra le specie più capaci di adattamento. Resta da vedere se useremo questo nostra particolare caratteristica per ritrovare il nostro posto nella natura con umiltà, consapevolezza e previdenza e riusciremo a consentire alla nostra specie e alla nostra famiglia biologica allargata di sopravvivere e, magari, tornare a prosperare.