Nessun partito ha sollevato dubbi sulla ricezione di chi fugge dalla guerra e città e associazioni si impegnano per trovare i modi migliori per ospitarli e fornire loro il necessario. «Non possiamo restare a guardare»

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Le immagini della guerra in Ucraina stanno sconvolgendo nel profondo chi le guarda. «Non avremmo mai immaginato di sentire così vicino a noi il rombo dei cannoni», ha detto la senatrice a vita Liliana Segre durante la celebrazione in Sala Alessi, al Comune di Milano, per la Giornata europea dei Giusti: non è difficile ipotizzare che questo sia un sentimento comune tra i cittadini italiani. Lo dimostra in parte la grande mobilitazione umanitaria che c’è stata in queste settimane.

 

Sono stati raccolti migliaia di beni di prima necessità da inviare alla popolazione ucraina, i comuni hanno ricevuto centinaia di richieste per poter offrire un posto letto ai profughi in arrivo, le strade delle città si sono riempite di cortei per invocare la pace e chiedere alla Russia di concludere i bombardamenti. Proprio per questo motivo, per la solidarietà dimostrata dagli italiani, in questi giorni si sta parlando di accoglienza diffusa: le amministrazioni comunali stanno organizzando come ospitare le persone in fuga e contano di poter gestire la situazione, almeno in un primo momento, grazie alla disponibilità dimostrata da gran parte della popolazione italiana.

 

Il fenomeno è trasversale e sta coinvolgendo tanto le grandi città quanto i paesi più piccoli. Il governo sa, però, che a questa solidarietà spontanea va affiancato anche un programma di accoglienza ben strutturato. Programma che fino ad oggi in Italia è stato quasi completamente inefficace.

Rifugiati in fuga da Odessa

«Sono nostri fratelli, non possiamo restare a guardare». Mentre parla don Giuseppe, parroco di Busto Arsizio, in provincia di Varese, continua a dare indicazioni ai suoi collaboratori su dove mettere la pasta, il latte e i vestiti che stanno continuando ad arrivare in oratorio. Ha anche scritto un post su Facebook chiedendo «di aspettare qualche giorno a portare altri beni, in modo da poter fare una raccolta mirata alle esigenze delle mamme e dei bambini che arriveranno nei prossimi giorni».

 

Domenica 27 febbraio don Giuseppe è partito da Busto per recuperare alcune persone che lo attendevano a Lodz e a Cracovia, in Polonia. «Erano in 10: otto bambini, una mamma e una neonata». Provenivano tutti da Chernobyl, don Giuseppe li conosce perché in estate sono stati ospitati in città. Da anni infatti diverse associazioni organizzano percorsi terapeutici per i minori nati a Chernobyl: vivere in un contesto lontano dalle contaminazioni, anche per pochi mesi, può avere un effetto benefico sulla loro salute.

 

Sempre su Facebook, don Giuseppe racconta che il giorno in cui l’esercito russo ha invaso l’Ucraina è stato svegliato da un messaggio di uno dei ragazzi: «Per favore pregate per noi». Quando il parroco ha saputo che erano riusciti a superare il confine e ad arrivare in Polonia, ha deciso di andare a prenderli: ha caricato il pulmino e si è messo in viaggio con due volontari della Croce Rossa e un agente della polizia locale, percorrendo 3mila chilometri in meno di 24 ore. «Un viaggio infinito», commenta. Ha la voce stanca, probabilmente anche per le centinaia di telefonate e richieste di interviste che ha ricevuto in questi giorni.

 

Le 10 persone che ha portato a Busto Arsizio ora sono ospitate in alcuni alloggi in città. I bambini stanno con le famiglie da cui erano andati durante l’estate. «Sono tristi perché hanno dovuto lasciare i loro genitori in Ucraina, ma qui almeno sono al sicuro», sottolinea don Giuseppe. A Busto Arsizio giorno dopo giorno continuano ad arrivare profughi. Per adesso i numeri sono ancora contenuti, ma il governo e le regioni si aspettano di dover gestire l’accoglienza di milioni di persone. Secondo l’Alto Commissario dell’Onu per i rifugiati Filippo Grandi questa è «la crisi di profughi più veloce in Europa dalla Seconda guerra mondiale». L’Italia si sta preparando a ospitare sia familiari di cittadini ucraini che risiedono in Italia sia persone che arrivano senza alcun punto di riferimento. In entrambi casi, a chi non ha un posto dove stare bisognerà trovare un alloggio.

 

Ed è in questo aspetto che i cittadini italiani si stanno dimostrando particolarmente attenti ai bisogni della popolazione ucraina. In una sola settimana, dall’inizio dell’invasione russa, i volontari dell’associazione Refugees Welcome hanno raccolto più di 500 offerte di posti letto e alloggi privati da destinare a chi scappa dalla guerra. Le iscrizioni arrivano in modo costante e continuano a crescere: una settimana fa avevano superato il migliaio. Con le altre crisi umanitarie affrontate negli ultimi dieci anni, siriana e afghana, per esempio, non c’era stato lo stesso coinvolgimento: basta pensare che nessuna forza politica ha sollevato dubbi sull’accoglienza dei profughi ucraini, mentre in altre occasioni diversi partiti si sono dimostrati variamente ostili a ospitare popolazioni che fuggivano da guerre e regimi autoritari.

 

Proprio per sfruttare queste disponibilità, alcuni Comuni hanno deciso di affidarsi direttamente a Refugees Welcome, in modo da gestire ordinatamente le offerte. Milano ha già sottoscritto un accordo ufficiale, ma ci stanno pensando anche le amministrazioni di Padova, Roma e Bari. Prima l’associazione si occupava soltanto di trovare una casa a persone che avevano già passato diversi mesi o anni nei centri di accoglienza, ora invece si sta dedicando anche a chi è appena arrivato in Italia. Si tratta di sistemazioni temporanee, che potrebbero risultare utilissime nelle prime fasi di gestione degli ingressi.

 

Refugees Welcome non è l’unica associazione che se ne sta occupando. Sul territorio nazionale si sta muovendo anche la Caritas: a Milano dopo una settimana è riuscita a superare le 300 disponibilità e a raccogliere 500mila euro di fondi da destinare all’accoglienza. Sembra quasi una gara di solidarietà tra le città. A Napoli sta gestendo tutto il Comune, che ha creato un forum online in cui i cittadini possono comunicare come desiderano aiutare le famiglie in fuga. Oltre ad alloggi privati si stanno cercando anche strutture alberghiere e conventi. Dopo una decina di giorni dalla pubblicazione del forum, l’amministrazione aveva ricevuto già più di 800 iscrizioni.

 

«Ci scrivono da tutta la Campania, non solo da Napoli. Abbiamo disponibilità a Benevento, Nerano, Ischia», racconta l’assessore alle Politiche sociali Luca Trapanese. L’amministrazione sta privilegiando prima le strutture più grandi. «Al convento dei Francescani ci hanno offerto 15-16 posti e a Sant’Antonio da Padova altri 12. Poi ci sono i sei posti alla Sanità», aggiunge Trapanese. Nel napoletano ci sono anche molti bed and breakfast che hanno messo a disposizione alcune camere vuote. Secondo Trapanese riuscire adesso a sfruttare queste possibilità è fondamentale, perché ci vorrà tempo prima che siano disponibili i nuovi posti garantiti dal governo nei centri di accoglienza, sia in quelli gestiti direttamente dalle prefetture sia in quelli dai Comuni: circa 8mila in tutto. «Bisogna trovare dei luoghi adatti e non è così semplice, soprattutto per le strutture organizzate dagli enti locali. In generale poi questi numeri risulteranno sicuramente inferiori rispetto alle esigenze», puntualizza Trapanese.

 

Per questo motivo le amministrazioni, almeno in questa fase iniziale, si stanno organizzando autonomamente. Anche senza avere indicazioni precise, perché nessuno si aspettava una risposta così forte dai cittadini. A Roma il sindaco Roberto Gualtieri ha deciso di creare un hub dedicato esclusivamente alla gestione dell’emergenza, in cui riunire 30 associazioni del terzo settore che si occuperanno di rispondere alle richieste di aiuto e alle offerte di collaborazione.

 

«Queste persone hanno bisogno d’aiuto, dare una mano mi sembra naturale», dice Roberta Sambo, che abita vicino a Ravenna, a San Pietro in Vincoli: la sua è una delle tante famiglie che hanno deciso di ospitare nella propria abitazione i profughi in arrivo dall’Ucraina. Ci aveva già provato in precedenza, ma alcuni problemi burocratici avevano reso impossibile inviare la candidatura. Sambo ha messo a disposizione tre posti letto: due nella camera di suo figlio che ormai vive a Bologna, dove frequenta l’Università, e uno nella stanza degli altri due figli di 16 e 14 anni. «Condivideranno gli spazi, per loro potrebbe un’esperienza molto formativa». Sambo spera che i suoi figli imparino il valore dell’accoglienza e allo stesso tempo comprendano il dolore provocato dalla violenza della guerra: «È importante ricordare che la solidarietà va anche oltre l’ospitalità, ognuno in qualche modo può fare la sua parte. Io, per esempio, lavoro in un ambulatorio pediatrico e mi sono offerta di donare anche dei farmaci, se servisse».

 

Per adesso è complesso capire quanti profughi arriveranno in Italia e soprattutto quanto resteranno: in parte dipenderà dall’esito degli scontri sul territorio ucraino. L’accoglienza diffusa può essere una prima risposta, ma va integrata con politiche strutturali di lunga durata. Il rischio è che, anche in questa occasione, la maggior parte delle persone venga collocata nei Centri di accoglienza straordinari (Cas) gestiti dal governo: i Cas dovevano essere strutture a cui ricorrere in modo temporaneo per fronteggiare flussi emergenziali, ma di fatto rappresentano il sistema ordinario attraverso cui vengono ospitati i migranti sul territorio nazionale.

 

Al 31 gennaio 2021 su un totale di 80.097 persone accolte in Italia, 54.343 erano distribuite nei Cas. Non sempre in queste strutture, per la mancanza di personale e per il sovraffollamento, sono garantiti percorsi di integrazione efficaci. L’alternativa potrebbero essere i centri organizzati dai Comuni che fanno parte della rete Sai (Sistema di accoglienza e integrazione): a gennaio del 2022 i posti finanziati erano 35.467.