Militanti di Forza nuova, combattenti, giornalisti e latitanti. È la galassia al servizio di Mosca al lavoro da anni ma in questi mesi ancora più attiva

Una propaganda filorussa e anti europea e americana martellante, sui social ma non solo. Fascisti legati a Forza Nuova, mercenari latitanti oppure giornalisti che però, si scopre, hanno avuto contatti con funzionari russi e hanno lavorato per il farlocco ministero dell’Informazione della Repubblica, autoproclamatisi autonoma, di Lugansk.

 

Una rete sul campo e online molto vasta, sotterranea per molti aspetti, ma che a tratti fa capolino alla luce del sole. Sono i fascisti per Vladimir Putin, una rete che lo zar di Mosca ha iniziato ad alimentare già dieci anni fa, agli inizi della battaglia separatista nel Donbass. Una rete che oggi torna utile per sostenere la propaganda russa di guerra e per avere anche manovalanza sul campo. Un doppio binario foraggiato dai rubli e dagli uomini di Mosca e che i carabinieri del Ros, reparto specializzato nel contratto all’eversione e al terrorismo, hanno in parte ricostruito e stanno monitorando in questi giorni di guerra. Sapendo bene che tutto è intrecciato e tutto fa parte di un unico disegno che va avanti dal 2013 e prosegue fino ai giorni nostri.

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LA PROPAGANDA NERA
Su Facebook tra le pagine più seguite ci sono quelle di Andrea Palmeri e Vittorio Nicola Rangeloni. Il primo, ne parleremo a breve, è ufficialmente latitante: su di lui pende un mandato di arresto della procura di Genova per attività di reclutamento mercenari nel Donbass. Quasi ogni giorno sulla sua pagina tiene un particolare diario di guerra: «Volevo solo dirvi di non credere alla propaganda anti russa che i "giornalisti" italiani stanno montando…La guerra l'hanno voluta gli americani che hanno fatto il colpo di stato in Ucraina e hanno sabotato gli accordi di pace». Dal Donbass scrive in qualità di giornalista Vittorio Nicola Rangeloni. Il 18 marzo da Mariupol postava: «Molti abitanti di questa città mi hanno raccontato come i soldati ucraini avessero cacciato le persone dai loro appartamenti, solitamente ai piani alti delle palazzine, per trasformarli in postazioni di fuoco, trasformando obiettivi civili in militari. Qualcuno addirittura ha giurato che alcuni inquilini che si sono rifiutati di concedere i loro appartamenti sono stati fucilati e gettati dai balconi».

 

Su Twitter invece sono molti attivi diversi esponenti di Forza Nuova, in primis Giuseppe Provenzale, leader di Fn dopo l’arresto di Roberto Fiore per l’assalto alla sede della Cgil. Il tono dei tweet di Provenzale è ben riassunto da un suo messaggio di qualche giorno fa: «No, i nemici degli Italiani non stanno in Russia: sono i grandi pupari senza volto della “società aperta” che muovono i fili degli aguzzini e dei servi nostrani, quinte colonne ben pagate che occupano governo e Parlamento perché, come i pupari, hanno venduto l'anima al Nemico».

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I messaggi di Provenzale, insieme a quelli di Luca Castellini, altro dirigente del partito fascista, rimbalzano poi su Telegram dove c’è il canale di Forza Nuova, scomparso invece da Facebook e Instagram perché chiuso da Meta. Su Telegram la propaganda si intreccia ai canali utilizzati dai no vax, come Guerrieri per la libertà (77 mila iscritti), dove si rilanciano video pro Russia come quello dello scorso 18 marzo nel quale si dice che dagli ucraini «è stato dato l’ordine di castrare i soldati russi feriti, perché ritenuti scarafaggi e non esseri umani». Altro canale, dove fanno capolino esponenti di destra o che sono legati ai mercenari latitanti nel Donbass, è quello con il simbolo del leone che vanta migliaia di iscritti.

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Sono solo alcune delle chat monitorate dagli investigatori perché intrecciate a doppio filo con la rete pro Putin.

 

Cosa hanno infatti in comune mercenari come Palmeri, giornalisti nel Donbass al seguito delle truppe russe, esponenti di Forza Nuova? Cosa li lega in una rete che sembra guidata da una unica regia? La risposta a queste domande si trova nelle pieghe delle indagini fatte tra la Liguria, la Lombardia, il Lazio e la Sicilia, già arrivate a due provvedimenti giudiziari a Genova e Messina. È in quelle carte che emerge, al di là dei reati, una sintonia d’intenti, un legame tra i neri e Mosca, anche se non mancano esponenti della sinistra estrema: come Edy Ongaro, arruolato nelle milizie comuniste filo russe e latitante dal 2015. Tanto che nel provvedimento cautelare emesso dai giudici liguri si parla «di un superamento in alcuni casi della dicotomia destra sinistra in questa brutta storia della propaganda putiniana». Ma la matrice principale resta quella nera.

 

LA RETE TRA MERCENARI E POLITICA
La prima inchiesta sui mercenari italiani nel Donbass e i legami con la destra nasce nel 2014, quando il Ros inizia a seguire gruppi di skinhead tra la Liguria e la Lombardia e un raggruppamento trasversale che si chiamava “Coordinamento solidale per il Donbass”. Formalmente l’obiettivo di questa sigla era l’assistenza umanitaria «con un substrato ideologico alimentato dalle teorie euroasiatiche propugnate dal filosofo russo Alexander Dugin»: a sua volta riferimento per i miliziani filorussi. Qui si materializza la prima figura che fa da ponte tra l’Italia e le aree dell’Ucraina coinvolte dalla guerra civile alimentata da Putin: Olsi Krutani, un ex militare di origine albanese anche se convintamente filorusso, poliglotta, istruttore di arti marziali e attivo nella sicurezza privata. Insieme a lui emerge anche la figura di Antonio Cataldo, che si era già arruolato nella milizia di Lugansk. Seguendo quest’ultimo, i militari del Ros arrivano a ricostruire una prima rete di combattenti italiani al seguito delle truppe di Putin: Andrea Palmeri detto il generalissimo, Gabriele Carugati detto l’Arcangelo, Massimiliano Cavalleri detto Spartaco e Vladimir Verbitichii, anche lui figura cerniera tra i russi e gli italiani. I carabinieri scoprono anche un’altra organizzazione, che li raggruppa, “Essenza del tempo” del quale fa parte anche un mercenario spagnolo, Sergio Becerra: si tratta di un movimento «politico ultranazionalista e antioccidentale che persegue nel suo programma la rifondazione dell’Urss».

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A fare da cerniera sono anche altre due figure, che poi verranno archiviate nell’ambito dell’indagine di Genova, ma che hanno avuto un ruolo come legame “culturale” se così si può dire: si tratta di Orazio Maria Gnerre e Luca Pintaudi, che sono stati in quegli anni a Donetsk per incontrare Pavel Gubarev, uno dei leader della Repubblica popolare autoproclamatasi autonoma, e Igor Strelkov, ex colonnello dei servizi segreti russi e comandante dei filorussi in quella città. Questo miscuglio di giovani, fascisti e volenterosi miliziani è il primo nucleo dei filoputiniani in Italia. Alcuni di questi entrano fin da subito nel battaglione Vostok, cioè Cavalleri e Carugati che si definiscono due «camerati». Fin dal 2014 in quell’area come combattente per i russi c’è anche Palmeri, così decritto dai Ros: «Noto skinhead, ex capo del gruppo ultras lucchese denominato “Bulldog 1998”, gravato da numerosi pregiudizi di polizia per reati contro la persona, danneggiamento, associazione per delinquere e discriminazione razziale». Ed è Palmeri il primo anello di congiunzione tra la galassia fascista e i filorussi. Non a caso proprio in quegli anni Palmeri e altri esponenti di Forza Nuova creano una sigla, “savedonbasspeople” per raccogliere fondi da destinare, cosi dicevano, ad un orfanotrofio.

 

Altro luogo di strusciamento tra filorussi e area della destra italiana è stata in quegli anni l’associazione Lombardia-Russia (fondata da Gianluca Savoini poi travolto dall’inchiesta de L’Espresso che scoprì la trattativa al Metropol di Mosca per finanziare la Lega): nel 2015 a San Pietroburgo l’associazione organizza un evento al quale partecipano il leader di Forza Nuova Roberto Fiore, Alexey Milchakov, comandante dell’unità neonazista Dshrg Rusich, inquadrata nel battaglione “Batman” dell’autoproclamata Repubblica popolare di Lugansk, accusato di aver torturato militari ucraini, e Aleksey Zhivov del movimento di estrema destra denominato “Lotta per il Donbass”. Nelle carte di Genova fa capolino anche il nome del giornalista Vittorio Nicola Rangeloni: per i carabinieri del Ros è impegnato «a girare reportage propagandistici ed interviste ai miliziani filorussi» e «ha lavorato per il ministero dell’Informazione del Lugansk».

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La procura di Messina guidata da Maurizio De Lucia si è invece concentrata in particolare sulla figura di Giuseppe Russo, anche lui latitante e per gli investigatori molto probabilmente ancora nel Donbass. L’indagine nasce dopo l’inaugurazione nella città sullo Stretto di un centro filo russo e pro indipendenza delle repubbliche del sud-est ucraino. Nel mese di giugno 2018 veniva aperta la sede del «Cerrpli-Lnr», centro di rappresentanza della Repubblica popolare di Lugansk in Italia. A presiedere il centro, il professore di un liceo messinese, Daniele Macris. Scrivono i magistrati di Messina: «Il professore Macris risulta avere contatti su Facebook con soggetti coinvolti nell'operazione "Ottantotto" a Genova, tra cui il latitante Andrea Palmeri». «Il professore non c'entra nulla con tutta questa storia, ha chiarito la sua posizione davanti ai magistrati. Non è un combattente, non è un ideologo.», ha detto il suo legale Daniele Pagano. Russo, intercettato, parla con Federico Berti, che «riferisce di avere combattuto nel Donbass». I due si scambiano poi «delle informazioni su Spartaco - che è il soprannome di Massimiliano Cavalleri - su Ale, su Vittorio e su Andrea, che si identificano rispettivamente in Bertolini Alessandro, in Rangeloni Vittorio Nicola e in Palmeri Andrea». Russo si vantava con i parenti in Italia e sosteneva quanto bella per lui fosse la guerra in Donbass: «L’altro giorno si sparava come i pazzi...bum bum...». Così Putin in questi anni ha costruito la sua rete sotterranea in Italia, tra mercenari e propagandisti da divano. In guerra sono entrambi utili.