Miliardari amici di Putin controllano grandi società di trading di materie prime con base tra Ginevra e Lugano. Mentre nelle banche della Confederazione ci sono almeno 140 miliardi di euro su conti intestati a cittadini russi. Ora il governo di Berna prova a tagliare i ponti, tra giravolte e contraddizioni

Chi c’era racconta che fu davvero una festa fuori dal comune, perfino per gli standard non proprio francescani della diplomazia internazionale. Nel giugno del 2019, neppure tre anni fa, il governo svizzero organizzò un ricevimento con più di 800 invitati per inaugurare la nuova ambasciata a Mosca. Ospite d’onore, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov che brindò insieme a Ignazio Cassis, il suo collega di Berna, per celebrare l’inossidabile amicizia tra i due Paesi. Qualche giorno dopo si scoprì che il conto della serata, circa 700 mila euro, era stato in parte pagato da Gennadj Timchenko, un miliardario ottimo amico di Vladimir Putin, colpito nel 2014 dalle sanzioni americane e da un paio di decenni ospite gradito della Confederazione. Un altro ricco assegno era arrivato da Gunvor, colosso mondiale del trading di materie prime con sede a Ginevra fondato dallo stesso Timchenko e poi ceduto al suo socio svedese Torbjörn Törnqvist appena prima di finire nella lista nera degli Usa. All’epoca, quel party di Stato finanziato dall’oligarca non mancò di suscitare qualche polemica perfino nella pacifica Svizzera, da secoli abituata a fare affari ovunque sventolando la bandiera della neutralità.

 

Il mondo è cambiato, adesso. E Cassis, che da dicembre guida il governo elvetico, questa volta non ha perso tempo per allinearsi al resto del mondo, nella quasi unanime condanna della criminale invasione dell’Ucraina. Con tre successivi provvedimenti, tra il 24 febbraio e il 15 marzo, Berna ha condiviso con l’Europa le sanzioni contro gli oligarchi vicini a Putin. E per la prima volta le misure decise dalla Confederazione non prevedono eccezioni e distinguo che nel recente passato avevano protetto il patrimonio e il conto in banca di alcuni fedelissimi del Cremlino. Forse nel tentativo di recuperare il tempo perduto, almeno sul piano dell’immagine, lunedì 21 marzo Cassis è volato in Polonia per garantire aiuti umanitari «generosi e solidali».

Gennady Timchenko

Stati Uniti e Ue, però, chiedono ben altro. Fanno pressione perché si arrivi alla confisca dei beni che fin qui sono stati solo congelati, un ulteriore giro di vite che metterebbe l’esecutivo rossocrociato sullo stesso piano di quello di Paesi come l’Italia che nei giorni scorsi hanno deciso il sequestro di yacht, ville e società riconducibili a uomini d’affari russi. Per comprendere la portata e le implicazioni di una simile decisione basti pensare che nella graduatoria dei più ricchi della Svizzera compilata ogni anno dal mensile Bilan, ben tre delle prime dieci posizioni sono occupate da amici stretti di Putin. Al quinto posto troviamo il già citato Timchenko, accreditato di un patrimonio di circa 22 miliardi di franchi svizzeri, pari a 21,3 miliardi di euro. L’ottavo posto, grazie a una fortuna stimata 17 miliardi di franchi, è occupato da Andrej Melnichenko, 50 anni, residente a Saint Moritz, a capo del gruppo chimico Eurochem, uno dei più grandi produttori mondiali di fertilizzanti che nel 2015 spostò la sede a Zug, paradiso fiscale della Confederazione, per mettersi al riparo dalle sanzioni occidentali dopo l’invasione russa della Crimea. La decima piazza della top ten spetta invece ad Alisher Usmanov, 68 anni, che tira le fila di un impero economico valutato 15 miliardi di franchi e comprende tra l’altro il gruppo siderurgico Metalloinvest e svariate altre proprietà come il giornale moscovita Kommersant, un quotidiano che fa da megafono alla propaganda putiniana.

 

Questo terzetto di nababbi è solo l’avanguardia di un esercito di loro compatrioti, decine e decine di imprenditori e finanzieri, che nell’arco degli ultimi vent’anni hanno trasferito nella Confederazione la sede dei loro affari e spesso anche la residenza, comprando ville da favola nelle località più esclusive del Paese. La Svizzera si è così trasformata in una piattaforma d’affari russa nel mondo, seconda per importanza solo a Londra, dove i sodali di Putin hanno messo al sicuro patrimoni colossali comprando palazzi e squadre di calcio nella totale indifferenza della politica locale, che anzi ha spesso incoraggiato l’arrivo di questi migranti dotati di carta di credito senza limiti di spesa. Lo stesso copione è andato in scena tra Ginevra e Lugano. Le carte ufficiali di Berna raccontano che negli ultimi dieci anni sono stati rilasciati 172 permessi di soggiorno a cittadini russi «per motivi fiscali o di interessi superiori». In parole povere, questi stranieri ad alto reddito si sono comprati la residenza svizzera con la promessa di versare all’erario un forfait annuale di imposte concordato con le autorità statali, cantonali e comunali.

Andrey Melnichenko

Il denaro non ha odore, recita un vecchio proverbio. E negli ultimi anni i soldi degli oligarchi amici di Putin sono andati a sostenere un gran numero di attività benefiche e culturali. Timchenko, per esempio, secondo quanto hanno ricostruito i media elvetici, a partire dal 2008 ha finanziato un centinaio di eventi con la sua Fondazione Neva. Usmanov, che ufficialmente risiede nel Canton Vaud, dopo 14 anni al vertice ha appena dato le dimissioni dalla presidenza della federazione internazionale di scherma, che ha sede a Losanna. È stata più volte avvistata in Svizzera anche Alina Kabaeva, 38 anni, ex ginnasta di livello internazionale (oro nella ritmica alle Olimpiadi del 2004), che secondo numerose ricostruzioni giornalistiche sarebbe da tempo l’amante di Putin. Una volta chiusa la carriera sportiva, Kabaeva è stata eletta in parlamento in Russia nel partito del presidente e dal 2014 siede al vertice del National Media Group, che controlla giornali e tv tutti allineati al verbo del regime. L’ex ginnasta è madre di due gemelli nati nel maggio del 2015 in una clinica di lusso alle porte di Lugano. Nella stessa struttura, la Sant’Anna di Sorengo, era già stata ricoverata anche Barbara Berlusconi in occasione del suo secondo parto, nel 2009. È quindi più che probabile che Silvio Berlusconi e Putin, oltre ad aver condiviso anni di rapporti più che amichevoli al vertice dei rispettivi governi, si siano anche scambiati l’indirizzo di un reparto maternità in grado di garantire il massimo livello di efficienza e discrezione. All’epoca, nel 2015, si diffuse anche la voce di un viaggio lampo e segretissimo del capo del Cremlino a Lugano in occasione del parto. Queste indiscrezioni sono sempre state smentite dal governo di Mosca, che del resto non ha mai neppure confermato l’esistenza di un rapporto tra il presidente russo e la sua presunta amante.

 

Adesso che si è scatenata la caccia all’oligarca, anche Kabaeva è finita nel mirino dello sdegno a mezzo social. Una petizione con decine di migliaia di firme raccolte in rete chiede la sua espulsione dalla Svizzera, dove si sarebbe stabilita tempo fa. La giovane madre dei figli di Putin resta più che altro un bersaglio simbolico e non è neppure da escludere che in vista della tempesta in arrivo non sia stata fatta rientrare in patria per tempo. Ben diversi, e più pesanti dal punto di vista economico, sarebbero le conseguenze di un eventuale decisione di Berna di tagliare una volta per tutte i ponti con gli oligarchi. Cominciamo dalle banche. Secondo le stime più recenti il valore dei conti intestati a cittadini russi o alle loro società aperti negli istituti di credito elvetici ammonterebbe ad almeno 150 miliardi di franchi, cioè oltre 140 miliardi di euro, una cifra approssimata per difetto.

GETTYIMAGES507969672_ALTA

I forzieri di colossi della finanza come Ubs e Credit Suisse, per non parlare delle grandi società di gestione di patrimoni, traboccano del denaro di decine di miliardari legati a doppio filo al Cremlino. I rapporti con gli oligarchi non si sono mai interrotti, neppure dopo la prima raffica di sanzioni del 2014. Del resto, nell’arco degli ultimi due decenni, la Svizzera è diventata la principale piazza per il trading di materie prime provenienti dalla Russia. Esemplare il caso della Gunvor di Timchenko, minuscola società ginevrina protagonista di una crescita vertiginosa a partire dal 2004, quando cominciò a rivendere sui mercati internazionali il petrolio di Rosneft, che fa capo al Cremlino. A Lugano invece sono sbarcati in forze i magnati dell’acciaio e del ferro, che dal Canton Ticino tirano le fila della loro rete commerciale. Due nomi su tutti: Viktor Rashnikov e Aleksej Mordashov. Rashnikov, 73 anni, accreditato di un patrimonio di 10 miliardi di euro, è il patron del gruppo Mmk, colosso russo dell’acciaio che sulle rive del lago Ceresio possiede una filiale molto attiva, la Mmk Steel Trade. A Mordashov, invece, che nei giorni scorsi si è visto sequestrare uno yacht da 65 milioni di euro ormeggiato nel porto di Imperia, fa capo il gruppo siderurgico Severstal (7 miliardi di ricavi annui) che attraverso la succursale di Manno, non lontano da Lugano, gestisce l’export sui mercati internazionali. Le società degli oligarchi, compresa la Mlmk di Vladimir Lisin, per il momento non colpito da sanzioni, hanno portato lavoro e molto denaro nella Svizzera italiana. Banchieri e politici locali si contendevano i favori degli amici di Putin. Difficile dimenticare gli affollatissimi convegni organizzati a Lugano con sponsor russi, affiancati dall’italiana Banca Intesa. L’evento di novembre 2018 era intitolato: “Svizzera-Russia: conoscersi, collaborare, crescere”. Parole d’ordine dimenticate in fretta. Adesso tutti prendono le distanze dai vecchi alleati targati Mosca. Meglio tardi che mai.