Gualtieri, ma anche Musumeci in Sicilia e Occhiuto in Calabria puntano agli inceneritori. Ma dietro queste scelte ci sono anche ambizioni personali, come quella del sindaco della Capitale

È un partito variegato, quello dei termovalorizzatori, ed è tornato in campo alla grande in piena crisi energetica. Un partito sostenuto da lobby potenti che hanno radici al Nord e con entrature adesso anche in coalizioni e movimenti che fino a ieri hanno fatto battaglie contro questi impianti. Adesso il partito che spinge per bruciare l’immondizia è tornato alla carica da Roma a Palermo, vendendo ad amministratori locali e sindaci i termovalorizzatori (solo in Italia si chiamano così, per il resto d’Europa sono inceneritori) come unica soluzione per risolvere il disastro dei rifiuti in strada causato da bassi livelli di differenziata, nessun impianto alternativo di riciclo e discariche stracolme.

 

Così, in alcuni territori, e in formazioni politiche, quello che era un tabù oggi non lo è più: al Campidoglio il sindaco Pd Roberto Gualtieri ha appena annunciato di volere realizzare un termovalorizzatore, creando non poche tensioni con l’area dem che fa capo al governatore Nicola Zingaretti e spaccando ancora di più l’asse dem-5 Stelle anche a livello nazionale; in Sicilia l’ex missino Nello Musumeci, che in campagna elettorale aveva assicurato il suo no a questi impianti, ora ne vuole costruire due; mentre in Calabria il governatore forzista Roberto Occhiuto punta a raddoppiare l’impianto di Gioia Tauro e a realizzarne uno in provincia di Cosenza. Quattro partite che da sole muovono circa 2 miliardi di euro di investimenti che hanno già attratto colossi del settore come l’A2a lombarda, l’emiliana Hera e l’Eni.

 

La mossa di Gualtieri
Il partito degli inceneritori è entrato dalla porta principale del Campidoglio: il sindaco Gualtieri non solo ha annunciato l’intenzione di realizzarne uno da 600 mila tonnellate a Santa Palomba, ma ha appena ottenuto dal governo Draghi poteri speciali per poter derogare al piano dei rifiuti regionale. Bene, ma chi ha redatto il piano rifiuti regionale che non prevede termovalorizzatori? Nicola Zingaretti, suo compagno di partito, che negli anni della sindacatura a 5 Stelle di Virginia Raggi ha assecondato il no a questi impianti e spinto per la chiusura di quello di Colleferro con il sindaco dem Pierluigi Sanna che protestava in strada. Cosa c’è quindi dietro questa svolta di Gualtieri che sconfessa la linea politica dei dem romani? Sicuramente, dicono dal Campidoglio, c’è in primis un motivo tecnico: Raggi in cinque anni non ha realizzato un solo impianto di gestione dell’immondizia e il sindaco si è convinto che occorre un inceneritore che chiuda il ciclo dei rifiuti. Ma c’è chi sussurra in via del Nazareno che i motivi sono anche altri.

 

Dietro questa svolta ci sarebbe il suo braccio destro Claudio Mancini che, mollata l’idea dell’asse con Giuseppe Conte e la linea bettiniana di puntare sull’avvocato del popolo come «riferimento futuro dei progressisti e riformisti», vuole adesso costruire un nuovo Gualtieri come futuro leader del centrosinistra nazionale. Facendolo apparire come Sala a Milano: un riformista decisionista capace di dialogare anche con il mondo dell’imprenditoria del Nord, proprio come Sala, o come il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini: «Dal Campidoglio alla guida del partito e del centrosinistra sul modello di Walter Veltroni, ma senza la sconfitta elettorale», sintetizza il percorso un fedelissimo del sindaco dem.

 

La mossa ha spiazzato Zingaretti, che per attaccare Gualtieri però ha mandato avanti il deputato Marco Miccoli: «L’inceneritore non era nel programma e dobbiamo discuterne», ha detto l’ex responsabile dei dem nella Capitale. Una mossa che ha creato non poche grane anche al segretario del Pd Enrico Letta, che si trova adesso il Movimento 5 Stelle contro con in testa Giuseppe Conte che lancia bordate per una «una scelta vecchia e miope».

 

Di certo c’è che l’annuncio del termovalorizzatore a Roma, che da solo dovrebbe bruciare un terzo dei rifiuti prodotti dalla Capitale e per i quali oggi il Comune con la sua partecipata spende 200 milioni di euro all’anno per mandarli negli inceneritori del Nord, ha creato tensioni anche tra gli ambientalisti. Il presidente onorario di Legambiente Ermete Realacci in una intervista al Foglio ha detto che «questi impianti non sono un tabù». Apriti cielo, quindi Legambiente dice sì all’inceneritore? «Assolutamente no, noi siamo contrari oggi a questi impianti tecnologicamente vecchi, Roma ha bisogno di avviare subito 15 linee di impianti per la gestione anaerobica dei rifiuti, la produzione di biogas e il compostaggio», dice il segretario Stefano Ciafani. Realacci a L’Espresso precisa che il Foglio «ha titolato su un pezzetto del discorso»: «Io ho detto che il termovalorizzatore, se proprio necessario, deve arrivare alla fine di un percorso che prevede la realizzazione di impianti ecocompatibili che rimettono in circolo le materie prime oggi sempre più scarse - dice l’ex presidente della commissione Ecomafie - quindi per me è sbagliato partire dal termovalorizzatore come sta facendo Gualtieri».

 

I grandi progetti al Sud
Ma il partito degli inceneritori cresce anche al Sud e trova spazio, questa volta, nel centrodestra e nella destra che sulla carta era contraria. In Sicilia il governatore Nello Musumeci durante la sua campagna elettorale assicurava: «Viene affermato che io intendo realizzare gli inceneritori. Nulla di più falso, priorità al riciclaggio e al compostaggio». Poi di conseguenza la Regione ha detto no all’impianto che l’A2a voleva realizzare in provincia di Messina. Adesso il governatore ha cambiato idea alla fine del suo mandato e ha messo in pista la realizzazione di due impianti in project financing a Gela e nell’area industriale di Catania.

 

Ci sono già due manifestazioni di interesse approvate con tanto di disponibilità dei terreni. A Gela è l’Eni che si è fatta avanti, per un impianto che prevede la produzione di metano e biogas. Un impianto da 400 mila tonnellate di smaltimento rifiuti che piace anche agli ambientalisti ma meno, molto meno, agli abitanti di Gela che si erano appena liberati dal mostro del petrolchimico che per quarant’anni ha inquinato tutto, cielo e terra. A Catania, invece, è tornata in pista la lombarda A2a insieme ad Acciaierie siciliane per un impianto da 600 mila tonnellate. La Sicilia è al collasso con la discariche stracolme e rischia a breve di dover inviare fuori i rifiuti con costi doppi perché tutto avverrebbe via nave: il partito dei termovalorizzatori quindi ha gioco facile ad entrare anche nell’opposizione, nonostante le barricate dei 5 Stelle. In Calabria il governatore Occhiuto, di Forza Italia, vuole raddoppiare l’impianto di Gioia Tauro: «La sinistra mi critica, ma se lo fa a Roma Gualtieri non protesta, quindi andiamo avanti», ha detto. D’altronde ormai da destra a sinistra, e soprattutto da Roma in giù, il partito dei termovalorizzatori ha davanti a sé praterie: A2a, Hera, Eni ed Enel sono lì che attendono solo il via libera. Pensando già ai contratti d’oro che firmeranno.