Esclusivo
Diari di guerra, la sesta parte della graphic novel
Prosegue la cronaca per immagini del conflitto. Visto da una giornalista ucraina e da un artista russo
Profondamente sradicati. Ma al tempo stesso «quasi assestati nella loro instabilità, nel loro ritmo innaturale di muoversi tra luoghi, culture e persone, tra conflitti e pace, rumori e silenzi. Voglio continuare a documentare il loro viaggio in tutto questo, ma anche concentrarmi su domande più grandi ed esistenziali: cosa significa per loro identità culturale? Cosa sperano per il futuro? Torneranno mai a casa? Cosa vuol dire lasciarsi alle spalle la propria cultura? Come percepiranno i loro figli la loro identità nazionale?».
Leggi tutta la graphic novel
Alla dodicesima settimana di “Diaries of war”, graphic novel che racconta la guerra in Ucraina attraverso la voce di una giornalista di Kiev, K., e di un artista russo, D., l’illustratrice Nora Krug riflette con L’Espresso, che sta seguendo in esclusiva per l’Italia il work in progress editoriale: «Ho intenzione di continuare a documentare le loro storie. L'obiettivo resta quello di proseguire con le interviste per tutta la durata della guerra. Ma naturalmente mi domando: per quanto tempo continuerà? Settimane? Mesi? Anni? Forse un decennio?».
Da una parte e dall’altra, nel frattempo, la vita impone prove tecniche di normalità. K. la sperimenta in Danimarca, dove ha trasferito i figli, per metterli al sicuro: i ragazzini, a scuola, ascoltano “Stefania”, la canzone del gruppo rap Kalush, che ha trionfato all’Eurovision Song Contest. D. si trova a Riga, dove sta esplorando la possibilità di trasferirsi con la famiglia, al momento a San Pietroburgo: ma l’aria in Russia è diventata irrespirabile, la libertà di espressione seriamente in pericolo.
Chiediamo all’artista di origine tedesca, che vive a New York: ha l’impressione che stia prevalendo un sentimento di rassegnazione? «No», risponde Krug: «K. è esausta, ma resta convinta che l'Ucraina non abbia altra scelta che continuare la guerra fino alla vittoria. D. è spaventato da ciò che significa lasciare la sua casa e la sua cultura, ma pensa anche in modo positivo a un futuro a Riga».
La percezione culturale è, in effetti, sempre più al centro dei dilemmi di D. Se nel diario di questa settimana fa i conti con il sostegno dato a Putin da persone di lingua russa in Lettonia, forte è il disagio per la responsabilità della guerra. E lo confessa, scrivendo a Nora Krug: «In passato c'erano molti stereotipi negativi su di noi. Ero contento che questa percezione gradualmente fosse cambiata. Ma ora stiamo tornando indietro, e nuovi pregiudizi negativi prenderanno piede. Ho letto di commenti sul cancellare la cultura russa. È difficile leggere cose simili, cerco di capire chi le scrive. Non riesco nemmeno a immaginare ciò che provano e che sentono. Ma so che non tutti gli ucraini la pensano così». K. parla, e D. sembra fargli eco a distanza. Nel più faticoso e inevitabile dei confronti: «Ho conoscenti russi e parenti lontani in Russia. Sono tutti contro Putin e i crimini della Russia contro l'Ucraina. Ma non posso parlare con loro senza provare rabbia nel profondo di me, quindi cerco di non farlo. Pensare a come hanno chiuso gli occhi su ciò che Putin e i suoi stanno facendo, mi fa star male».